Continuazione tra Reati: Quando il Piano Unico non Esiste
L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un beneficio fondamentale per chi ha commesso più crimini legati da un unico progetto. Tuttavia, ottenerne il riconoscimento non è automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione chiarisce quali elementi possono escludere l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, rendendo i reati autonomi e sanzionabili singolarmente. Analizziamo insieme questa importante decisione.
I Fatti del Caso: La Richiesta Respinta
Un soggetto condannato per più reati aveva presentato ricorso alla Corte d’Appello chiedendo che venisse applicata la disciplina del reato continuato. L’obiettivo era ottenere una pena complessiva più mite, unificando i diversi episodi criminosi sotto un’unica matrice. La Corte d’Appello, però, aveva respinto la richiesta, ritenendo che non vi fossero elementi sufficienti a dimostrare un’unica programmazione iniziale. Contro questa decisione, l’imputato ha proposto ricorso per Cassazione.
La Decisione della Cassazione sulla Continuazione tra Reati
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, considerandolo manifestamente infondato. I giudici hanno confermato la correttezza della decisione impugnata, sottolineando come la Corte d’Appello avesse applicato in modo puntuale i principi giurisprudenziali in materia di continuazione tra reati. Secondo la Cassazione, non è sufficiente commettere più reati per ottenere il beneficio, ma è necessario provare che questi fossero parte di un piano deliberato sin dall’inizio.
Le Motivazioni: Distanza Temporale e Diversi Complici come Indici Rivelatori
Il cuore della decisione risiede nelle motivazioni con cui la Corte ha escluso il disegno criminoso unitario. Due fattori sono stati considerati decisivi:
1. La distanza temporale: Tra il primo e il secondo reato erano trascorsi cinque mesi. Un lasso di tempo così ampio, secondo i giudici, indebolisce l’ipotesi di un piano unico e preordinato, suggerendo piuttosto che la decisione di commettere il secondo reato sia maturata in un momento successivo, come una risoluzione criminale autonoma.
2. La diversità dei concorrenti: La partecipazione di complici diversi nei vari episodi è stata interpretata come un ulteriore elemento a sfavore della tesi della continuazione. Se il piano fosse stato unico e prestabilito, sarebbe stato più probabile il coinvolgimento dello stesso gruppo di persone.
La Corte ha concluso che i reati in questione non erano altro che l’espressione di una “pervicace volontà criminale” che si manifestava in momenti diversi, e non l’attuazione di un singolo progetto. Di conseguenza, non era meritevole dell’applicazione di un istituto di favore come la continuazione.
Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche della Pronuncia
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la continuazione tra reati non si presume, ma va rigorosamente provata. La presenza di un “medesimo disegno criminoso” deve emergere da circostanze concrete e univoche. La distanza temporale tra i fatti e la variazione dei soggetti coinvolti sono indicatori potenti che possono portare il giudice a escludere questo beneficio. Per la difesa, ciò significa che non basta allegare l’esistenza di un piano, ma è necessario fornire elementi concreti capaci di superare le obiezioni basate su tali indici oggettivi. La conseguenza pratica per l’imputato è rilevante: anziché ricevere la pena per il reato più grave aumentata fino al triplo, subirà il cumulo materiale delle singole pene, con un risultato sanzionatorio decisamente più severo.
Cosa si intende per ‘continuazione tra reati’?
È un istituto giuridico che permette di considerare più reati, commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, come un unico reato ai fini del calcolo della pena, portando a una sanzione più mite rispetto al cumulo delle singole pene.
Perché la Corte ha negato la continuazione in questo caso?
La Corte ha negato il beneficio perché mancavano prove di un disegno criminoso unico. In particolare, la distanza temporale di cinque mesi tra i reati e la partecipazione di complici diversi sono stati ritenuti elementi decisivi per considerare i crimini come frutto di autonome risoluzioni criminose.
Quali sono le conseguenze per il ricorrente quando un ricorso è dichiarato inammissibile?
Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali. Inoltre, come in questo caso, se la Corte ravvisa una colpa nella proposizione del ricorso (perché manifestamente infondato), può condannarlo anche al pagamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32677 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32677 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOMECODICE_FISCALE) nato il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 06/03/2025 della CORTE APPELLO di ROMA
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la ordinanza impugnata.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato;
Considerato infatti che il provvedimento impugnato, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ineccepibilmente osservato che osta al riconoscimento della continuazione tra i reati indicati nell’istanza, con rilievo decisivo, l’assenza circostanze da cui desumere che il predetto, sin dalla consumazione del primo reato, avesse programmato, sia pure nelle linee generali richieste dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche quello successivo tenuto conto della distanza temporale tra di essi (cinque mesi) e dei diversi concorrenti. In tale contesto i reati commessi sono riconducibili, quindi, ad autonome risoluzioni criminose ed espressione di una pervicace volontà criminale non meritevole dell’applicazione di istituti di favore;
Rilevato, altresì, che le censure del ricorrente, oltre ad essere generiche, sollecitano una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice dell’esecuzione;
Ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, 1’11 settembre 2025.