Continuazione tra Reati: Quando il Piano Unico Manca
L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante strumento di mitigazione della pena. Esso permette di unificare, sotto il profilo sanzionatorio, più violazioni della legge penale commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa dimostrazione della sussistenza di un piano unitario. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ha ribadito questi principi, chiarendo i limiti applicativi di tale istituto.
I Fatti del Caso: Due Reati Distanti nel Tempo
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un condannato avverso l’ordinanza di un Tribunale che aveva negato il riconoscimento della continuazione tra due reati. Il primo reato consisteva in atti persecutori, commessi nel 2012. Il secondo reato, commesso a distanza di circa due anni dal primo, aveva una natura differente e si collocava in un contesto non legato alla criminalità organizzata o allo spaccio. L’imputato chiedeva che i due episodi venissero considerati come parte di un unico progetto criminale, al fine di ottenere una pena complessiva più favorevole.
La Decisione della Cassazione: No alla Continuazione tra Reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Gli Ermellini hanno confermato la decisione del giudice dell’esecuzione, ritenendo che non vi fossero elementi sufficienti per desumere l’esistenza di un’unica programmazione criminale che legasse i due reati. La decisione si basa su un’attenta analisi dei criteri elaborati dalla giurisprudenza per l’applicazione della continuazione tra reati.
Le Motivazioni: Assenza di un Disegno Criminoso Unitario
Il cuore della motivazione risiede nella constatazione dell’assenza di un “medesimo disegno criminoso”. Secondo la Corte, per poter applicare l’istituto, è necessario che l’agente abbia programmato, sin dal primo reato, anche la commissione dei successivi, seppur nelle loro linee generali. Nel caso di specie, diversi elementi ostacolavano tale riconoscimento:
1. La distanza temporale: Un lasso di tempo di due anni tra un reato e l’altro è stato considerato un indice significativo della mancanza di un piano unitario. Una tale distanza suggerisce che il secondo reato sia frutto di una nuova e autonoma determinazione a delinquere, piuttosto che l’attuazione di un progetto concepito in precedenza.
2. La diversità dei contesti: Il fatto che l’imputato non fosse inserito in ambienti dediti allo spaccio ha reso improbabile che il secondo reato fosse stato pianificato insieme al primo, di natura puramente persecutoria. Questa eterogeneità dei contesti ha rafforzato la tesi di due risoluzioni criminose distinte e indipendenti.
La Corte ha specificato che i reati commessi apparivano come espressione di una “pervicace volontà criminale” che si manifestava in momenti diversi e non collegati, rendendo l’imputato non meritevole di beneficiare di istituti di favore come la continuazione.
Conclusioni: L’Importanza della Prova del Progetto Iniziale
Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: la continuazione tra reati non può essere presunta. È onere di chi la invoca fornire elementi concreti dai quali emerga che, sin dalla consumazione del primo reato, esisteva una programmazione unitaria dei delitti successivi. La semplice successione di reati, anche se commessi dalla stessa persona, non è sufficiente. La distanza temporale, la diversità della natura dei reati e dei contesti in cui vengono commessi sono fattori decisivi che il giudice deve valutare per escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso. La decisione, dichiarando inammissibile il ricorso, ha inoltre comportato la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Cos’è la continuazione tra reati e quando si applica?
È un istituto che consente di unificare più reati sotto un’unica pena più favorevole, ma solo se sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, cioè un piano unitario programmato prima di commettere il primo reato.
Perché la Corte di Cassazione ha negato la continuazione nel caso specifico?
La Corte ha negato la continuazione perché mancavano prove di un piano criminoso unitario. La notevole distanza temporale (due anni) tra il primo reato (atti persecutori) e il successivo, unita alla diversa natura dei contesti, indicava due decisioni autonome e non un unico progetto iniziale.
Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando un ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, in caso di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento di una somma di denaro alla Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 32672 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 32672 Anno 2025
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 11/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/04/2025 del TRIBUNALE di NAPOLI NORD
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso, la memoria difensiva e la ordinanza impugnata.
Rilevato che il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato;
Considerato infatti che il provvedimento impugnato, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ineccepibilmente osservato che osta al riconoscimento della continuazione tra i reati indicati nell’istanza, con rilievo decisivo, l’assenza d circostanze da cui desumere che il predetto, sin dalla consumazione del primo reato (atti persecutori commessi nel 2012), avesse programmato, sia pure nelle linee generali richieste dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche quello successivo tenuto conto della distanza temporale tra di essi (due anni) e del mancato inserimento del condannato in ambienti dediti allo spaccio. In tale contesto i reati commessi sono riconducibili, quindi, ad autonome risoluzioni criminose ed espressione di una pervicace volontà criminale non meritevole dell’applicazione di istituti di favore;
Rilevato, altresì, che le censure del ricorrente, oltre ad essere generiche, sollecitano una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice dell’esecuzione;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, 1’11 settembre 2025.