Continuazione tra Reati: Quando la Distanza Temporale Esclude il Disegno Unico
L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante beneficio per chi ha commesso più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i paletti per il riconoscimento di tale istituto, sottolineando come una notevole distanza temporale e modalità esecutive differenti possano escludere l’unicità del piano criminale.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato per più reati legati agli stupefacenti. Nello specifico, il ricorrente aveva commesso una prima violazione dell’art. 73 del D.P.R. 309/90 nel dicembre del 2013. Successivamente, tra il maggio 2018 e il giugno 2019, era stato coinvolto in ulteriori reati, questa volta non solo ai sensi dell’art. 73 ma anche dell’art. 74 dello stesso decreto, che punisce l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’interessato aveva chiesto ai giudici di riconoscere la continuazione tra reati, sostenendo che tutte le condotte fossero parte di un unico progetto criminoso, al fine di ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole.
La Decisione della Corte di Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. I giudici hanno confermato la decisione della Corte d’Appello, la quale aveva correttamente negato l’applicazione dell’istituto della continuazione. La Suprema Corte ha evidenziato l’assenza totale di elementi concreti da cui desumere che l’imputato, già al momento della commissione del primo reato nel 2013, avesse programmato anche i crimini successivi, commessi a quasi cinque anni di distanza.
Le Motivazioni: Analisi sulla Continuazione tra Reati
Il cuore della decisione risiede nell’analisi dei requisiti necessari per configurare il “medesimo disegno criminoso”. La Corte ha basato il suo ragionamento su tre pilastri fondamentali:
* La Distanza Temporale: Un lasso di tempo così ampio tra la prima e le successive condotte criminose rende implausibile l’ipotesi di un piano unitario concepito sin dall’inizio. Secondo i giudici, è irragionevole pensare che nel 2013 l’imputato avesse già previsto di entrare a far parte, anni dopo, di un’associazione per delinquere.
* Le Diverse Modalità Esecutive: Un altro elemento decisivo è stata la differenza nelle modalità di commissione dei reati. Il primo episodio vedeva l’imputato agire da solo, mentre i successivi sono maturati in un contesto associativo. Questo cambiamento radicale, secondo la Corte, non è compatibile con un progetto criminoso unitario e preordinato, ma indica piuttosto l’insorgere di nuove e autonome risoluzioni criminali.
* La Mancanza di Prova: L’ordinanza sottolinea come fosse onere del ricorrente fornire elementi specifici a sostegno della sua tesi. Non è sufficiente affermare l’esistenza di un disegno unico; è necessario allegare fatti e circostanze concrete che dimostrino come i reati successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee generali, fin dal principio. Tale prova, nel caso di specie, è completamente mancata.
In assenza di questi elementi, la Corte ha concluso che i reati commessi sono espressione di una “pervicace volontà criminale” e di “autonome risoluzioni criminose”, non meritevoli di beneficiare di un istituto di favore come la continuazione tra reati.
Le Conclusioni
Questa pronuncia della Corte di Cassazione rafforza un principio cardine in materia: il beneficio della continuazione tra reati non può essere concesso con leggerezza. Per ottenerlo, è indispensabile dimostrare, con elementi concreti, che tutti i reati sono parte di un progetto criminoso deliberato e unitario fin dalla sua origine. La semplice reiterazione di condotte illecite nel tempo, anche se della stessa natura, non è di per sé sufficiente, soprattutto quando intervengono fattori come una notevole distanza temporale e un cambiamento nelle modalità operative. La decisione serve quindi a distinguere nettamente tra chi agisce secondo un piano prestabilito e chi, invece, manifesta una più generica e persistente tendenza a delinquere.
È possibile ottenere la continuazione tra reati commessi a molti anni di distanza?
No, secondo questa ordinanza. La Corte ha ritenuto che una notevole distanza temporale tra i reati (in questo caso, tra il 2013 e il 2018) è un elemento decisivo che fa presumere l’assenza di un unico disegno criminoso iniziale.
Se le modalità di commissione dei reati sono diverse, si può applicare la continuazione?
Difficilmente. La Corte ha sottolineato che il passaggio da un reato commesso in solitaria a reati commessi nell’ambito di un’associazione per delinquere indica risoluzioni criminose separate e non un piano unitario concepito fin dall’inizio.
Chi deve provare l’esistenza di un unico disegno criminoso?
L’onere di provare l’esistenza di un unico disegno criminoso spetta all’interessato che ne chiede l’applicazione. Non è sufficiente una semplice affermazione, ma è necessario fornire elementi specifici e concreti a sostegno della propria richiesta, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 12130 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 12130 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 07/03/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME nato a CRISPIANO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 27/09/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e la ordinanza impugnata.
Rilevato che il ricorso è manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che il provvedimento impugnato, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ineccepibilmente osservato che osta al riconoscimento della continuazione tra i reati indicati nell’istanza, con rilievo decisivo, l’assenza di circostanze da cui desumere ch NOME COGNOME, sin dalla consumazione del primo reato (violazione dell’art.73 d.P.R. 309/90 commesso nel mese di dicembre del 2013), avesse programmato, sia pure nelle linee generali richieste dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche quelli successivi (violazione degli artt.73 e 74 d.P.R. 309/90 commessi nel maggio 2018 e fino al giugno del 2019) tenuto conto della distanza temporale tra essi, delle diverse modalità esecutive (visto, ad esempio, che per il primo reato egli aveva agito da solo) e dell mancata allegazione, da parte dell’interessato, di specifici elementi a sostegno della propria istanza e, in particolare, che già nel 2013 egli avesse previsto di entrare a parte di una associazione per delinquere. In tale contesto i reati commessi sembrano, plausibilmente, riconducibili ad autonome risoluzioni criminose ed espressione di una pervicace volontà criminale non meritevole dell’applicazione di istituti di favore;
Rilevato, altresì, che le censure del ricorrente, oltre ad essere generiche, sollecitano una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice di merito;
Ritenuto che deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 7 marzo 2024.