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Continuazione tra reati: no se manca un piano unico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati in materia di stupefacenti. Il primo reato era stato commesso nel 2013, mentre i successivi tra il 2018 e il 2019. La Corte ha negato il beneficio, sottolineando che la notevole distanza temporale, le diverse modalità esecutive (prima da solo, poi in associazione) e la mancata prova di un piano criminoso unitario fin dall’inizio, ostano all’applicazione della continuazione tra reati.

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Pubblicato il 8 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando la Distanza Temporale Esclude il Disegno Unico

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante beneficio per chi ha commesso più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito i paletti per il riconoscimento di tale istituto, sottolineando come una notevole distanza temporale e modalità esecutive differenti possano escludere l’unicità del piano criminale.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un individuo condannato per più reati legati agli stupefacenti. Nello specifico, il ricorrente aveva commesso una prima violazione dell’art. 73 del D.P.R. 309/90 nel dicembre del 2013. Successivamente, tra il maggio 2018 e il giugno 2019, era stato coinvolto in ulteriori reati, questa volta non solo ai sensi dell’art. 73 ma anche dell’art. 74 dello stesso decreto, che punisce l’associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti. L’interessato aveva chiesto ai giudici di riconoscere la continuazione tra reati, sostenendo che tutte le condotte fossero parte di un unico progetto criminoso, al fine di ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. I giudici hanno confermato la decisione della Corte d’Appello, la quale aveva correttamente negato l’applicazione dell’istituto della continuazione. La Suprema Corte ha evidenziato l’assenza totale di elementi concreti da cui desumere che l’imputato, già al momento della commissione del primo reato nel 2013, avesse programmato anche i crimini successivi, commessi a quasi cinque anni di distanza.

Le Motivazioni: Analisi sulla Continuazione tra Reati

Il cuore della decisione risiede nell’analisi dei requisiti necessari per configurare il “medesimo disegno criminoso”. La Corte ha basato il suo ragionamento su tre pilastri fondamentali:

* La Distanza Temporale: Un lasso di tempo così ampio tra la prima e le successive condotte criminose rende implausibile l’ipotesi di un piano unitario concepito sin dall’inizio. Secondo i giudici, è irragionevole pensare che nel 2013 l’imputato avesse già previsto di entrare a far parte, anni dopo, di un’associazione per delinquere.
* Le Diverse Modalità Esecutive: Un altro elemento decisivo è stata la differenza nelle modalità di commissione dei reati. Il primo episodio vedeva l’imputato agire da solo, mentre i successivi sono maturati in un contesto associativo. Questo cambiamento radicale, secondo la Corte, non è compatibile con un progetto criminoso unitario e preordinato, ma indica piuttosto l’insorgere di nuove e autonome risoluzioni criminali.
* La Mancanza di Prova: L’ordinanza sottolinea come fosse onere del ricorrente fornire elementi specifici a sostegno della sua tesi. Non è sufficiente affermare l’esistenza di un disegno unico; è necessario allegare fatti e circostanze concrete che dimostrino come i reati successivi fossero stati programmati, almeno nelle loro linee generali, fin dal principio. Tale prova, nel caso di specie, è completamente mancata.

In assenza di questi elementi, la Corte ha concluso che i reati commessi sono espressione di una “pervicace volontà criminale” e di “autonome risoluzioni criminose”, non meritevoli di beneficiare di un istituto di favore come la continuazione tra reati.

Le Conclusioni

Questa pronuncia della Corte di Cassazione rafforza un principio cardine in materia: il beneficio della continuazione tra reati non può essere concesso con leggerezza. Per ottenerlo, è indispensabile dimostrare, con elementi concreti, che tutti i reati sono parte di un progetto criminoso deliberato e unitario fin dalla sua origine. La semplice reiterazione di condotte illecite nel tempo, anche se della stessa natura, non è di per sé sufficiente, soprattutto quando intervengono fattori come una notevole distanza temporale e un cambiamento nelle modalità operative. La decisione serve quindi a distinguere nettamente tra chi agisce secondo un piano prestabilito e chi, invece, manifesta una più generica e persistente tendenza a delinquere.

È possibile ottenere la continuazione tra reati commessi a molti anni di distanza?
No, secondo questa ordinanza. La Corte ha ritenuto che una notevole distanza temporale tra i reati (in questo caso, tra il 2013 e il 2018) è un elemento decisivo che fa presumere l’assenza di un unico disegno criminoso iniziale.

Se le modalità di commissione dei reati sono diverse, si può applicare la continuazione?
Difficilmente. La Corte ha sottolineato che il passaggio da un reato commesso in solitaria a reati commessi nell’ambito di un’associazione per delinquere indica risoluzioni criminose separate e non un piano unitario concepito fin dall’inizio.

Chi deve provare l’esistenza di un unico disegno criminoso?
L’onere di provare l’esistenza di un unico disegno criminoso spetta all’interessato che ne chiede l’applicazione. Non è sufficiente una semplice affermazione, ma è necessario fornire elementi specifici e concreti a sostegno della propria richiesta, cosa che nel caso di specie non è avvenuta.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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