Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 24138 Anno 2025
In nome del Popolo Italiano
PRIMA SEZIONE PENALE
Penale Sent. Sez. 1 Num. 24138 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 23/06/2025
– Presidente –
NOME COGNOME NOME COGNOME NOME COGNOME
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME NOMECOGNOME nato a Casal di Principe il 09/10/1980
avverso il provvedimento emesso l’01/04/2025 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; lette le conclusioni del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME; ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa l’1 aprile 2025 il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli quale Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da NOME COGNOME finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ex artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 671 cod. proc. pen., tra i reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato – già unificati dal vincolo invocato – e i fatti di reato giudicati dalla decisione di cui al punto 3, ritenendo ostative all’applicazione della disciplina richiesta l’eterogeneità dei comportamenti criminosi e l’ampiezza dell’arco temporale nel quale tali condotte illecite si erano concretizzate.
Ci si riferiva, in particolare, alla sentenza emessa dalla Corte di appello di Napoli il 10 giugno 2024, divenuta irrevocabile il 3 luglio 2015 (1); alla sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Teramo il 16 novembre 2017, divenuta irrevocabile l’8 dicembre 2017 (2); alla sentenza emessa dal Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Napoli il 5 marzo 2014, divenuta irrevocabile il 19 dicembre 2019 (3).
Avverso questa ordinanza NOME COGNOME a mezzo dell’avv. NOME COGNOME, ricorreva per cassazione, articolando un’unica censura difensiva.
Con questa doglianza si deducevano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato, in riferimento agli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 671 cod. proc. pen., conseguenti al fatto che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, nel respingere l’istanza di applicazione della continuazione invocata nell’interesse di COGNOME, non aveva tenuto conto della correlazione esistente tra i delitti giudicati dalle decisioni presupposte, attestata dall’omogeneità tipologica delle condotte illecite – riguardanti, in tutti e tre i casi, reati in materia di armi -, su cui si imponeva un giudizio analitico, che tenesse anche conto dell’avvenuta unificazione tra i fatti di reato di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugnato.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
Il ricorso proposto da NOME COGNOME Ł infondato.
Osserva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità, da tempo consolidata, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato da NOME COGNOME ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, affermando che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, già concepiti nelle loro caratteristiche essenziali (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, Daniele, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
L’unicità del programma criminoso, a sua volta, non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulle attività illecite del condannato, al contrario di quanto riscontrabile con riferimento alla posizione della ricorrente, perchØ in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa Ł espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al ‘favor rei’» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 – 01).
La verifica di tale preordinazione criminosa, infine, non può essere compiuta dall’autorità giudiziaria sulla base di indici di natura meramente presuntiva ovvero di congetture processuali, essendo necessario, di volta in volta, dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulti unitario e imponga l’applicazione della disciplina prevista dagli artt. 81, secondo comma, e 671 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596 – 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01).
3. In questa cornice, deve rilevarsi, in linea con quanto correttamente affermato dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, che ostava all’applicazione della disciplina della continuazione invocata da NOME COGNOME, ex artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 671 cod. proc. pen., l’eterogeneità delle modalità esecutive con cui le condotte criminose giudicate dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1-3 del provvedimento impugnato, per le quali si invocava la preordinazione, si erano concretizzate.
Secondo il Giudice dell’esecuzione, ostavano all’applicazione della disciplina della continuazione richiesta da NOME COGNOME le modalità con cui le condotte illecite presupposte erano state eseguite – commesse in territori distanti tra loro -si erano concretizzati, compreso tra il 2011 e l’aprile del 2013, che esprimevano una spiccata propensione al crimine del condannato, incompatibile con il vincolo di cui si chiedeva il riconoscimento.
Si deduceva, in proposito, a pagina 4 della decisione censurata, con argomenti immuni da censure motivazionali, che tra i reati di cui alla sentenza emessa dal GUP del Tribunale di Napoli in data 05/03/2014 accertati nel mese di aprile 2013 e quelli risalenti agli anni precedenti anni 2011/2012 – pur ravvisandosi l’omogeneità degli stessi, non si Ł in presenza di una stretta vicinanza temporale , sicchØ in mancanza di ulteriori elementi non Ł possibile ritenere l’identità del disegno criminoso, apparendo davvero arduo poter affermare che NOME NOME avesse programmato, quantomeno nelle sue linee essenziali, già negli anni 2011/2012, i delitti commessi nell’anno successivo, ovvero nel 2013».
NØ può rilevare, in senso contrario, l’avvenuta unificazione dei reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2, pronunciate dalla Corte di appello di Napoli il 10 giugno 2024 e dal
Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Teramo il 16 novembre 2017, che si giustificava dall’omogeneità dei comportamenti criminosi e dalle circostanze di tempo e di luogo nelle quali tali condotte illecite si concretizzavano; dati, questi, non riscontrabili per i fatti di reato giudicati dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Napoli, con la sentenza irrevocabile del 5 marzo 2014, indicata nel punto 3 del provvedimento impugnato.
Non può, per altro verso, non rilevarsi che la reiterazione di condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dallo stesso intende trarre sostentamento, come nel caso di NOME COGNOME In queste ipotesi, infatti, la proclività al crimine del condannata deve ritenersi disciplinata da istituti differenti dalla continuazione, quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro normativo rispetto a quello sotteso all’istituto in esame, che, viceversa, appare orientato a favorire il soggetto attivo dei vari reati, applicandogli un trattamento sanzionatorio mitigato dagli effetti del combinato disposto degli artt. 81, comma secondo, cod. pen., e 671 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, Abbassi, cit.)
4. Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così Ł deciso, 23/06/2025
Il Consigliere estensore COGNOME
Il Presidente NOME COGNOME