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Continuazione tra reati: no se manca un disegno unico

La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione della continuazione tra reati di narcotraffico e associazione mafiosa commessi in un arco temporale di oltre trent’anni. La Corte ha stabilito che la mera appartenenza a un’associazione criminale e la commissione di reati dello stesso tipo non sono sufficienti a dimostrare un unico disegno criminoso, soprattutto in presenza di una notevole distanza temporale e di differenze strutturali tra le associazioni. L’istanza è stata giudicata in parte inammissibile e in parte infondata, confermando una precedente decisione e ritenendo i nuovi elementi presentati non idonei a modificarla.

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Pubblicato il 22 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: la Cassazione e i Limiti del Disegno Criminoso Unico

La recente sentenza della Corte di Cassazione, n. 21922 del 2024, offre un’importante lezione sulla continuazione tra reati, chiarendo i rigidi presupposti necessari per il suo riconoscimento, specialmente in contesti di criminalità organizzata che si protraggono per decenni. Questo istituto, che consente di unificare più reati sotto un’unica pena più mite, non può essere invocato sulla base della sola appartenenza a un’associazione criminale o della generica omogeneità dei delitti. È necessaria la prova di un’unica, iniziale programmazione criminale, un elemento che la Corte, nel caso di specie, ha ritenuto del tutto assente.

I Fatti del Caso

Il ricorrente, già condannato con diverse sentenze definitive per reati gravissimi, tra cui associazione di tipo mafioso (art. 416-bis c.p.) e associazione finalizzata al narcotraffico, ha chiesto al giudice dell’esecuzione di applicare la disciplina della continuazione tra reati. In particolare, la richiesta mirava a collegare un’associazione per narcotraffico operante tra il 1987 e il 1990 con una successiva, attiva tra il 2014 e il 2015, e a legare quest’ultima a una condanna per associazione mafiosa. Una richiesta simile era già stata respinta in passato, ma il condannato l’ha riproposta sostenendo la presenza di nuovi elementi (un cosiddetto novum), tra cui passaggi di altre sentenze e le dichiarazioni di un collaboratore di giustizia.

La disciplina della continuazione tra reati e la decisione della Corte

Il giudice dell’esecuzione aveva nuovamente respinto l’istanza, sottolineando l’enorme distanza temporale (circa 15 anni) tra i fatti e le diverse caratteristiche delle associazioni criminali. La seconda, infatti, era dedita al traffico internazionale di ingenti quantitativi di cocaina dal Sud America con sistemi di comunicazione cifrati, mentre la prima era più radicata sul territorio.

La Corte di Cassazione ha confermato questa decisione, dichiarando il ricorso in parte inammissibile e in parte infondato. I giudici hanno ribadito che la riproposizione di un’istanza già respinta è preclusa, a meno che non vengano presentati elementi nuovi e sostanziali, capaci di modificare il quadro probatorio. Nel caso in esame, gli elementi addotti sono stati ritenuti generici e inidonei a tale scopo.

le motivazioni

La Suprema Corte ha smontato punto per punto le argomentazioni della difesa. In primo luogo, ha chiarito che la continuazione tra reati richiede una ‘visibile programmazione e deliberazione iniziale di una pluralità di condotte in vista di un unico fine’. Non è sufficiente dimostrare che il narcotraffico sia il ‘mestiere’ dell’appartenente alla ‘ndrangheta. Questa affermazione, infatti, descrive un’abitualità nel reato, una ‘scelta di vita’ criminale, ma non prova l’esistenza di un piano unitario concepito decenni prima.

Inoltre, la Corte ha sottolineato la profonda differenza tra l’associazione di tipo mafioso e quella finalizzata al narcotraffico. La prima ha un profilo programmatico più ampio, che include il controllo del territorio, l’infiltrazione nell’economia e l’influenza sulle elezioni, non limitandosi al solo traffico di stupefacenti. Pertanto, l’adesione a entrambe non è automaticamente sovrapponibile ai fini della continuazione tra reati.

Anche l’argomento basato sulla presunta ‘ascesa’ criminale del ricorrente, che avrebbe richiesto tempo per maturare un piano più ampio, è stato giudicato puramente congetturale e ipotetico, e quindi inidoneo a rendere illogica la decisione del giudice dell’esecuzione.

le conclusioni

La sentenza ribadisce un principio fondamentale: l’onere di provare l’esistenza del medesimo disegno criminoso grava su chi lo allega. Non si possono utilizzare argomenti generici, come la comune appartenenza a un’organizzazione criminale, per superare ostacoli evidenti come la grande distanza temporale tra i fatti e le differenze operative delle condotte. Questa decisione consolida un orientamento giurisprudenziale rigoroso, volto a evitare un’applicazione eccessivamente estensiva della continuazione tra reati, che finirebbe per trasformare l’abitualità criminale in un unico, grande reato, con un ingiustificato beneficio sanzionatorio. Il provvedimento serve da monito: le istanze in sede esecutiva, specialmente se ripetitive, devono essere fondate su elementi nuovi, concreti e dirompenti, non su mere reinterpretazioni di fatti già noti.

È possibile riproporre un’istanza per la continuazione tra reati già respinta in precedenza?
Sì, ma solo se si prospettano elementi nuovi, sopravvenuti o preesistenti non dedotti, che abbiano un significato sostanziale e non siano mere apparenze formali. Un’istanza con contenuto identico o basata su elementi generici e inidonei a modificare la precedente decisione è preclusa, ai sensi dell’art. 666, comma 2, c.p.p.

L’appartenenza a un’associazione mafiosa unifica automaticamente tutti i reati commessi dall’affiliato in un unico disegno criminoso?
No. La Corte ha chiarito che l’appartenenza a un’associazione di stampo mafioso non è sufficiente a dimostrare un’unica programmazione per tutti i reati commessi, neppure per quelli, come il narcotraffico, che sono tipici dell’organizzazione. È sempre necessario provare una specifica e unitaria deliberazione iniziale che leghi le varie condotte illecite.

Qual è la differenza tra ‘disegno criminoso unico’ e ‘abitualità nel reato’?
Il ‘disegno criminoso unico’ implica una programmazione e deliberazione iniziale di una serie di reati, concepiti come parte di un unico piano prima dell’esecuzione del primo. L”abitualità nel reato’, invece, descrive una scelta di vita dedicata al crimine, una tendenza a delinquere che si manifesta in più episodi non necessariamente legati da un piano originario. La sentenza sottolinea che solo il primo caso giustifica l’applicazione della continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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