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Continuazione tra reati: no se manca un disegno unico

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. La Corte ha stabilito che la notevole diversità dei reati commessi e l’ampio arco temporale (quasi tre anni) impedivano di identificare un unico disegno criminoso, elemento indispensabile per l’applicazione di questo istituto. La sentenza distingue nettamente la continuazione, basata sul favor rei, da uno stile di vita criminale, sanzionato da altri istituti come la recidiva.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando la Reiterazione Non Basta

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta una colonna portante del nostro sistema sanzionatorio, orientato al principio del favor rei. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede la presenza di requisiti rigorosi, come chiarito da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il provvedimento in esame ha negato il beneficio a un ricorrente, sottolineando la differenza cruciale tra un singolo disegno criminoso e una generica tendenza a delinquere.

I Fatti del Caso e la Decisione dei Giudici di Merito

Il caso nasce dal ricorso presentato avverso un’ordinanza della Corte di Appello di Lecce. Quest’ultima aveva rigettato la richiesta di un soggetto di vedere riconosciuta la continuazione tra reati per una serie di illeciti giudicati con sentenze irrevocabili. La finalità della richiesta era, evidentemente, quella di ottenere una rideterminazione della pena complessiva in senso più favorevole.

La Corte territoriale, però, aveva respinto l’istanza, ritenendo che i crimini contestati non potessero essere ricondotti a un’unica e originaria programmazione. Gli elementi che hanno portato a questa conclusione sono stati principalmente due: l’eterogeneità esecutiva dei delitti e l’ampio arco temporale in cui erano stati commessi, esteso per quasi tre anni (dal marzo 2012 al febbraio 2015).

La Valutazione della Cassazione sulla Continuazione tra Reati

La Suprema Corte, investita della questione, ha confermato la decisione dei giudici di merito, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici di legittimità hanno ribadito che per poter applicare l’articolo 671 del codice di procedura penale, è necessario dimostrare che i diversi reati siano stati concepiti come parte di un unico piano premeditato. Nel caso di specie, la notevole distanza temporale e la diversità delle condotte rendevano impossibile ipotizzare una tale preordinazione.

La Corte ha specificato che la semplice reiterazione di condotte illecite non può essere confusa con il medesimo disegno criminoso. Un comportamento criminale persistente nel tempo non è espressione della continuazione tra reati, ma piuttosto di una scelta di vita che il sistema giuridico sanziona attraverso altri istituti, come la recidiva, l’abitualità o la professionalità nel reato.

Le Motivazioni: Unico Disegno Criminoso vs Stile di Vita Illegale

Il cuore della motivazione risiede nella netta distinzione tra due concetti solo apparentemente simili. La continuazione tra reati è un istituto ispirato al favor rei, che presuppone un’unica deliberazione iniziale che si manifesta in più azioni delittuose. L’autore decide a monte di compiere una serie di violazioni della legge penale per raggiungere un determinato scopo.

Al contrario, la tendenza a delinquere o la professionalità nel reato descrivono una condizione soggettiva dell’individuo, che vive abitualmente dei proventi della sua attività criminale. In questo secondo scenario, non c’è un unico piano, ma una successione di decisioni autonome di commettere reati. Il legislatore tratta queste situazioni con maggior rigore, non con il favore previsto per la continuazione.

La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui l’ampiezza dell’arco temporale e la disomogeneità dei reati sono indicatori forti dell’assenza di un progetto unitario. Pertanto, la richiesta del ricorrente è stata correttamente respinta, in quanto basata su una visione errata dell’istituto.

Conclusioni: le Implicazioni Pratiche della Decisione

La decisione in commento consolida un principio fondamentale: il beneficio della continuazione tra reati non è uno strumento per mitigare la pena di chi delinque abitualmente. Le implicazioni pratiche sono rilevanti. Per ottenere l’applicazione dell’art. 671 c.p.p., la difesa deve fornire prove concrete di un’unica programmazione che leghi i diversi episodi criminosi. La sola vicinanza temporale o una generica somiglianza non sono sufficienti, specialmente se controbilanciate da elementi di segno opposto come la diversità delle modalità esecutive e un lungo periodo di tempo. In definitiva, la Cassazione ribadisce che la lotta alla criminalità abituale passa per l’applicazione degli istituti ad essa dedicati, senza snaturare la funzione e i presupposti della continuazione.

Quando si può applicare la continuazione tra reati?
La continuazione si applica solo quando si può dimostrare che più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo e unico disegno criminoso, concepito in anticipo dall’autore.

La ripetizione costante di crimini è sufficiente per ottenere il riconoscimento della continuazione?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che la semplice reiterazione di condotte illecite, che può indicare uno stile di vita criminale, non equivale al medesimo disegno criminoso. Tale comportamento è sanzionato da altri istituti come la recidiva o l’abitualità nel reato.

Quali elementi hanno impedito il riconoscimento della continuazione nel caso specifico?
Due elementi principali: l’eterogeneità esecutiva dei delitti commessi (erano diversi nel modo in cui sono stati realizzati) e l’ampio arco temporale, quasi tre anni, che ha reso impossibile ritenere dimostrata un’originaria e unitaria progettazione criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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