Continuazione tra Reati: Quando la Reiterazione Non Basta
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta una colonna portante del nostro sistema sanzionatorio, orientato al principio del favor rei. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede la presenza di requisiti rigorosi, come chiarito da una recente ordinanza della Corte di Cassazione. Il provvedimento in esame ha negato il beneficio a un ricorrente, sottolineando la differenza cruciale tra un singolo disegno criminoso e una generica tendenza a delinquere.
I Fatti del Caso e la Decisione dei Giudici di Merito
Il caso nasce dal ricorso presentato avverso un’ordinanza della Corte di Appello di Lecce. Quest’ultima aveva rigettato la richiesta di un soggetto di vedere riconosciuta la continuazione tra reati per una serie di illeciti giudicati con sentenze irrevocabili. La finalità della richiesta era, evidentemente, quella di ottenere una rideterminazione della pena complessiva in senso più favorevole.
La Corte territoriale, però, aveva respinto l’istanza, ritenendo che i crimini contestati non potessero essere ricondotti a un’unica e originaria programmazione. Gli elementi che hanno portato a questa conclusione sono stati principalmente due: l’eterogeneità esecutiva dei delitti e l’ampio arco temporale in cui erano stati commessi, esteso per quasi tre anni (dal marzo 2012 al febbraio 2015).
La Valutazione della Cassazione sulla Continuazione tra Reati
La Suprema Corte, investita della questione, ha confermato la decisione dei giudici di merito, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici di legittimità hanno ribadito che per poter applicare l’articolo 671 del codice di procedura penale, è necessario dimostrare che i diversi reati siano stati concepiti come parte di un unico piano premeditato. Nel caso di specie, la notevole distanza temporale e la diversità delle condotte rendevano impossibile ipotizzare una tale preordinazione.
La Corte ha specificato che la semplice reiterazione di condotte illecite non può essere confusa con il medesimo disegno criminoso. Un comportamento criminale persistente nel tempo non è espressione della continuazione tra reati, ma piuttosto di una scelta di vita che il sistema giuridico sanziona attraverso altri istituti, come la recidiva, l’abitualità o la professionalità nel reato.
Le Motivazioni: Unico Disegno Criminoso vs Stile di Vita Illegale
Il cuore della motivazione risiede nella netta distinzione tra due concetti solo apparentemente simili. La continuazione tra reati è un istituto ispirato al favor rei, che presuppone un’unica deliberazione iniziale che si manifesta in più azioni delittuose. L’autore decide a monte di compiere una serie di violazioni della legge penale per raggiungere un determinato scopo.
Al contrario, la tendenza a delinquere o la professionalità nel reato descrivono una condizione soggettiva dell’individuo, che vive abitualmente dei proventi della sua attività criminale. In questo secondo scenario, non c’è un unico piano, ma una successione di decisioni autonome di commettere reati. Il legislatore tratta queste situazioni con maggior rigore, non con il favore previsto per la continuazione.
La Corte ha richiamato la propria giurisprudenza consolidata, secondo cui l’ampiezza dell’arco temporale e la disomogeneità dei reati sono indicatori forti dell’assenza di un progetto unitario. Pertanto, la richiesta del ricorrente è stata correttamente respinta, in quanto basata su una visione errata dell’istituto.
Conclusioni: le Implicazioni Pratiche della Decisione
La decisione in commento consolida un principio fondamentale: il beneficio della continuazione tra reati non è uno strumento per mitigare la pena di chi delinque abitualmente. Le implicazioni pratiche sono rilevanti. Per ottenere l’applicazione dell’art. 671 c.p.p., la difesa deve fornire prove concrete di un’unica programmazione che leghi i diversi episodi criminosi. La sola vicinanza temporale o una generica somiglianza non sono sufficienti, specialmente se controbilanciate da elementi di segno opposto come la diversità delle modalità esecutive e un lungo periodo di tempo. In definitiva, la Cassazione ribadisce che la lotta alla criminalità abituale passa per l’applicazione degli istituti ad essa dedicati, senza snaturare la funzione e i presupposti della continuazione.
Quando si può applicare la continuazione tra reati?
La continuazione si applica solo quando si può dimostrare che più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo e unico disegno criminoso, concepito in anticipo dall’autore.
La ripetizione costante di crimini è sufficiente per ottenere il riconoscimento della continuazione?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che la semplice reiterazione di condotte illecite, che può indicare uno stile di vita criminale, non equivale al medesimo disegno criminoso. Tale comportamento è sanzionato da altri istituti come la recidiva o l’abitualità nel reato.
Quali elementi hanno impedito il riconoscimento della continuazione nel caso specifico?
Due elementi principali: l’eterogeneità esecutiva dei delitti commessi (erano diversi nel modo in cui sono stati realizzati) e l’ampio arco temporale, quasi tre anni, che ha reso impossibile ritenere dimostrata un’originaria e unitaria progettazione criminale.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19885 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19885 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a TORINO il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 09/12/2023 della CORTE APPELLO di LECCE
dato avviso alle parti; udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 9 dicembre 2023, con la quale la Corte di appello dì Lecce rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1-3 del provvedimento impugnato.
Ritenuto che le ipotesi di reato di cui si assumeva la continuazione non risultavano tra loro omogenee sul piano esecutivo e non erano riconducibili, neppure astrattamente, a una preordinazione, tenuto conto dell’eterogeneità esecutiva dei delitti commessi da COGNOME e della notevole ampiezza dell’arco temporale in cui i reati di cui si controverte erano stati commessi, compreso tra il 24 marzo 2012 e il 20 febbraio 2015, che impediva di ritenere dimostrata l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio giurisdizionale (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, COGNOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
Ritenuto che la reiterazione delle condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine, come nel caso di COGNOME, venendo sanzionata da fattispecie quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al favor rei (tra le altre, Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 -01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.