Continuazione tra Reati: Quando il Tempo e il Contesto Spezzano il Legame
L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta una colonna portante del nostro sistema sanzionatorio, offrendo un trattamento più mite a chi commette più violazioni di legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, l’applicazione di questo beneficio non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un chiaro esempio di come e perché tale richiesta possa essere respinta, sottolineando l’importanza di una programmazione unitaria e non di una semplice successione di illeciti.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda il ricorso presentato da un individuo avverso l’ordinanza di un Giudice per le Indagini Preliminari. L’istante chiedeva che venissero unificati, sotto il vincolo della continuazione, reati giudicati con tre sentenze diverse. In particolare, si contestava il mancato riconoscimento di un legame programmatico tra i crimini oggetto di due sentenze (rientranti in un contesto di associazione a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti) e un ulteriore reato, giudicato separatamente.
Il giudice di merito aveva respinto la richiesta, ritenendo che mancassero le prove di un’unica strategia criminale che collegasse tutti gli episodi delittuosi. Contro questa decisione, l’interessato ha proposto ricorso per cassazione.
La Decisione della Corte e la Prova della Continuazione tra Reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la valutazione del giudice dell’esecuzione. Secondo gli Ermellini, il ricorso era manifestamente infondato, in quanto non offriva elementi concreti per smentire la logicità della decisione impugnata, ma si limitava a proporre una lettura alternativa degli atti.
Le Motivazioni della Decisione
Il cuore della pronuncia risiede nelle motivazioni con cui i giudici hanno escluso la sussistenza di un medesimo disegno criminoso. Sono stati evidenziati tre fattori decisivi:
1. La notevole distanza temporale: Un lasso di tempo di diversi anni tra la commissione dei reati è stato considerato un primo, forte indizio dell’assenza di un’unica programmazione iniziale.
2. Il differente contesto criminale: I reati giudicati con le prime due sentenze erano maturati all’interno di una specifica associazione criminale (ex art. 74 D.P.R. 309/90). Il terzo reato, invece, era estraneo a quel contesto e vedeva la partecipazione di soggetti quasi tutti diversi, fatta eccezione per un singolo concorrente. Questa diversità di ambiente operativo e di complici ha rafforzato la tesi di una frammentazione della volontà criminale.
3. L’autonomia delle risoluzioni criminose: Alla luce dei punti precedenti, la Corte ha concluso che i reati non erano altro che l’espressione di autonome e distinte risoluzioni criminose. Si trattava di una “pervicace volontà criminale” che si manifestava in episodi distinti, non di un piano concepito sin dall’inizio. Mancava, in sintesi, la prova che l’imputato, già al momento della consumazione del primo reato, avesse programmato anche i successivi.
Le Conclusioni
Questa ordinanza riafferma un principio fondamentale in materia di continuazione tra reati: per ottenere il beneficio, non è sufficiente dimostrare di aver commesso più illeciti in un arco di tempo più o meno esteso. È necessario fornire la prova rigorosa di un’unica deliberazione iniziale che abbracci tutti gli episodi contestati. La distanza temporale, la diversità del contesto operativo e la differente composizione del gruppo criminale sono elementi fattuali che, se presenti, possono legittimamente portare un giudice a escludere l’esistenza di un disegno unitario e, di conseguenza, a negare l’applicazione dell’istituto di favore.
Quando può essere riconosciuta la continuazione tra reati?
Può essere riconosciuta solo quando vi è la prova che i diversi reati siano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario e preordinato sin dall’inizio, che comprende la totalità degli illeciti.
La distanza temporale tra i reati è un ostacolo al riconoscimento della continuazione?
Sì, secondo la Corte una notevole distanza temporale tra i reati, unitamente ad altri elementi come il diverso contesto criminale, è un fattore decisivo che può portare a escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso e quindi a negare la continuazione.
Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità di un ricorso in Cassazione?
La dichiarazione di inammissibilità comporta non solo il rigetto del ricorso senza un esame nel merito, ma anche la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, se non si esclude la colpa, al versamento di una somma di denaro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 33425 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 33425 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/09/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a PALERMO il 17/10/1956
avverso l’ordinanza del 01/04/2025 del GIP TRIBUNALE di PALERMO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso, la memoria difensiva e la ordinanza impugnata.
Ri/evatO, anzitutto, che la memoria è stata tardivamente depositata oltre il termine di quindici giorni prima della odierna udienza;
Ritenuto, poi, che il ricorso di NOME COGNOME è manifestamente infondato;
Considerato, infatti, che il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ineccepibilmente osservato che osta al riconoscimento della continuazione tra i reati indicati nell’istanza, con riliev decisivo, l’assenza di circostanze da cui desumere che il predetto, sin dalla consumazione del reato di cui alla sentenza n.3, avesse programmato, sia pure nelle linee generali richieste dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche quelli successivo, tenuto conto della notevole distanza temporale intercorsa tra di essi (di vari anni), del differente contesto criminale in cui essi erano maturati atteso che i reati di cui alle sentenze sub 1) e 2) rientravano nell’ambito di una associazione ex art. 74 d.P.R. 309/90, della quale facevano parte soggetti differenti rispetto a quelli di cui alla sentenza sub 3) fatta eccezione per un unico concorrente. In tale contesto i reati commessi sono riconducibili ad autonome risoluzioni criminose ed espressione di una pervicace volontà criminale non meritevole dell’applicazione di istituti di favore;
Considerato che le censure del ricorrente, oltre ad essere generiche, sollecitano una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice dell’esecuzione;
Ritenuto che, pertanto, deve essere dichiarata l’inammissibilità del ricorso, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti a escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso in Roma, il 25 settembre 2025.