Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 20940 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 20940 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 09/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a MESAGNE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 30/01/2024 del TRIBUNALE di UDINE
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
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Rilevato in fatto e considerato in diritto
Ritenuto che sono inammissibili le censure dedotte nel ricorso di NOME COGNOME (al quale risulta essere stata, già, rigettata istanza di unificazione per quattordici delle sentenze di cui alla richiesta di unificazione in esame con ordinanza del Tribunale di Catanzaro in composizione monocratica, quale giudice dell’esecuzione, avverso la quale si proponeva ricorso per cassazione rigettato dalla Sez. 1, con sentenza n. 12710 del 22/02/2023) – nel quale il difensore si duole del vizio di motivazione e della violazione di legge con riguardo al mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i reati di cui a diciassette sentenze irrevocabili, lamentando che sono stati trascurati gli indici rivelatori dell’unicità del disegno criminoso e in particolare la riconducibilità di detti reati programma associativo mafioso, per essere, invero, il condannato un esponente di spicco dell’organizzazione di tipo mafioso RAGIONE_SOCIALE – perché costituite da mere doglianze in punto di fatto.
Considerato che dette censure sono, altresì, riproduttive di profili di censura già adeguatamente vagliati e disattesi con corretti argomenti giuridici dal Tribunale di Udine in composizione monocratica, quale giudice dell’esecuzione, nel provvedimento impugnato.
In esso, invero, si evidenzia, con riguardo alla richiesta continuazione, che: le fattispecie oggetto delle sentenze sono tra loro eterogenee, attese le varietà dei titoli di reato contestati e le modalità delle condotte, spesso intervallate da un non trascurabile iato temporale, andandosi dall’associazione mafiosa, alla resistenza a pubblico ufficiale, alla violazione delle misure di prevenzione, al traffico di stupefacenti, al sequestro di persona e alla minaccia; – non è dirimente la riconduzione delle fattispecie alla comune matrice dell’appartenenza di NOME alla criminalità organizzata prospettata dal richiedente, in relazione alla gran parte dei reati giudicati con dette sentenze, essendo il tratto distintivo del delitto di cui all’art. 416-bis cod. pen. proprio l’indeterminatezza del programma criminoso cui aderisce l’affiliato; – i fatti di cui ai punti 6, 8, 9, 10, 11, 12 oltre ad essere risalenti ad epoca antecedente all’affiliazione di NOME (avvenuta nel 2009-2010), sono condotte tra loro assai diverse, anche quando riguardano lo stesso reato (la violazione delle misure di prevenzione si è manifestata in un caso in allontanamento dal comune e nell’altro nella mancata presentazione alla Stazione dei carabinieri); – i delitti di cui ai punti 1 e 2 della richiesta risultano unificati ; – in ogni caso non ricorrono elementi che consentano di affermare che i delitti in materia di stupefacenti oggetto delle sentenze di cui ai punti, 1, 2 e 4 siano stati programmati nel momento in cui COGNOME si determinava
a fare ingresso nel sodalizio mafioso di cui al punto 3 della richiesta; – in particolare l’acquisto di cocaina oggetto della sentenza del Tribunale di Lecce del 27 giugno 2018 (punto 4 della richiesta) attiene ad una vicenda criminale definita come “autonoma” concernente l’acquisto da parte di NOME di sostanza da un grossista di Torchiarolo; – riguardo ai delitti in materia di stupefacenti risalenti ad ottobre/novembre 2009 (di cui alla sentenza indicata al punto 5 della richiesta) non si evincono elementi che consentano di affermare che siano stati programmati all’atto dell’affiliazione, che non può ritenersi conclamata prima del dicembre 2009; – i delitti commessi negli anni 2010 e 2011, indicati ai punti 7, 13, 14, 15 della richiesta, non possono ritenersi riconducibili al contesto associativo per la mera concomitanza cronologica, non rinvenendosi altri punti di convergenza e trattandosi di fattispecie di evasione, resistenza a pubblico ufficiale e violazione delle misure di prevenzione strutturalmente diverse tra loro (peraltro l’unificazione risulta già intervenuta in ordine ai delitti di cui all’art. 1423/1956, risalenti all’anno 2011, oggetto delle sentenze di cui ai capi 13 e 14); – il delitto di cui all’art. 612 cod. pen., di cui al punto 17 della richie risalente al 2016, risulta commesso a distanza temporale dagli altri e in un contesto completamente differente (Casa circondariale di Tolmezzo) anche sotto il profilo geografico; – per i reati commessi da NOME può parlarsi più che di un disegno criminoso unitario, di uno stile di vita connotato da pervicace dedizione al crimine.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, il 9 maggio 2024.