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Continuazione tra reati: no se manca disegno criminoso

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un imprenditore condannato per due distinti episodi di bancarotta fraudolenta. La richiesta di riconoscimento della continuazione tra reati è stata respinta perché, nonostante la somiglianza dei crimini, mancava la prova di un unico e preordinato disegno criminoso. Secondo la Corte, i reati sono stati commessi in contesti logici e temporali diversi, indicando una proclività al crimine piuttosto che un piano unitario.

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Pubblicato il 21 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando la somiglianza non basta

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del diritto penale, consentendo di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più violazioni in esecuzione di un unico piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sent. N. 18160/2025) chiarisce i confini tra un “medesimo disegno criminoso” e una semplice “proclività al crimine”, negando il beneficio in un caso di doppia bancarotta fraudolenta.

I fatti del caso

Un imprenditore, amministratore di due distinte società operanti nel settore dell’abbigliamento, è stato condannato in due procedimenti separati per bancarotta fraudolenta documentale.

La prima condanna riguardava la gestione di una società con diverse sedi operative in Italia, per condotte illecite commesse tra il 2010 e il 2014. La seconda condanna, invece, si riferiva a un’altra società, operante solo a livello locale, per fatti avvenuti tra il 2012 e il 2016.

In sede di esecuzione, l’imprenditore ha richiesto l’applicazione della continuazione tra reati, sostenendo che entrambi i fallimenti fossero frutto di un unico disegno criminoso, data la natura identica dei reati, la parziale sovrapposizione temporale e l’oggetto sociale simile delle due aziende.

La decisione della Corte sulla continuazione tra reati

Il Tribunale prima, e la Corte di Cassazione poi, hanno respinto la richiesta. I giudici hanno sottolineato che, per riconoscere la continuazione, non è sufficiente la mera omogeneità delle condotte illecite. È necessario dimostrare che l’agente, al momento della commissione del primo reato, avesse già programmato, almeno nelle sue linee essenziali, la commissione dei successivi.

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che i reati fossero stati realizzati in contesti logici, cronologici e spaziali differenti. Le due società erano distinte, operavano su scale diverse (nazionale e locale) e i rispettivi fallimenti erano avvenuti a due anni di distanza l’uno dall’altro. Questi elementi hanno portato a escludere l’esistenza di un piano unitario e preordinato.

Le motivazioni: disegno criminoso vs proclività al crimine

La motivazione della sentenza si fonda sulla distinzione cruciale tra “medesimo disegno criminoso” e “sistematicità e proclività al crimine”. Il primo è un elemento psicologico che precede l’azione e unifica diverse condotte in un unico progetto. La seconda, invece, descrive un’abitudine o una tendenza a delinquere, una sorta di “scelta di vita” criminale che non merita il trattamento più favorevole previsto per la continuazione.

Secondo la Cassazione, in assenza di prove concrete di un piano unitario concepito prima del 2010 (anno di inizio delle condotte della prima società), le azioni dell’imprenditore non potevano essere ricondotte a un disegno criminoso. Al contrario, esse rivelavano una tendenza a reiterare condotte illecite, una caratteristica soggettiva negativa che non può essere confusa con la programmazione di uno specifico piano criminale.

Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa pronuncia ribadisce un principio fondamentale: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, l’imputato deve fornire elementi concreti che dimostrino l’esistenza di una deliberazione iniziale e unitaria. La semplice ripetizione di reati simili, anche in un arco di tempo parzialmente sovrapposto, non è di per sé sufficiente. La decisione sottolinea l’onere probatorio a carico di chi invoca il beneficio, il quale deve superare la presunzione che i reati siano espressione di autonome e successive determinazioni criminose. La sentenza serve quindi da monito, chiarendo che la sistematicità nel commettere reati porta a una valutazione di maggiore pericolosità sociale, incompatibile con i presupposti della continuazione.

Quando si può applicare la continuazione tra reati?
L’istituto si applica quando si può dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i reati successivi erano già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, come parte di un unico disegno criminoso.

La somiglianza tra più reati è sufficiente per riconoscere la continuazione?
No. Secondo la sentenza, l’omogeneità delle violazioni è solo uno degli indicatori da valutare, ma non è sufficiente da sola. È indispensabile provare l’esistenza di un’unica e preventiva programmazione criminale.

Che differenza c’è tra un ‘disegno criminoso’ e una ‘proclività al crimine’?
Il ‘disegno criminoso’ è un piano specifico e unitario, concepito prima di commettere il primo reato, che lega tra loro diverse azioni illecite. La ‘proclività al crimine’, invece, è una tendenza generale e abituale a delinquere, che non presuppone un piano preordinato e viene valutata negativamente dal giudice, essendo incompatibile con il beneficio della continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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