Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 11451 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 11451 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 20/12/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
COGNOME NOME nato a Napoli l’11/8/1976
avverso l’ordinanza della Corte d’Appello di Napoli del 12/10/2024
letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME; generale NOME NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso;
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza in data 12.10.2024, la Corte d’Appello di Napoli, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato una istanza, proposta nell’interesse di CORDUA Francesco, di applicazione della disciplina della continuazione ai reati giudicati con sentenza della Corte d’Appello di Napoli del 22.6.2023 (irrev ocabile il 28.2.2024) e con sentenza del G.u.p. del Tribunale di Napoli del 27.4.2018 (irrevocabile l’1.3.2019).
Il giudice dell’esecuzione rileva che la prima sentenza nei confront i di Cordua riguarda una condanna per il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen., quale affiliato
del clan COGNOME da dicembre 2004 a febbraio 2020, mentre la seconda sentenza riguarda una condanna per i reati di violenza privata e danneggiamento ai danni di una troupe del programma televisivo ‘Striscia la notizia’ che stava realizzando un servizio sul traffico di stupefacenti nel rione INDIRIZZO di Caivano in data 1.11.2018.
Di conseguenza, ritiene che i fatti della seconda sentenza attengano ad avvenimenti del tutto imprevedibili, che avevano portato alla ribalta il territorio di Caivano in quel periodo, e che, dunque, sono frutto di un’iniziativa estemporanea e non preventivata, del tutto eterogenea rispetto al programma dell’associazione a delinquere.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore del condannato, articolando un unico motivo, con cui deduce, ai sensi dell’art. 606, lett. b) ed e), cod. proc. pen., l’erronea applicazione della legge penale e la illogicità della motivazione.
Evidenzia che il clan di cui faceva parte COGNOME svolgeva attività di spaccio di stupefacenti a Caivano e che, pertanto, l’attacco alla troupe televisiva era un’azione riconducibile all’associazione, non essendo dettata da una iniziativa p ersonale dell’associato, il quale non aveva propri motivi di astio nei confronti del giornalista che voleva documentare il traffico di droga. Nell’organigramma associativo, COGNOME aveva appunto il compito di garantire il rispetto della ‘piazza di spaccio’ con la forza intimidatrice dell’associazione.
Con requisitoria scritta del 22.11.2024, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, in quanto la motivazione dell’ordinanza impugnata è congrua e logica, come tale non suscettibile di censura in sede di legittimità.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato e, pertanto, deve essere disatteso per le ragioni di seguito esposte.
Per costante insegnamento della Suprema Corte, la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati-fine è ipotizzabile a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio (Sez. 1, n. 23818 del 22/6/2020, Rv. 279430 -01; Sez. 1, n. 1534 del 9/11/2017, dep. 2018, Rv. 271984 -01).
Ma non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e quei reatifine che, pur rientrando nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso ed essendo finalizzati al suo rafforzamento, non erano programmabili “ab origine” perché legati a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, non immaginabili al momento iniziale dell’associazione (Sez. 6, n. 13085 del 03/10/2013, dep. 2014, Rv. 259481 -01; Sez . 5 , n. 54509 dell’8/10/2018, Rv. 275334 -02).
2. Ciò detto, si deve tenere conto innanzitutto che Cordua, con la prima delle due sentenze prese in considerazione nell’istanza presentata al giudice dell’esecuzione, è stato condannato per il reato di partecipazione ad un’associazione di stampo mafioso per quanto risulta dall’ordinanza impugnata -a far data dal dicembre del 2004, mentre i fatti successivi che egli chiede di mettere in continuazione con tale primo reato sono stati commessi nel 2018.
Di conseguenza, è del tutto congrua la motivazione del l’ordinanza impugnata quando evidenzia -per escludere la continuazione -che i reati di violenza privata e danneggiamento, posti in essere diversi anni dopo l ‘ adesione del ricorrente al sodalizio criminale di matrice camorristica, sono stati evidentemente commessi in relazione a singole circostanze del tutto occasionali e sconnesse da quelle in cui fu inizialmente deliberato il programma associativo.
In questo modo, l’ordinanza fa corretta a pplicazione del principio, sopra menzionato, secondo cui non è configurabile la continuazione tra il reato associativo e i reati-fine quando questi ultimi dipendano da eventi contingenti e non previsti.
Se può essere vero -come sostiene il ricorso -che la gestione del territorio su cui l’associazione estende la propria pervasiva influenza costituisce verosimilmente uno dei punti suscettibili di una previsione generale e ipotetica nel contesto di un’organizzazione di stampo mafioso, ciò nondimeno è ne cessario un disegno criminoso, che non è identificabile nel programma dell’associazione, ma è piuttosto la ideazione e la deliberazione di una serie di reati da compiere.
Efficacemente è stato osservato in una delle precedenti pronunce già sopra citate (Sez. 1, n. 23818 del 22/6/2020, Rv. 279430 -01) che, ragionando diversamente, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente trattamento sanzionatorio di favore, in virtù del quale tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all’art. 416bis cod. pen.
La finalità ultima collegata ai reati commessi in ambito associativo può contribuire a provare il disegno criminoso, ma è esterna ai reati stessi e non lo integra da sola. La commissione dei reati-fine nell’interesse del sodalizio mafioso
è un elemento di non univoca valenza, ben potendo la relativa deliberazione criminosa essere maturata successivamente alla costituzione all’associazione o all’adesione ad essa del singolo partecipe. E’ necessario, dunque, che l’associazione e i reati ulteriori siano contemporaneamente ideati e deliberati nella loro tendenziale specificità.
Conseguentemente, la motivazione del giudice dell’esecuzione n on è affatto illogica o contraddittoria quando considera che la continuazione non sia ravvisabile tra fatti determinati da circostanze contingenti e non prevedibili nella loro singolarità.
Peraltro, la esclusione in sede di esecuzione del collegamento tra i reati di cui s’è fin qui trattato è, in ogni caso, giustificata da altri due argomenti dì sicura rilevanza.
Il primo è che COGNOME è stato condannato per il reato di associazione a delinquere di stampo mafioso e non per il reato di associazione
Se si considera che l’associazione a delinquere di tipo mafioso, secondo la formulazione dell’art. 416 -bis cod. pen., ha il programma di commettere delitti funzionali all’acquisizione della gestione o al controllo di attività economiche e comunque alla realizzazione di profitti o vantaggi ingiusti, ovvero al turbamento delle elezioni e al procacciamento di voti, non è possibile ritenere che condotte d elittuose volte ad agevolare l’attività di illecita vendita di stupefacenti siano funzionali rispetto alle finalità economicoelettorali dell’associazione.
Il secondo è che non risulta che in sede di cognizione i reati oggetto della seconda sentenza siano stati ritenuti aggravati dalla finalità di agevolare l’attività dell’associazione mafiosa di cui era partecipe COGNOME.
Di conseguenza, il principale elemento su cui si fonda il ricorso -ovvero che l’intimidazione e il danneggiamento dell’autovettura della troupe del noto programma televisivo fossero riconducibili all’associazione mafiosa e all’intento di preservarne la sua attività -non ha trovato spazio nel giudizio di cognizione, ove pertanto il ricorrente ha conseguentemente ricevuto un trattamento più favorevole di quello che gli sarebbe stato riservato se avesse avuto applicazione la più grave qualificazione del fatto che egli ora invoca (per farne derivare opposte conseguenze) in sede esecutiva.
Si può affermare, dunque, che, nel caso di specie, il giudice dell’esecuzione ha adeguatamente valutato i fatti già giudicati e ha ritenuto di escludere che i reati fossero riconducibili ad una preordinazione di fondo con una motivazione del tutto adeguata e ragionevole.
A fronte di tale motivazione, il ricorrente sollecita non più che una diversa valutazione degli indici della eventuale medesimezza del programma criminoso, ma gli elementi che adduce non sono idonei a superare l’apprezzamento dei fatti operato in sede esecutiva.
Ne consegue, dunque, il rigetto del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 20.12.2024