Continuazione tra reati: quando il ricorso è inammissibile?
L’istituto della continuazione tra reati è uno strumento fondamentale del diritto penale che permette di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più crimini sotto l’impulso di un unico piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una dimostrazione rigorosa. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che un ricorso presentato in modo generico, senza una critica puntuale alla decisione del giudice precedente, è destinato a essere dichiarato inammissibile. Analizziamo insieme i dettagli di questa importante decisione.
I fatti del caso
Il caso in esame riguarda una persona condannata con due sentenze definitive per reati di evasione dagli arresti domiciliari. Il difensore del condannato si è rivolto al Tribunale, in qualità di giudice dell’esecuzione, chiedendo di applicare la disciplina della continuazione tra reati. L’obiettivo era unificare le pene, sostenendo che le due evasioni fossero parte di un unico disegno criminoso.
Il Tribunale ha però respinto la richiesta. A seguito di questo rigetto, la difesa ha presentato ricorso alla Corte di Cassazione per ottenere l’annullamento dell’ordinanza.
La continuazione tra reati e i limiti del ricorso
La Corte di Cassazione, nell’esaminare il caso, ha ribadito un principio consolidato: la valutazione sull’esistenza di un unico disegno criminoso è una ‘questione di fatto’ che spetta al giudice di merito. Questo significa che la Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti, ma solo verificare che la decisione del giudice precedente sia basata su una motivazione logica e adeguata. Un ricorso in Cassazione può avere successo solo se dimostra che la motivazione è mancante, contraddittoria o palesemente illogica, non se si limita a proporre una diversa interpretazione dei fatti.
Le motivazioni della decisione
Nel provvedimento in analisi, la Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile proprio perché fondato su motivi generici. Secondo i giudici supremi, il ricorrente si è limitato ad affermare in via di principio che l’unicità del disegno criminoso ‘poteva essere riconosciuta’, senza però contestare in modo specifico le argomentazioni del giudice dell’esecuzione.
Quest’ultimo, infatti, aveva respinto la richiesta in modo del tutto logico, basandosi su due elementi cruciali:
1. La distanza temporale: tra i due episodi di evasione erano trascorsi circa sette mesi e mezzo, un lasso di tempo considerato troppo ampio per sostenere un piano unitario.
2. L’incompatibilità ontologica: la natura stessa delle condotte di evasione dagli arresti domiciliari è stata ritenuta difficilmente compatibile con una ‘preventiva ideazione’. Spesso tali gesti sono impulsivi e non frutto di un piano strutturato a lungo termine.
Il ricorso, non avendo criticato puntualmente questi due aspetti, è risultato essere una critica generica e astratta, incapace di mettere in discussione la logicità della decisione impugnata. Di conseguenza, è stato dichiarato inammissibile.
Le conclusioni
Questa ordinanza offre un’importante lezione pratica: per ottenere l’applicazione della continuazione tra reati in fase esecutiva, non basta invocare il principio. È necessario costruire un’argomentazione solida e dettagliata che contrasti punto per punto le eventuali motivazioni contrarie del giudice. Un ricorso generico, che non si confronta con il ragionamento della decisione impugnata, non solo non avrà successo, ma comporterà anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria a favore della Cassa delle ammende.
Perché il giudice dell’esecuzione ha inizialmente negato la continuazione tra i reati?
Il giudice ha negato la continuazione basandosi su due ragioni principali: la notevole distanza temporale tra i due fatti (circa sette mesi e mezzo) e la quasi totale incompatibilità logica tra la natura del reato di evasione e l’esistenza di un piano criminoso preventivamente ideato.
Qual è il motivo principale per cui la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile?
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile perché lo ha ritenuto generico. Il ricorrente non ha criticato specificamente le argomentazioni del giudice dell’esecuzione, ma si è limitato ad affermare in linea di principio che l’unicità del disegno criminoso avrebbe potuto essere riconosciuta.
Cosa comporta per il ricorrente la dichiarazione di inammissibilità del ricorso?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di tremila euro in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 85 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 85 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 26/09/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME nato a CASTELLAMMARE DI STABIA il 17/11/1995
avverso l’ordinanza del 23/05/2024 del TRIBUNALE di TORRE ANNUNZIATA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO
Esaminato il ricorso proposto dal difensore di COGNOME NOME avverso l’ordinanza in epigrafe, con cui in data 23.5.2024 il Tribunale di Torre Annunziata, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha rigettato l’istanza, formulata nell’interesse del ricorrente, di applicazione della disciplina della continuazione ai reati giudicati con due sentenze di condanna irrevocabili;
Osservato che, in tema di continuazione, l’accertamento del requisito della unicità del disegno criminoso costituisce una questione di fatto rimessa alla valutazione del giudice di merito, il cui apprezzamento è sindacabile in sede di legittimità solo ove non sia sorretto da adeguata motivazione (Sez. 1, n. 12936 del 3/12/2018, dep. 2019, Rv. 275222 – 01).
Rilevato che il ricorso, in definitiva, non va oltre una critica generica del provvedimento di rigetto, limitandosi ad affermare in via di principio che l’unicità del disegno criminoso poteva essere riconosciuta, ma senza criticare specificamente le argomentazioni del giudice dell’esecuzione, il quale, alla richiesta di applicazione della continuazione, in modo del tutto logico oppone, in senso sfavorevole, la distanza temporale tra i due fatti (circa sette mesi e mezzo) e la pressoché ontologica incompatibilità di diverse condotte di evasione dagli arresti domiciliari con la possibilità di una preventiva ideazione;
Ritenuto, pertanto, che il ricorso debba essere dichiarato inammissibile, in quanto fondato su motivi generici, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 26.9.2024