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Continuazione tra reati: no se eterogenei e senza piano

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 19918/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. I giudici hanno stabilito che l’eterogeneità dei delitti, commessi in luoghi diversi e con diverse modalità, impedisce di configurarli come parte di un unico disegno criminoso, requisito essenziale per l’applicazione del beneficio.

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Pubblicato il 16 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando la diversità dei delitti esclude il beneficio

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta un’importante applicazione del principio del favor rei, consentendo di unificare sotto un’unica pena più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Con la recente ordinanza n. 19918/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito i rigidi confini di questo beneficio, chiarendo che l’eterogeneità dei delitti e l’assenza di un piano unitario precludono il riconoscimento della continuazione.

I Fatti del Caso

Un individuo, già condannato con due sentenze definitive, presentava un’istanza al Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Nola per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati oggetto delle due condanne. L’obiettivo era ottenere una rideterminazione della pena complessiva in senso più favorevole, unificando le sanzioni come se fossero state inflitte per un unico reato continuato.

Il GIP rigettava la richiesta, evidenziando una significativa eterogeneità tra i crimini commessi. Questi erano stati eseguiti in contesti territoriali molto diversi (Riccione e Ottaviano) e contro tipologie di vittime differenti. Tali elementi, secondo il giudice, rendevano inverosimile l’esistenza di una programmazione criminale unitaria e originaria. Di fronte a questa decisione, l’interessato proponeva ricorso per Cassazione.

Quando la Continuazione tra reati non è applicabile

La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del GIP, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno sottolineato che, per poter parlare di continuazione tra reati, non è sufficiente una semplice ripetizione di condotte illecite. È necessario, invece, dimostrare che tutti i reati siano riconducibili a un’unica e preventiva deliberazione criminosa.

Nel caso specifico, gli elementi di diversità erano troppo marcati per poter configurare un unico disegno criminoso. La Corte ha evidenziato come l’eterogeneità sul piano esecutivo, la distanza geografica tra i luoghi di commissione dei reati e la differente natura delle vittime fossero tutti fattori ostativi al riconoscimento del beneficio.

le motivazioni

La Suprema Corte ha fornito una motivazione chiara e netta. La reiterazione di condotte criminali non equivale automaticamente a un ‘medesimo disegno criminoso’. Anzi, la ripetitività può essere espressione di una scelta di vita orientata al crimine, che l’ordinamento sanziona con altri istituti come la recidiva, l’abitualità o la professionalità nel reato. Questi istituti, a differenza della continuazione, comportano un inasprimento della pena e si basano su un presupposto opposto al favor rei.

La continuazione tra reati, al contrario, presuppone un piano ben definito, deliberato ab origine nelle sue linee essenziali, che unisca tutti gli episodi delittuosi come tappe di un unico progetto. L’assenza di omogeneità esecutiva e contestuale, come nel caso di specie, è un forte indicatore dell’insussistenza di tale piano unitario.

le conclusioni

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: il beneficio della continuazione tra reati non è un automatismo applicabile a chiunque commetta più crimini. È necessario un rigoroso accertamento fattuale per verificare la presenza di un’unica progettazione criminosa. La mera tendenza a delinquere o la reiterazione di illeciti, se priva di un disegno unitario, non solo non dà diritto alla continuazione, ma può anzi configurare circostanze aggravanti. Questa decisione serve da monito sulla necessità di distinguere attentamente tra una scelta criminale programmata e una semplice propensione al crimine, con conseguenze molto diverse sul piano sanzionatorio.

Quando è possibile riconoscere la continuazione tra reati?
È possibile quando più reati, anche di natura diversa, sono stati commessi in esecuzione di un ‘medesimo disegno criminoso’, ovvero quando sono stati programmati in anticipo nelle loro linee essenziali come parte di un unico piano.

Perché in questo caso la Cassazione ha negato la continuazione?
La Corte ha negato la continuazione perché i reati erano eterogenei: commessi in luoghi molto distanti (Riccione e Ottaviano) e contro vittime di diversa tipologia. Questa diversità ha reso impossibile provare l’esistenza di un piano criminoso unitario e preordinato.

Qual è la differenza tra continuazione e abitualità a delinquere?
La continuazione è un beneficio (favor rei) che presuppone un unico piano per commettere più reati e porta a una pena più mite. L’abitualità a delinquere, invece, descrive una tendenza a commettere crimini come stile di vita e costituisce un’aggravante che porta a pene più severe.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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