Continuazione tra reati: quando la diversità dei delitti esclude il beneficio
L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta un’importante applicazione del principio del favor rei, consentendo di unificare sotto un’unica pena più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Con la recente ordinanza n. 19918/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito i rigidi confini di questo beneficio, chiarendo che l’eterogeneità dei delitti e l’assenza di un piano unitario precludono il riconoscimento della continuazione.
I Fatti del Caso
Un individuo, già condannato con due sentenze definitive, presentava un’istanza al Giudice per le indagini preliminari (GIP) del Tribunale di Nola per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati oggetto delle due condanne. L’obiettivo era ottenere una rideterminazione della pena complessiva in senso più favorevole, unificando le sanzioni come se fossero state inflitte per un unico reato continuato.
Il GIP rigettava la richiesta, evidenziando una significativa eterogeneità tra i crimini commessi. Questi erano stati eseguiti in contesti territoriali molto diversi (Riccione e Ottaviano) e contro tipologie di vittime differenti. Tali elementi, secondo il giudice, rendevano inverosimile l’esistenza di una programmazione criminale unitaria e originaria. Di fronte a questa decisione, l’interessato proponeva ricorso per Cassazione.
Quando la Continuazione tra reati non è applicabile
La Corte di Cassazione ha confermato la decisione del GIP, dichiarando il ricorso inammissibile. I giudici supremi hanno sottolineato che, per poter parlare di continuazione tra reati, non è sufficiente una semplice ripetizione di condotte illecite. È necessario, invece, dimostrare che tutti i reati siano riconducibili a un’unica e preventiva deliberazione criminosa.
Nel caso specifico, gli elementi di diversità erano troppo marcati per poter configurare un unico disegno criminoso. La Corte ha evidenziato come l’eterogeneità sul piano esecutivo, la distanza geografica tra i luoghi di commissione dei reati e la differente natura delle vittime fossero tutti fattori ostativi al riconoscimento del beneficio.
le motivazioni
La Suprema Corte ha fornito una motivazione chiara e netta. La reiterazione di condotte criminali non equivale automaticamente a un ‘medesimo disegno criminoso’. Anzi, la ripetitività può essere espressione di una scelta di vita orientata al crimine, che l’ordinamento sanziona con altri istituti come la recidiva, l’abitualità o la professionalità nel reato. Questi istituti, a differenza della continuazione, comportano un inasprimento della pena e si basano su un presupposto opposto al favor rei.
La continuazione tra reati, al contrario, presuppone un piano ben definito, deliberato ab origine nelle sue linee essenziali, che unisca tutti gli episodi delittuosi come tappe di un unico progetto. L’assenza di omogeneità esecutiva e contestuale, come nel caso di specie, è un forte indicatore dell’insussistenza di tale piano unitario.
le conclusioni
L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: il beneficio della continuazione tra reati non è un automatismo applicabile a chiunque commetta più crimini. È necessario un rigoroso accertamento fattuale per verificare la presenza di un’unica progettazione criminosa. La mera tendenza a delinquere o la reiterazione di illeciti, se priva di un disegno unitario, non solo non dà diritto alla continuazione, ma può anzi configurare circostanze aggravanti. Questa decisione serve da monito sulla necessità di distinguere attentamente tra una scelta criminale programmata e una semplice propensione al crimine, con conseguenze molto diverse sul piano sanzionatorio.
Quando è possibile riconoscere la continuazione tra reati?
È possibile quando più reati, anche di natura diversa, sono stati commessi in esecuzione di un ‘medesimo disegno criminoso’, ovvero quando sono stati programmati in anticipo nelle loro linee essenziali come parte di un unico piano.
Perché in questo caso la Cassazione ha negato la continuazione?
La Corte ha negato la continuazione perché i reati erano eterogenei: commessi in luoghi molto distanti (Riccione e Ottaviano) e contro vittime di diversa tipologia. Questa diversità ha reso impossibile provare l’esistenza di un piano criminoso unitario e preordinato.
Qual è la differenza tra continuazione e abitualità a delinquere?
La continuazione è un beneficio (favor rei) che presuppone un unico piano per commettere più reati e porta a una pena più mite. L’abitualità a delinquere, invece, descrive una tendenza a commettere crimini come stile di vita e costituisce un’aggravante che porta a pene più severe.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 19918 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 19918 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 18/04/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME NOME a MASSA DI SOMMA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 16/01/2024 del GIP TRIBUNALE di NOLA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
EsamiNOME il ricorso proposto avverso l’ordinanza del 16 gennaio 2024, con la quale il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Noia rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili di cui ai punti 1 e 2 del provvedimento impugNOME.
Ritenuto che le ipotesi di reato di cui si assumeva la continuazione non risultavano tra loro omogenee sul piano esecutivo e non erano riconducibili, neppure astrattamente, a una preordinazione, tenuto conto dell’incontroversa eterogeneità esecutiva dei delitti commessi da COGNOME, eseguiti in ambiti territoriali diversi – Riccione e Ottaviano – e della diversa tipologia di persone offesa dal reato, che impediva di ritenere dimostrata l’originaria progettazione dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 del 13/11/2012, COGNOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
Ritenuto che la reiterazione delle condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine, come nel caso di COGNOME, venendo sanzionata da fattispecie quali la recidiva, l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso alla continuazione, preordiNOME al favor rei (tra le altre, Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, COGNOME, Rv. 245833 – 01).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve essere dichiarato inammissibile, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, non ricorrendo ipotesi di esonero, al versamento di una somma alla Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 18 aprile 2024.