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Continuazione tra reati: no se distanti nel tempo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati commessi in un arco temporale di circa vent’anni. La Corte ha stabilito che una tale distanza cronologica, unita a un lungo periodo di detenzione intermedio, esclude la possibilità di un unico disegno criminoso, configurando piuttosto autonome risoluzioni criminali.

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Pubblicato il 4 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: la Cassazione nega il beneficio se i fatti sono troppo distanti nel tempo

L’istituto della continuazione tra reati, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un importante strumento di mitigazione della pena. Esso consente di considerare come un unico reato, con un conseguente aumento della sanzione per il reato più grave, una serie di violazioni della legge penale commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 8714/2024) ha ribadito i rigidi confini applicativi di questo istituto, sottolineando come la notevole distanza temporale tra i fatti e i periodi di detenzione intermedi possano escluderne il riconoscimento.

I Fatti del Caso: Una Carriera Criminale Lunga Vent’anni

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo che aveva presentato ricorso avverso la decisione del Giudice dell’esecuzione, il quale aveva negato l’applicazione della continuazione per una serie di reati commessi in un arco temporale estremamente ampio, dal 1990 al 2012. I reati contestati erano eterogenei, spaziando dalla spendita di banconote false ai reati contro il patrimonio, fino alle violazioni della disciplina sugli stupefacenti. Il ricorrente sosteneva che tutte queste condotte fossero riconducibili a un unico progetto criminale, chiedendo quindi il ricalcolo della pena in senso più favorevole.

La Decisione della Corte: la continuazione tra reati non sussiste

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la valutazione del giudice di merito. Secondo gli Ermellini, le censure del ricorrente erano generiche e miravano a una rivalutazione dei fatti non consentita in sede di legittimità. La decisione si fonda su una valutazione logica degli elementi probatori, in primis la distanza cronologica tra i crimini.

Le Motivazioni: Perché la Distanza Temporale Esclude la Continuazione tra Reati

La Corte ha articolato il suo ragionamento su due pilastri fondamentali.

Il primo è l’enorme distanza temporale tra i reati. Un periodo di circa vent’anni rende logicamente implausibile l’esistenza di un’unica programmazione criminosa iniziale. È difficile, secondo la Corte, presumere che un individuo avesse pianificato sin dal 1990 reati che avrebbe commesso fino al 2012. Tale lasso di tempo suggerisce piuttosto l’esistenza di risoluzioni criminose autonome, nate in momenti diversi e non collegate da un unico filo conduttore.

Il secondo elemento, ancora più decisivo, è rappresentato dal periodo di detenzione subito dal condannato tra la commissione di alcuni reati e altri. La carcerazione viene definita come una “cesura esistenziale non solo teorica, ma reale e tranciante”. Essa interrompe qualsiasi presunto disegno criminoso. La commissione di nuovi reati dopo la scarcerazione non può essere vista come la prosecuzione del piano originario, ma deve essere interpretata come una nuova e autonoma scelta criminale, sorta dopo l’esperienza detentiva che, teoricamente, avrebbe dovuto avere una finalità rieducativa.

Conclusioni: Le Implicazioni Pratiche dell’Ordinanza

Questa ordinanza riafferma un principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità: la continuazione tra reati non è un beneficio automatico per chi commette più illeciti, ma richiede una prova rigorosa dell’unicità del disegno criminoso. La distanza temporale e gli eventi della vita del reo, come la detenzione, sono indici probatori di fondamentale importanza. Un lungo intervallo tra i fatti e, a maggior ragione, un periodo di carcerazione, costituiscono ostacoli logici quasi insormontabili al riconoscimento della continuazione, poiché dimostrano la probabile frammentazione della volontà criminale in episodi distinti e non in un unico progetto pianificato.

Quando si può applicare l’istituto della continuazione tra reati?
L’istituto si applica quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero un piano unitario e preordinato ideato prima della commissione del primo reato.

Una grande distanza di tempo tra un reato e l’altro impedisce di riconoscere la continuazione?
Sì, secondo l’ordinanza, una notevole distanza temporale (in questo caso, un ventennio) è un indice probatorio di peso che può rappresentare un limite logico alla possibilità di ravvisare un unico disegno criminoso, rendendo più plausibile l’ipotesi di autonome risoluzioni criminali.

Un periodo di detenzione tra la commissione di più reati influisce sul riconoscimento della continuazione?
Sì, la Corte lo considera una “cesura esistenziale reale e tranciante” che interrompe la continuità di un eventuale disegno criminoso. Commettere nuovi reati dopo la scarcerazione indica una volontà criminale rinnovata e non la prosecuzione di un piano precedente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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