Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 20256 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 20256 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 02/05/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da: COGNOME NOME, nato a Modugno il DATA_NASCITA avverso l’ordinanza del 06/11/2023 della CORTE DI APPELLO DI BARI udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME; lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto il rigetto del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 6 novembre 2023 la Corte d’appello di Bari, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di NOME COGNOME di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati oggetto delle seguenti sentenze di condanna emesse nei suoi confronti:
sentenza della Corte d’appello di Bari del 5 ottobre 2018 di condanna per i reati degli artt. 74 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, commesso dal marzo 2011 al gennaio 2012, e 73 stesso decreto, commessi tra luglio e dicembre 2011;
sentenza della Corte d’appello di Bari del 28 febbraio 2022 di condanna per i reati degli artt. 73 e 74 d.p.r. n. 309 del 1990, commesso tra il 2006 ed il 2012;
sentenza del Tribunale di Bari del 7 giugno 2016 di condanna per plurimi reati dell’art. 73 d.p.r. n. 309 nel 1990, commessi tra il 16 maggio 2012 ed il 12 giugno 2016.
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In particolare, nel respingere l’istanza, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto non vi fossero elementi che potessero deporre per la programmazione unitaria dei reati, evidenziando in particolare che le due condanne per associazione a delinquere finalizzata allo spaccio di sostanze stupefacenti avevano avuto ad oggetto due associazioni criminali diverse per correi e RAGIONE_SOCIALE di appartenenza, la prima all’interno di un sodalizio facente capo al RAGIONE_SOCIALE COGNOME, la seconda all’interno di una compagine malavitosa facente capo al RAGIONE_SOCIALE: la totale diversità di due gruppi organizzati impedisce di poter riconoscere l’esistenza di un medesimo disegno criminoso; la terza condanna aveva avuto ad oggetto episodi di spaccio che l’istante ha effettuato in proprio e che non risultano essere agganciati a condotte associative.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con i seguenti motivi.
Con il primo motivo deduce violazione di legge per essere stata respinta l’istanza nonostante che la programmazione unitaria dei reati fosse desumibile dal dato temporale che delinea un segmento temporale unico, avvolgente tutti gli episodi contestati, in cui è stata svolta l’attività criminosa; non si comprende quindi perché il giudice dell’esecuzione si attardi ad argomentare circa i motivi del passaggio del ricorrente da un’associazione all’altra quando invece si è trattato di una condotta continuativa, deliberata a monte, consistita in un’attività prolungata di cessione di sostanze stupefacenti a scopo di lucro; il giudice dell’esecuzione dimentica anche che l’imputato è stato assolto dal reato di cui all’art. 416-bis cod. pen., che pure gli era stato contestato, per cui non aveva deliberato una partecipazione fideistica ad alcun gruppo criminale specifico.
Con il secondo motivo deduce vizio di motivazione per essere stata respinta l’istanza nonostante che la distanza temporale nella partecipazione del ricorrente alle due associazioni a delinquere fosse più apparente che reale, atteso che nella seconda sentenza, al di là della imputazione aperta dal 2006 al 2012, si precisa chiaramente in motivazione che il ricorrente ha fatto parte di questa associazio più longeva soltanto nei mesi di gennaio e febbraio 2012Yquindi in concomitanza con il piccolo spaccio da lui commesso per l’altra associazione a delinquere; i correi sono solo parzialmente diversi, e non è vero, come scrive il giudice dell’esecuzione, che il ricorrente sia passato da una struttura all’altra, diversa per capi, adepti ed organigramma, posto che gli atti processuali smentiscono tale assunto; in realtà, il ricorrente ha fatto parte di entrambe le compagini nello stesso lasso temporale con i medesimi compiti e non risulta che la seconda condotta partecipativa costituisse l’esito di un diverso pactum sceleris; i fatti di piccolo spaccio di cui alla
terza condanna si inseriscono nel periodo finale dell’operatività dei due sodalizi, con cui quindi sono unificabili in un unico disegno criminoso.
Con il terzo motivo deduce vizio di motivazione per essere stata respinta l’istanza senza prendere posizione sui punti 3 (l’attività di spaccio oggetto della terza condanna viene indicata come facente parte di un più articolato procedimento) 4 (la condotta tenuta dal ricorrente nei due reati associativi è identica) e 5 (la specificità e unicità delle condotte imputate nei tre diversi procedimenti penali) dell’istanza che specificavano i punti in comune tra i reati.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, NOME COGNOME, ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato in diritto
Il ricorso è infondato.
1. Il primo motivo è infondato, perché l’ordinanza impugnata ha fatto corretta applicazione dell’orientamento di legittimità secondo cui, in presenza di adesione a più associazioni a delinquere, “in tema di continuazione, qualora sia riconosciuta l’appartenenza di un soggetto a diversi sodalizi criminosi, è possibile ravvisare il vincolo della continuazione tra i reati associativi solo a seguito di una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, avuto riguardo ai profili della contiguità temporale, dei programmi operativi perseguiti e del tipo di compagine che concorre alla loro formazione, non essendo a tal fine sufficiente la valutazione della natura permanente del reato associativo e dell’omogeneità del titolo di reato e delle condotte criminose z 4 ttispecie relativa all’esclusione del vincolo della continuazione tra il reato di cui all’art. 74 d.P.R. n. 309 del 1990 e quello di associazione per delinquere di stampo mafioso, finalizzata alla consumazione sia di reati concernenti il traffico di sostanze stupefacenti che di reati diversi, in cui la Corte di cassazione ha rigettato il ricorso avverso la sentenza che aveva negato il riconoscimento del vincolo tra i due reati, rilevando che, nonostante la contiguità geografica e cronologica delle condotte e la loro tendenziale omogeneità, le modalità concrete di consumazione dei vari delitti erano sintomatiche di scelte di vita ispirate alla sistematica consumazione di illeciti, e non all’attuazione di un progetto criminoso unitario” (Sez. 4, Sentenza n. 3337 del 22/12/2016, dep. 2017, Napolitano, Rv. 268786), e secondo cui “non è sufficiente il riferimento alla tipologia del reato ed all’omogeneità delle condotte, ma occorre una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro
continuità nel tempo, al fine di accertare l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto ad una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero ad una medesima organizzazione” (Sez. 5, Sentenza n. 20900 del 26/04/2021, Gattuso, Rv. 281375). Nel caso in esame, infatti, l’unicità del momento deliberativo non emerge dall’ordinanza impugnata, né è dedotta in ricorso, che si spende nell’evidenziare la condotta di vita sempre uguale che, però, è concetto diverso dall’unicità di ideazione criminosa, per il quale non è sufficiente l’abitualità criminosa ed una scelta di vita ispirata alla sistematica consumazione di illeciti (cfr. Sez. 1, n. 35806 del 20/04/2016, COGNOME, Rv. 267580).
2. Anche il secondo motivo è infondato.
Il ricorrente deduce che il lasso temporale tra l’inizio della condotta della prima associazione a delinquere (contestata come commessa tra il 2006 e il 2012) e quello della seconda (contestata come commessa tra il 2011 ed il 2012) andrebbe ridotto, perché nella prima, in realtà, il ricorrente avrebbe partecipato soltanto alla fase temporale finale, che si sovrapporrebbe a questo punto con quella della seconda associazione.
Il motivo è infondato, anzitutto perché il ricorrente non individua nel ricorso un punto specifico della sentenza impugnata da cui si dovrebbe dedurre questa riduzione operata dal giudice della cognizione del segmento temporale per cui ritiene responsabile il ricorrente del delitto a lui ascritto, poi perché la deduzione è smentita da quanto sostenuto, invece, nel primo motivo di ricorso, dove si era affermato che il ricorrente avesse svolto in modo continuativo attività nell’ambito del traffico di sostanze stupefacenti, e poi perché in occasione della condanna per il reato dell’art. 74 d.p.r. n. 309 del 1990 commesso tra il 2006 e del 2012 il ricorrente è stato condannato anche per un reato fine dell’art. 73 stesso decreto, commesso il 17 ed il 18 giugno 2010 (capo F1), quindi in periodo antecedente a quello del 2011-2012 prospettato nel motivo di ricorso come medesimo momento di adesione alle due associazioni.
Il terzo motivo sul mancato esame di deduzioni difensive contenute nell’istanza è inammissibile per difetto di specificità del motivo, in quanto non si confronta con la motivazione dell’ordinanza impugnata che ha, in realtà, preso in considerazione quanto dedotto ai punti 4 (identità della condotta) e 5 (specificità ed unicità delle condotte) dell’istanza superando le deduzioni dell’istante con l’argomento della diversità delle due associazioni; mentre, con riferimento a quanto dedotto al punto 3, e cioè che l’attività di spaccio oggetto della terza condanna risulterebbe inserita in un più articolato procedimento, oltre a non esser
indicato in modo chiaro in ricorso da dove sia stato tratto questo riferimento, perché sul punto il ricorso è meramente assertivo k e viola il principio dell’autosufficienza che occorre osservare, a pena di inammissibilità, nel momento in cui si contesta il vizio di motivazione (Sez. 2, Sentenza n. 20677 del 11/04/ 2017, COGNOME, rv. 270071; Sez. 4, n. Sentenza n. 46979 del 10/11/2015, COGNOME, rv. 265053; Sez. 2, Sentenza n. 26725 del 01/03/2013, COGNOME, rv. 256723), va osservato che l’ordinanza impugnata prende, in realtà, posizione anche su tale punto, in quanto afferma che la condanna per art. 73 riguarderebbe condotte sganciate da quelle di carattere associativo.
Nel complesso, il ricorso è infondato. Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 2 maggio 2024
GLYPH Il presidente
Il consigliere estensore