Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 22619 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 22619 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME
Data Udienza: 25/03/2025
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOMECOGNOME nata a Formia il 22/11/1981
avverso l’ordinanza del 10/12/2024 della Corte d’appello di Roma
udita la relazione svolta dal consigliere NOME COGNOME letta la requisitoria del Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza resa in data 10.12.2024, la Corte d’Appello di Roma ha provveduto, in funzione di giudice dell’esecuzione, su un’istanza di applicazione della disciplina della continuazione ai reati oggetto delle due seguenti sentenze di condanna nei confronti di NOME COGNOME lterio: 1) sentenza della Corte di Appello di Napoli del 23.2.2021 (conf. G.i.p. del Tribunale di Napoli del 27/1/2012, irrevocabile il 6/7/2022) di condanna alla pena di anni quattro di reclusione per i reati di cui agli artt. 110, 81, comma secondo, 416bis , 513bis cod. pen., 7 D.L. n. 152 del 1991, commessi in Fondi dal 29.10.2005 fino al 10.5.2010; 2) sentenza della Corte di Appello di Roma del 9.10.2023 (parzialmente rif. G.i.p. del Tribunale
di Roma del 19/7/2019, irrevocabile il 22/9/2024) di condanna alla pena di anni due di reclusione per i reati di cui agli artt. 110, 81, comma secondo, 512bis , 648ter , comma 1 cod. pen., commessi dal 2014 al 2018.
La Corte rileva, dalla lettura delle sentenze, che i reati per cui è intervenuta condanna presentano, quale elemento comune, il settore – mercato ortofrutticolo di Fondi – e il contesto criminale in cui risultano commessi. Di contro, i singoli reati sono ricompresi in un arco temporaneo molto ampio.
In particolare, osserva che, con la prima condanna, la ricorrente è stata ritenuta partecipe del l’associazione a delinquere di stampo camorristico denominata ‘ clan dei Casalesi ‘ e che, con la seconda condanna, è stata ritenuta responsabile di condotte di intestazione fittizia di beni e di autoriciclaggio, in concorso con altri appartenenti alla medesima associazione.
Date queste premesse, la Corte ritiene che la contiguità alla stessa associazione criminale non sia elemento sufficiente per il riconoscimento della continuazione e che, nel caso di specie, la circostanza che le condotte oggetto delle due condanne siano state commesse in un arco temporale completamente diverso costituisce la manifestazione di un progetto di vita criminale, che non può essere confuso con l’unicità del disegno criminoso, necessariamente circoscritto a una specifica operazione delittuosa, perseguita mediante la commissione di reati distinti.
Avverso la predetta ordinanza, ha proposto ricorso il difensore di NOME COGNOME articolando un unico motivo, con cui deduce inosservanza ed erronea applicazione dell’art. 671 cod. proc. pen. nonché illogicità della motivazione per omessa valutazione dell’ordinanza emessa della Corte d’Appello di Napoli nel procedimento n. 1040/23 SIGE.
Il ricorso evidenzia che il giudice dell’e secuzione ha rigettato l’istanza sulla base del fatto che sia intercorso un lungo arco temporale nella commissione nei reati, affermando erroneamente che la ricorrente è stata condannata per la partecipazione a un’associazione a delinquere di tipo camorristico, mentre invece la COGNOME non ha riportato alcuna condanna per il reato di cui all’art. 416bis cod. pen., ma è stata condannata per il reato di cui all’art. 513bis cod. pen. aggravato dal c.d. metodo mafioso.
La motivazione è contraddittoria e illogica -lamenta il ricorrente -perché la Corte d’Appello, pur riconoscendo quali elementi di connessione il settore e il contesto criminale in cui sono stati commessi i reati, ha poi rigettato l’istanza.
Quanto al requisito temporale, il ricorso osserva che i reati sono stati commessi a partire dagli anni 2004-2005 fino al 2018 e che vi è stata un’interruzione soltanto per effetto dell’applicazione di misure coercitive. Il
disegno criminoso è riconducibile alla volontà della famiglia della condannata di acquisire il predominio nella gestione dei trasporti su gomma per conto terzi dal, e verso il, mercato ortofrutticolo di Fondi.
La Corte d’Appello non ha preso in considerazione un provvedimento di applicazione della continuazione per i medesimi reati emesso dalla Corte di Appello di Napoli in favore del fratello della ricorrente, coimputato nei medesimi procedimenti. In tale provvedimento, il giudice dell’esecuzione napoletano ha ritenuto che i COGNOME avessero sin dai primi reati concepito un medesimo programma criminoso riguardante il mercato ortofrutticolo di Fondi e ha affermato che la RAGIONE_SOCIALE era stata costituita proprio a causa delle misure reali che avevano riguardato precedentemente la COGNOME Peraltro, già dalla sentenza del g.u.p. del Tribunale di Roma emergeva che l’operatività della famiglia della condannata nel settore dei trasporti di merce su gomma non fosse mai stata effettivamente interrotta.
Questi elementi posti all’attenzione del giudice dell’esecuzione non sono stati in alcun modo considerati nell’ordinanza impugnata e la Corte di Appello di Roma si è limitata a ritenere che i reati fossero indicatori di uno stile di vita della condannata improntato al crimine, piuttosto che di un medesimo programma criminoso.
La motivazione, inoltre, è illogica, perché non ha tenuto conto che la ricorrente ha commesso i tre reati sempre nello stesso contesto territoriale, nello stesso ambito familiare e con lo stesso fine.
Con requisitoria scritta trasmessa il 26.2.2025, il Sostituto Procuratore generale ha chiesto il rigetto del ricorso, evidenziando che la valutazione in fatto del giudice dell’esecuzione sulla insufficienza di elementi a provare il disegno criminoso è insindacabile, mentre incombe sul condannato che invochi l’applicazione della disciplina della continuazione l’onere di allegare elementi sintomatici della riconducibilità anche dei reati successivi a una preventiva programmazione unitaria.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è infondato.
Deve premettersi che effettivamente, come segnalato nel ricorso, NOME COGNOME non è stata condannata, nella sentenza che ha definito il primo dei procedimenti in esame, anche per il reato di cui all’art. 416 -bis cod. pen.: risulta dagli atti.
Ma si tratta, a ben vedere, di profilo non decisivo, anche perché la stessa ordinanza impugnata aveva preso in considerazione questa (non confermata) circostanza per ritenere che, finanche in tale evenienza, la contiguità alla medesima associazione criminale della ricorrente e di coloro che con lei avevano concorso nei reati oggetto della seconda sentenza non fosse ‘elemento sufficiente per ritenere avvinti dalla continuazione tutti i reati commessi dagli associati nel corso degli anni’.
Nella sede esecutiva, del resto, bisogna verificare, pur nell’eventuale caso della sussistenza di un reato associativo e dei c.d. reati-fine, non se i reati stessi rientrino nel programma dell’associazione, ma se siano riconducibili ad un medesimo disegno criminoso in quanto prefigurati ab origine dall’agente.
Ciò premesso , la COGNOME è stata condannata con la prima sentenza per il reato di cui all’art. 513 -bis cod. pen. commesso quale gestrice della società RAGIONE_SOCIALE fino al 2009 , mentre la seconda sentenza ha riguardato il reato di cui all’art. 512 -bis cod. pen. -intestazione fittizia a terzi della società ‘RAGIONE_SOCIALE -commesso dal 2013 al 2017.
Tra le due serie di reati, dunque, sussiste una assai significativa distanza temporale, che del tutto ragionevolmente il giudice dell’esecuzione ha posto alla base della decisione di rigetto dell’istanza della condannata.
In tema di continuazione, infatti, il decorso del tempo costituisce elemento decisivo su cui fondare la valutazione ai fini del riconoscimento delle condizioni previste dall’art. 81 cod. pen., posto che, in assenza di altri elementi, quanto più ampio è il lasso di tempo fra le violazioni, tanto più deve ritenersi improbabile l’esistenza di una programmazione unitaria e predeterminata, almeno nelle linee fondamentali (Sez. 2, n. 43745 del 3/10/2024, Diana, Rv. 287193 -01; Sez. 4, n. 34756 del 17/5/2012, COGNOME, Rv. 253664 -01; Sez. 1, n. 3747 del 16/1/2009, COGNOME, Rv. 242537 -01).
Peraltro, l’interruzione dell’attività delittuosa come riportato nello stesso ricorso -è dipesa dallo stato di detenzione della condannata, sicché risulta vieppiù problematico ritenere la sussistenza di un originario disegno criminoso che prevedesse anc he l’arresto e la successiva ripresa dell’attività dopo la cessazione della restrizione della libertà personale.
Sotto questo profilo, dunque, il provvedimento impugnato ha fatto corretta applicazione del principio secondo cui, in tema di applicazione della continuazione in sede esecutiva, è legittima l’ordinanza che esclude la sussistenza del vincolo della continuazione in considerazione sia del notevole lasso di tempo intercorrente fra i vari fatti criminosi, sia dei frequenti periodi di detenzione subiti dal richiedente, verosimilmente interruttivi di qualunque progetto, non potendo
concepirsi che un disegno delittuoso includa anche gli arresti, l’espiazione delle pene e le riprese del progetto esecutivo (Sez. 1, n. 44988 del 17/9/2018, M., Rv. 273984 – 01).
Si aggiunga che la seconda sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 512bis cod. pen. afferma espressamente che le vicende giudiziarie precedenti che avevano interessato la ‘galassia societaria’ dei COGNOME avevano reso necessaria la costituzione di uno schermo per proseguire l’attività imprenditoriale al riparo da nuovi procedimenti ablatori.
Tale circostanza, convalidando una ricostruzione dei fatti che fa risalire la causa dell’intestazione fittizia dei beni agli arresti e, comunque, alle indagini del 2010, rende evidente che si tratti di reato occasionato da una situazione sopraggiunta in modo contingente ed eventuale, il quale, pertanto, non poteva essere previsto e deliberato sin dal 2004, momento di inizio dell’attività delittuosa ascritta alla COGNOME io.
Priva di pregio, infine, è la doglianza relativa al diverso trattamento che sarebbe stato riservato in sede esecutiva al fratello della COGNOME . La circostanza non determinerebbe alcun automatismo favorevole per la odierna ricorrente, in quanto il giudice dell’esecuzione conserva la sua autonomia valutativa rispetto alla diversa posizione della coimputata e non può sindacare incidentalmente un provvedimento di altro giudice riguardante un soggetto diverso per estenderlo acriticamente al condannato che ha proposto successivo incidente di esecuzione.
Qui basti considerare, in generale, che, se il singolo reato concorsuale richiede che la condotta di ogni concorrente sia in modo cosciente e volontario finalizzata all’evento voluto dagli altri, diversamente si atteggia la valutazione della continuazione tra più reati concorsuali, la quale richiede la rappresentazione anticipata dei singoli episodi delittuosi e la volontà di perseguire un obiettivo unitario in attuazione di un preventivo programma criminoso.
Differentemente che nel concorso di persone, il perseguimento di uno scopo che unifichi i diversi episodi delittuosi non deve essere necessariamente comune a tutti i concorrenti, i quali devono più semplicemente condividere il risultato dei singoli reati commessi in concorso.
Questo vuol dire che le posizioni dei concorrenti nei plurimi reati posti in essere in tempi diversi e con più azioni conservano in astratto una propria autonomia quando si tratta di valutare se la commissione dei reati in questione sia per ciascun singolo agente la emanazione di un medesimo disegno criminoso.
Alla luce di quanto fin qui osservato, dunque, è da ritenersi che le doglianze difensive, per la gran parte, sollecitino essenzialmente la mera rivalutazione
alternativa degli elementi di fatto posti a base della decisione impugnata, senza tuttavia arrivare ad inficiare la motivazione non illogica, né contraddittoria, del giudice dell’esecuzione.
Ne consegue, pertanto, il rigetto del ricorso, con la condanna della ricorrente, ex art. 616 cod. proc. pen., al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 25.3.2025