Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 38840 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 38840 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 12/09/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da
NOME, nato a Pistoia il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza emessa l’11/04/2024 dalla Corte di appello di Firenze lette le conclusioni del AVV_NOTAIO, che ha
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso; udita la relazione svolta dal AVV_NOTAIO NOME COGNOME; chiesto il rigetto del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza emessa 1’11 aprile 2024 la Corte di appello di Firenze, quale Giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza presentata da NOME COGNOME, finalizzata a ottenere il riconoscimento della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen., in relazione ai reati giudicati dalle sentenze irrevocabili presupposte, pronunciate dalla Corte di appello di Firenze nelle date del 15 ottobre 2015 e del 15 luglio 2021, dal Tribunale di Firenze il 17 giugno 2014 e dal Tribunale di Pistoia il 14 luglio 2017.
Si ritenevano, in particolare, ostative all’applicazione della disciplina invocata nell’interesse di COGNOME l’eterogeneità dei comportamenti criminosi oggetto di vaglio, rispetto ai quali non assumeva un rilievo unificante la generica identità dei titoli di reato giudicati dalle quattro decisioni irrevocabili circostanza che i delitti giudicati dalla Corte di appello di Firenze il 15 ottob 2015 e dal Tribunale di Pistoia il 14 luglio 2017 erano già stati ritenuti unifica dal vincolo della continuazione.
Avverso questa ordinanza AVV_NOTAIO, a mezzo dell’AVV_NOTAIO, proponeva ricorso per cassazione, articolando due, correlate, censure difensive, con cui si denunciavano la violazione di legge e il vizio di motivazione del provvedimento impugnato.
Secondo la difesa del ricorrente, Corte di appello di Firenze, nel respingere l’istanza di applicazione del vincolo della continuazione invocato dal ricorrente, non aveva tenuto conto della correlazione esistente tra le fattispecie giudicate dalle decisioni presupposte, riguardanti ipotesi di reati contro il patrimonio, desumibile dal contesto nel quale tali comportamenti criminosi si erano concretizzati, riconducibile all’attività della ditta “RAGIONE_SOCIALE” di cui ricorrente era titolare, prima del suo fallimento, che veniva dichiarato dal Tribunale di Pistoia il 18 aprile 2012.
Ne discendeva che il Giudice dell’esecuzione, attraverso un percorso argomentativo incongruo, aveva disatteso l’incontrovertibile collegamento esecutivo esistente tra le condotte illecite di NOME COGNOME, attestato dalla loro omogeneità comportamentale, dalla loro contiguità temporale e dalla loro riconducibilità all’attività di imprenditore agricolo svolta dal ricorrente, sulle q il provvedimento impugnato si era soffermato in termini svincolati dalle emergenze processuali, disattendendo, tra l’altro, la circostanza che i delitti giudicati con le sentenze pronunciate dalla Corte di appello di Firenze il 15 ottobre 2015 e dal Tribunale di Pistoia il 14 luglio 2017 erano già stati unificat dal vincolo della continuazione.
Le considerazioni esposte imponevano l’annullamento dell’ordinanza impugnata.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso proposto da NOME COGNOME è infondato.
Osserva il Collegio che la giurisprudenza di legittimità, da tempo consolidata, con specifico riferimento al vincolo della continuazione invocato da NOME COGNOME, ha individuato gli elementi da cui desumere l’ideazione unitaria da parte del singolo agente di una pluralità di condotte illecite, affermando che le violazioni dedotte ai fini dell’applicazione della continuazione ex art. 671 cod. proc. pen. devono costituire parte integrante di un unico programma criminoso, che deve essere deliberato per conseguire un determinato fine, per il quale si richiede l’originaria progettazione di una serie ben individuata di reati, gi concepiti nelle loro caratteristiche essenziali (tra le altre, Sez. 1, n. 11564 d 13/11/2012, COGNOME, Rv. 255156 – 01; Sez. 1, n. 44862 del 05/11/2008, COGNOME, Rv. 242098 – 01).
L’unicità del programma criminoso, a sua volta, non deve essere assimilata a una concezione esistenziale fondata sulle attività illecite del condannato, al contrario di quanto riscontrabile con riferimento alla posizione di COGNOME, perché in tal caso «la reiterazione della condotta criminosa è espressione di un programma di vita improntata al crimine e che dal crimine intende trarre sostentamento e, pertanto, penalizzata da istituti quali la recidiva, l’abitualità, professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso ed opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto della continuazione, preordinato al “favor rei”» (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, Rv. 252950 – 01).
La verifica di tale preordinazione criminosa, infine, non può essere compiuta dall’autorità giudiziaria sulla base di indici di natura meramente presuntiva ovvero di congetture processuali, essendo necessario, di volta in volta, dimostrare che i reati che si ritengono avvinti dal vincolo della continuazione siano stati concepiti ed eseguiti nell’ambito di un programma criminoso che, almeno nelle sue linee fondamentali, risulti unitario e imponga l’applicazione della disciplina prevista dagli artt. 81, secondo comma, e 671 cod. proc. pen. (tra le altre, Sez. 1, n. 37555 del 13/11/2015, COGNOME, Rv. 267596 – 01; Sez. 5, n. 49476 del 25/09/2009, Notaro, Rv. 245833 – 01).
3. In questa cornice, deve rilevarsi, in linea con quanto correttamente affermato dalla Corte di appello di Firenze, che ostavano all’applicazione della disciplina della continuazione richiesta da NOME COGNOME le modalità eterogenee con cui le condotte criminose di cui si invocava la preordinazione si erano concretizzate, che esprimevano una spiccata propensione alla commissione di reati da parte del condannato, incompatibile con il vincolo di cui si chiedeva il riconoscimento, ai sensi degli artt. 81, secondo comma, cod. pen. e 671 cod. proc. pen.
Si consideri, in proposito, che le condotte illecite di cui si assumeva l’unicità del disegno criminoso risultavano commesse da NOME COGNOME in contesti oggettivamente eterogenei, rispetto ai quali non assumeva un rilievo decisivo la circostanza che i comportamenti erano collegati all’attività imprenditoriale svolta dal ricorrente quale titolare della ditta “RAGIONE_SOCIALE“, attesa la diversit dei titoli di reato giudicati dalle decisioni presupposte, riguardanti le fattispecie truffa, bancarotta documentale e riciclaggio, che presentavano quale unico dato identitario la circostanza che tali fattispecie riguardavano delitti contro patrimonio.
Queste connotazioni, a ben vedere, rendevano evidente come le condotte delinquenziali di NOME erano connotate da eterogeneità ed esprimevano caratteristiche comportamentali incompatibili con la preordinazione criminosa invocata dal suo difensore. Sul punto, appaiono condivisibili le conclusioni alle quali giungeva la Corte di appello di Firenze, che, a pagina 3, del provvedimento impugnato, affermava che «la eterogeneità e la assenza di pianificazione e di preventiva determinatezza del contesto e delle circostanze fattuali in cui sono stati commessi i reati impongono di escludere, anche in via di mera ipotesi, la riconducibilità delle relative condotte ad una medesima ideazione criminosa, restando irrilevante il dato astratto e solo parziale della identità del be giuridico protetto».
Deve, al contempo, evidenziarsi che la reiterazione di condotte illecite non può essere espressione di un programma di vita improntato al crimine e che dallo stesso intende trarre sostentamento, come nel caso di NOME COGNOME, venendo disciplinata da istituti differenti dalla continuazione, quali la recidiv l’abitualità, la professionalità nel reato e la tendenza a delinquere, secondo un diverso e opposto parametro rispetto a quello sotteso all’istituto in esame, viceversa orientato a favorire il condannato, applicandogli un trattamento sanzionatorio mitigato dagli effetti del combinato disposto degli artt. 81, secondo comma, cod. pen., e 671 cod. proc. pen. (Sez. 5, n. 10917 del 12/01/2012, COGNOME, cit.).
Per queste ragioni, il ricorso proposto da NOME COGNOME deve ess rigettato, con la conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle sp processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle s processuali.
Così deciso il 12 settembre 2024.