Continuazione tra reati: quando il tempo spezza il disegno criminoso
L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, è un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, volto a mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale sotto l’impulso di un unico disegno. Ma cosa accade quando i reati sono separati da un lungo intervallo di tempo e commessi in contesti criminali differenti? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione offre chiarimenti fondamentali, stabilendo che un’eccessiva distanza temporale e l’eterogeneità dei contesti possono rappresentare un ostacolo insormontabile al riconoscimento di un’unica programmazione.
I Fatti del Caso
Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un soggetto condannato per reati commessi nell’ambito di associazioni di stampo mafioso. Il ricorrente chiedeva di applicare il beneficio della continuazione, sostenendo che le sue azioni, sebbene avvenute in periodi diversi, fossero riconducibili a un medesimo disegno criminoso. Nello specifico, i reati erano stati perpetrati prima all’interno di un clan attivo tra il 1999 e il 2004, e successivamente in un secondo sodalizio, promosso dallo stesso ricorrente, operativo a partire dal 2013.
La Corte d’Appello aveva già respinto la richiesta, sottolineando proprio la cesura temporale e la discontinuità tra le due organizzazioni criminali. Secondo i giudici di merito, la seconda associazione era nata da sviluppi criminali non prevedibili al tempo della militanza nella prima, escludendo così un’unica programmazione iniziale.
La Decisione della Cassazione e i limiti della continuazione tra reati
La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in commento, ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione dei giudici di merito. Gli Ermellini hanno ribadito che le censure del ricorrente miravano a una nuova valutazione dei fatti, non consentita in sede di legittimità, e che le argomentazioni giuridiche erano manifestamente infondate.
Il punto centrale della decisione risiede nella corretta applicazione dei principi che regolano la continuazione tra reati. La Corte ha evidenziato come due elementi fossero decisivi per escludere il vincolo:
1. La distanza cronologica: il notevole lasso di tempo intercorso tra i due gruppi di reati è stato considerato un indice probatorio fondamentale, un “limite logico” alla possibilità di ravvisare un’unica ideazione.
2. L’eterogeneità dei sodalizi: i reati erano stati commessi all’interno di due associazioni camorristiche distinte, che non operavano in continuità. La seconda, per di più, era stata fondata dallo stesso imputato in un momento successivo, sulla base di dinamiche criminali non prefigurabili in precedenza.
Le Motivazioni
La motivazione della Corte si fonda su un’interpretazione rigorosa del concetto di “medesimo disegno criminoso”. Questo non può essere una generica inclinazione a delinquere, ma deve concretizzarsi in un programma unitario, deliberato fin dall’inizio, che comprenda tutti i reati successivi come parte di un unico piano. Nel caso di specie, la Corte ha ritenuto impossibile ipotizzare un “collante” tra reati commessi a quasi dieci anni di distanza e in contesti associativi diversi e non continui.
La Cassazione ha chiarito che, sebbene il tempo non sia di per sé un elemento ostativo assoluto, il suo trascorrere assume un peso probatorio tanto maggiore quanto più è ampio. In assenza di prove concrete che dimostrino una programmazione iniziale onnicomprensiva, la distanza temporale rende implausibile l’esistenza di un’unica deliberazione criminosa. Il ricorso è stato giudicato generico proprio perché non ha fornito elementi specifici per contrastare questa logica e corretta valutazione del giudice di merito.
Conclusioni
Questa ordinanza riafferma un principio cruciale: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati non basta la semplice reiterazione di condotte illecite, anche se della stessa natura. È necessario dimostrare, con elementi concreti, l’esistenza di un’unica ideazione e programmazione che abbracci tutti gli episodi criminosi. Quando i reati sono separati da un significativo intervallo temporale e avvengono in contesti criminali eterogenei e discontinui, l’onere della prova per il richiedente diventa estremamente arduo, se non impossibile, da soddisfare. La decisione funge da monito, sottolineando che il beneficio della continuazione è riservato a situazioni in cui l’unicità del disegno criminoso è chiaramente delineata e non una mera supposizione astratta.
È possibile ottenere la continuazione tra reati commessi a molti anni di distanza?
Secondo l’ordinanza, è molto difficile. Sebbene la distanza temporale non sia un ostacolo assoluto, essa rappresenta un limite logico alla possibilità di riconoscere un unico disegno criminoso, specialmente in assenza di altri elementi che provino una programmazione unitaria sin dall’inizio.
Cosa valuta il giudice per negare la continuazione tra reati associativi?
Il giudice valuta diversi elementi, tra cui il lasso di tempo tra i fatti e, soprattutto, l’eventuale appartenenza a sodalizi criminali diversi e non operanti in continuità. Nel caso specifico, la militanza in due clan distinti, sorti in epoche diverse e con sviluppi non prevedibili, ha escluso l’esistenza di un’unica ideazione.
Perché il ricorso è stato dichiarato inammissibile?
Il ricorso è stato dichiarato inammissibile perché le censure proposte sollecitavano una rivalutazione dei fatti, non consentita in Cassazione, e le questioni giuridiche sollevate erano manifestamente infondate e generiche. Il ricorrente non ha opposto elementi specifici e concreti alle logiche motivazioni del provvedimento impugnato.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27006 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27006 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 06/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 21/02/2024 della CORTE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Ritenuto che le censure articolate da NOME COGNOME nell’unico motivo di impugnazione non superano il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto sollecitano, nella sostanza, non consentiti apprezzamenti di merito e, laddove pongono questioni giuridiche, risultano manifestamente infondate o generiche.
1.1. Il Giudice dell’esecuzione, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ineccepibilmente osservato che ostano al riconoscimento del vincolo di cui all’art. 81, secondo comma, cod. pen. tra tutti í reati con rilievo decisivo, non solo il lasso di tempo intercorso tra i fatti e l’assenza, in disparte dell’omogeneità del bene giuridico per alcune di esse, di circostanze sintomatiche della ideazione e programmazione, sin dalla consumazione del primo reato, nelle linee generali, anche di quelli successivi. Risulta dalle sentenze che COGNOME ha commesso i reati nell’ ambito di associazioni camorristiche che, pur mirando la controllo dello stesso territorio, non hanno operato in continuità ma in epoche lontane (la prima, il clan COGNOME dal 1999 al 2004, la seconda, il clan COGNOME, dal 2013). Per di più, la seconda in ordine di tempo era stata promossa proprio da COGNOME sulla base di sviluppi criminali nemmeno prefigurabili al momento dell’adesione a quella precedente. In tale contesto non è ipotizzabile alcun collante tra i reati.
Le censure del ricorrente sollecitano una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice di merito.
L’ordinanza impugnata ha correttamente valutato sia la distanza cronologica tra i reati sia la natura eterogenea dei sodalizi la loro accertata riconducibilità diverse e non Colgate deliberazioni criminose. Il dato temporale è stato apprezzato alla stregua di un indice probatorio che, pur non essendo decisivo, può in concreto rappresentare un limite logico alla possibilità di ravvisare la continuazione, tanto maggiore quanto più lontani nel tempo sono i fatti di cui si discute. E a tale canone di comune esperienza, il ricorso nulla di concreto oppone, limitandosi a contestarne, del tutto astrattamente la conducenza.
Resta dunque solo da aggiungere che il ricorso è nella sostanza anche assolutamente generico, perché ai rilievi, come detto corretti e logici, del provvedimento impugnato, non oppone alcun elemento concreto e specifico
Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valu profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condannala ricorrente al pagamento dell spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa de ammende.
Il COGNOME
Così deciso, in Roma 6 giugno 2024 Il Consigliere estensore COGNOME
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