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Continuazione tra reati: no se c’è distanza temporale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che chiedeva l’applicazione della continuazione tra reati per un delitto associativo e successivi episodi di spaccio. La notevole distanza temporale (oltre due anni) e la diversità di contesto sono state ritenute indicative non di un unico disegno criminoso, ma di una scelta di vita delinquenziale, escludendo così il beneficio.

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Pubblicato il 3 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: la Cassazione Nega il Beneficio in Caso di Distanza Temporale

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di unificare sotto un’unica pena più violazioni commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Con l’ordinanza n. 26997/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito i rigidi confini di questo beneficio, escludendolo quando un significativo lasso di tempo e la diversità dei contesti indicano una ‘scelta di vita delinquenziale’ piuttosto che un piano unitario.

I Fatti di Causa

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo condannato con due sentenze distinte. La prima riguardava un reato associativo finalizzato al traffico di stupefacenti (ex art. 74 d.P.R. 309/1990), commesso tra il dicembre 2016 e il gennaio 2018. La seconda sentenza lo condannava per singoli episodi di spaccio (ex art. 73 d.P.R. 309/1990), avvenuti oltre due anni dopo la cessazione del primo reato.

L’interessato si era rivolto al giudice dell’esecuzione chiedendo di applicare la disciplina della continuazione, sostenendo che tutti i fatti delittuosi fossero riconducibili a un unico e originario disegno criminoso. La Corte d’Appello di Roma, tuttavia, aveva respinto la richiesta, sottolineando la non omogeneità dei reati, le diverse modalità esecutive e la notevole distanza temporale, elementi che facevano propendere per una scelta di vita criminale anziché per un piano unitario.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla continuazione tra reati

La Settima Sezione Penale della Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. Gli Ermellini hanno ritenuto che il giudice di merito avesse applicato correttamente i principi stabiliti dalle Sezioni Unite (sentenza n. 28659/2017).

Secondo la Suprema Corte, la programmazione originaria di tutti i delitti, inclusi quelli commessi a distanza di oltre due anni, non era né provata né plausibile. Il contesto ambientale e soggettivo del secondo reato era apparso ‘del tutto diverso’, pur essendo avvenuto nello stesso territorio. La presenza della sola moglie come coimputata nel secondo episodio non è stata ritenuta sufficiente a creare un collegamento con la precedente e più ampia struttura associativa.

Le Motivazioni: Distanza Temporale e Scelta di Vita Delinquenziale

Il cuore della motivazione della Cassazione risiede nella valorizzazione della ‘forte distanza temporale’. Questo elemento, secondo un ragionamento logico e non contraddittorio, è stato considerato la prova dell’insussistenza di un’unica ideazione criminosa. Piuttosto, esso dimostra una ‘mera inclinazione a commettere un certo tipo di reati o una scelta di vita delinquenziale’.

In altre parole, la Corte ha distinto tra chi pianifica fin dall’inizio una serie di reati per un unico scopo e chi, invece, persevera nel crimine con nuove e distinte determinazioni. Nel caso di specie, il passaggio da un reato associativo a singoli episodi di spaccio, dopo un lungo intervallo (attribuito a periodi di carcerazione, ma non per questo irrilevante), è stato interpretato come frutto di una nuova decisione e organizzazione, non come l’attuazione di un piano preesistente.

Inoltre, la Corte ha dichiarato inammissibile la censura relativa al momento consumativo del reato associativo, poiché tentava una non consentita modifica del giudicato, ossia una rivalutazione di fatti già accertati in via definitiva dal giudice di merito.

Conclusioni: I Limiti all’Applicazione del Reato Continuato

L’ordinanza in esame consolida un principio fondamentale: la continuazione tra reati non può essere presunta e richiede una prova rigorosa dell’unicità del disegno criminoso. La semplice omogeneità dei delitti o la commissione nello stesso ambito territoriale non sono sufficienti. La distanza temporale assume un ruolo cruciale: un intervallo significativo tra le condotte può trasformarsi da mero indicatore a prova logica dell’assenza di un piano unitario, configurando invece una persistenza nell’attività illecita frutto di scelte autonome e successive. Questa decisione serve da monito sulla necessità di una valutazione attenta e concreta di tutti gli elementi fattuali per poter accedere a un istituto di favore come quello del reato continuato.

Quando può essere esclusa la continuazione tra reati?
La continuazione tra reati può essere esclusa quando emerge che le varie condotte sono frutto di una scelta di vita delinquenziale piuttosto che di un’unica ideazione originaria. Elementi come una notevole distanza temporale, modalità esecutive diverse e un contesto soggettivo differente possono portare a tale esclusione.

Una notevole distanza temporale tra i reati è sufficiente per negare il vincolo della continuazione?
Sì, secondo la Corte, una forte distanza temporale (nel caso specifico, oltre due anni) può essere ritenuta, con ragionamento logico, dimostrativa dell’insussistenza di un’unica programmazione criminosa, suggerendo piuttosto una generica inclinazione a delinquere o una nuova determinazione a commettere reati.

È possibile, in fase di esecuzione, contestare la data di consumazione di un reato già accertata in una sentenza definitiva?
No, la Corte ha stabilito che chiedere una diversa valutazione degli elementi di prova già esaminati e valutati dal giudice della cognizione con pronuncia definitiva costituisce una modifica non consentita del giudicato e, pertanto, tale richiesta è inammissibile.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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