Continuazione tra Reati: Quando l’Abitualità Prevale sul Disegno Criminoso
Il concetto di continuazione tra reati è un pilastro del nostro sistema sanzionatorio penale, pensato per mitigare la pena di chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un unico piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 11509/2024) chiarisce i confini di questo istituto, negandone l’applicazione quando i fatti indicano non un disegno unitario, ma una vera e propria ‘abitualità criminosa’.
I fatti del caso
Un soggetto condannato per diversi reati, tra cui resistenza a pubblico ufficiale e lesioni personali, presentava ricorso al Tribunale in funzione di giudice dell’esecuzione per ottenere il riconoscimento del vincolo della continuazione tra i vari illeciti commessi. L’obiettivo era ottenere un trattamento sanzionatorio più favorevole, unificando le pene sotto la logica di un presunto unico disegno criminoso. Il Tribunale, tuttavia, respingeva la richiesta.
Contro questa decisione, l’interessato proponeva ricorso per Cassazione, lamentando un presunto difetto di motivazione da parte del giudice dell’esecuzione.
La decisione della Corte di Cassazione e la negazione della continuazione tra reati
La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del Tribunale. I giudici di legittimità hanno ritenuto la motivazione del provvedimento impugnato pienamente corretta e in linea con i principi consolidati della giurisprudenza, in particolare quella delle Sezioni Unite.
Secondo la Corte, diversi elementi concreti ostacolavano in modo decisivo il riconoscimento della continuazione tra reati:
* Distanza spazio-temporale: Le violazioni erano state commesse in luoghi e momenti significativamente distanti tra loro.
* Diverse modalità esecutive: I reati erano stati perpetrati con metodi differenti.
* Diversità delle persone offese: Le vittime dei reati non erano le medesime.
* Carattere estemporaneo: Le condotte di resistenza e lesioni apparivano come reazioni spontanee e occasionali, non come tappe di un piano preordinato.
Le motivazioni: perché l’abitualità esclude la continuazione tra reati
Il cuore della decisione risiede nella distinzione tra ‘disegno criminoso’ e ‘abitualità criminosa’. La Corte ha osservato che i fatti, nel loro complesso, non erano riconducibili a un’unica risoluzione criminosa iniziale, ma rappresentavano piuttosto ‘autonome risoluzioni criminose’. Questa pluralità di decisioni di delinquere è stata interpretata come espressione dell’abitualità criminosa dell’agente. In altre parole, l’individuo non stava eseguendo un piano, ma semplicemente manifestava una tendenza consolidata a commettere reati. L’abitualità è una condizione che, per sua natura, non merita l’applicazione di istituti di favore come la continuazione, la cui ratio è proprio quella di premiare chi, pur commettendo più reati, lo fa all’interno di un singolo e circoscritto progetto illecito. La Corte ha inoltre sottolineato come le argomentazioni del ricorrente fossero generiche e mirassero a una ‘rilettura’ dei fatti, operazione non consentita in sede di legittimità, dove il giudizio è sulla corretta applicazione del diritto, non sulla ricostruzione della vicenda.
Le conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: per ottenere il beneficio della continuazione, non basta la semplice somiglianza dei reati commessi. È necessario dimostrare, con elementi concreti, l’esistenza di un’unica programmazione iniziale che leghi tutte le condotte illecite. In assenza di tale prova, e in presenza di indicatori come la distanza temporale, la diversità delle modalità e delle vittime, i giudici tenderanno a qualificare il comportamento come espressione di abitualità a delinquere. La conseguenza è l’esclusione di qualsiasi trattamento sanzionatorio di favore, con l’applicazione di pene distinte per ogni reato commesso. La decisione serve quindi da monito: la continuazione è un beneficio riservato a casi specifici e non uno strumento per alleggerire sistematicamente le conseguenze di una carriera criminale.
Quando viene esclusa la continuazione tra reati?
La continuazione tra reati viene esclusa quando elementi come la notevole distanza spazio-temporale tra le violazioni, le differenti modalità di esecuzione e la diversa identità delle vittime indicano che i reati non fanno parte di un unico disegno criminoso, ma sono piuttosto espressione dell’abitualità criminosa dell’agente.
Cosa intende la Cassazione per abitualità criminosa in questo contesto?
Per abitualità criminosa, la Cassazione intende la commissione di reati che non derivano da un piano preordinato, ma da autonome risoluzioni criminose. Queste azioni sono viste come l’espressione di una tendenza a delinquere dell’individuo, una condizione che non merita l’applicazione di istituti di favore come la continuazione.
Perché un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile?
Un ricorso in Cassazione può essere dichiarato inammissibile quando le argomentazioni presentate (doglianze) sono generiche e si limitano a sollecitare una rilettura delle circostanze fattuali già valutate dal giudice precedente. Questa operazione non è consentita in sede di legittimità, dove la Corte valuta solo la corretta applicazione della legge e non può riesaminare i fatti del caso.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11509 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11509 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME NOME a LICATA il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 13/11/2023 del TRIBUNALE di AGRIGENTO
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione.
Ritenuto che le censure dell’odierno ricorrente denunciano asserito difetto di motivazione non emergente dalla lettura del provvedimento impugNOME.
Invero, il GE, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità (cfr. Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074 – 01), ha ineccepibilmente osservato che, a prescindere dalla peraltro solo parziale omogeneità dei titoli di reato, ostano al riconoscimento della continuazione, con rilievo decisivo, la distanza spazio-temporale tra le violazioni, le differenti modalità esecutive e la diversa identità delle persone offes In tale contesto, stanti altresì il carattere estemporaneo delle analoghe condotte di resistenza a pubblico ufficiale e di lesioni personali e le diverse finalità perseguite con l loro commissione, i fatti oggetto d’esame appaiono plausibilmente riconducibili ad autonome risoluzioni criminose quali espressione dell’abitualità criminosa dell’agente, non meritevole dell’applicazione di istituti di favore.
Considerato che a tali argomenti, COGNOME oppone doglianze generiche e rivalutative, finendo con il sollecitare una rilettura delle circostanze fattuali prese in considerazion dal giudicante, operazione pacificamente non consentita in sede di legittimità.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 22 febbraio 2024
Il Consigliere estensore
Il Presidene