LexCED: l'assistente legale basato sull'intelligenza artificiale AI. Chiedigli un parere, provalo adesso!

Continuazione tra reati: no se c’è abitualità

La Corte di Cassazione ha negato il beneficio della continuazione tra reati a un condannato per diversi furti. La sentenza chiarisce che la semplice ripetizione di crimini simili, la vicinanza temporale e le modalità omogenee non provano l’esistenza di un unico disegno criminoso, potendo invece indicare una mera abitualità a delinquere. La diversità dei complici e un significativo lasso temporale sono stati considerati elementi a sfavore della richiesta.

Prenota un appuntamento

Per una consulenza legale o per valutare una possibile strategia difensiva prenota un appuntamento.

La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)
Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando la Ripetizione del Crimine Non Basta

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta una risorsa fondamentale per mitigare il trattamento sanzionatorio di chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha ribadito i confini netti tra un unico disegno criminoso e la semplice abitudine a delinquere, sottolineando come la ripetizione di reati simili non sia, di per sé, sufficiente a integrare questo beneficio. Analizziamo il caso per comprendere meglio questi principi.

I Fatti del Caso: Furti Ripetuti e la Richiesta del Condannato

Un soggetto, condannato con due sentenze irrevocabili per tre episodi di furto in abitazione (uno tentato e due consumati) commessi in un arco temporale di circa cinque mesi, presentava un’istanza al Giudice dell’esecuzione. La sua richiesta era volta al riconoscimento della continuazione tra reati per tutti gli episodi, al fine di unificare le pene in un’unica, più favorevole sanzione. Il ricorrente sosteneva che i furti, sebbene avvenuti in momenti diversi, fossero tutti parte di un unico progetto delittuoso ideato e attuato da un unico gruppo criminale.

La Decisione del Tribunale e i Motivi del Ricorso

Il Tribunale di Milano, in qualità di giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta. La motivazione si basava su diversi elementi: la proclività del condannato a commettere specificamente furti in abitazione, il lasso temporale di cinque mesi tra il primo e l’ultimo episodio, e la circostanza che i complici fossero cambiati tra i primi due furti e l’ultimo. Secondo il Tribunale, questi fattori indicavano non un piano unitario, ma una semplice tendenza a delinquere, con decisioni prese in modo estemporaneo.

Il condannato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando una violazione di legge e una motivazione contraddittoria. A suo avviso, il giudice aveva erroneamente svalutato l’omogeneità delle condotte e delle modalità esecutive, che avrebbero dovuto far presumere l’esistenza di un unico disegno criminoso.

Le Motivazioni: La Distinzione tra Continuazione tra Reati e Abitualità

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del Tribunale. I giudici supremi hanno colto l’occasione per ribadire i principi consolidati, in particolare quelli stabiliti dalle Sezioni Unite nel 2017. Per il riconoscimento della continuazione tra reati, è necessaria una verifica approfondita di indicatori concreti che provino che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.

La Corte ha specificato che elementi come l’omogeneità dei reati, la contiguità spaziale e temporale o le simili modalità operative non sono sufficienti da soli. Se questi indici non sono supportati da prove di una programmazione unitaria e preventiva, possono semplicemente rappresentare l’espressione di una ‘specializzazione’ criminale o di un’abitudine a delinquere. In altre parole, un ladro che compie furti in serie non sta necessariamente eseguendo un piano premeditato, ma potrebbe semplicemente aver adottato il crimine come stile di vita.

Nel caso specifico, il lasso temporale di cinque mesi e la diversità dei complici sono stati correttamente interpretati come prove della natura estemporanea dell’ultimo furto, slegato da un presunto piano originario. Inoltre, la Cassazione ha ricordato che, in fase esecutiva, è onere del condannato fornire elementi concreti a sostegno della sua richiesta, per evitare che la continuazione tra reati si trasformi in un ingiustificato beneficio automatico per chi reitera i crimini.

Le Conclusioni

La sentenza consolida un principio cruciale: il beneficio della continuazione non è un automatismo derivante dalla serialità criminale. Per ottenerlo, il condannato deve dimostrare, attraverso elementi specifici e concreti, l’esistenza di un’unica ideazione preventiva che abbracci tutti gli episodi delittuosi. In assenza di tale prova, la ripetizione dei reati viene interpretata come una mera inclinazione a delinquere, che non merita il trattamento sanzionatorio più mite previsto per chi agisce in esecuzione di un unico disegno criminoso. Questa distinzione è fondamentale per mantenere la coerenza del sistema penale, premiando la pianificazione unitaria ma sanzionando adeguatamente l’abitualità criminale.

Quando si può applicare la continuazione tra reati?
La continuazione si applica quando più reati sono il risultato di un ‘medesimo disegno criminoso’, ovvero un piano unitario ideato prima di commettere il primo reato. Secondo la sentenza, non è sufficiente che i reati siano simili o commessi a breve distanza di tempo.

La ripetizione dello stesso tipo di reato è sufficiente per ottenere la continuazione?
No. Secondo la sentenza, la mera ripetizione di reati dello stesso tipo può essere considerata espressione di una semplice ‘proclività’ o ‘abitudine’ a delinquere, che è cosa diversa da un unico disegno criminoso e non dà diritto al beneficio.

Chi deve provare l’esistenza di un unico disegno criminoso in fase di esecuzione?
In fase di esecuzione della pena, l’onere di allegare elementi concreti che dimostrino l’esistenza di un’unica programmazione preventiva ricade sul condannato che richiede il beneficio della continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

Desideri approfondire l'argomento ed avere una consulenza legale?

Prenota un appuntamento. La consultazione può avvenire in studio a Milano, Pesaro, Benevento, oppure in videoconferenza / conference call e si svolge in tre fasi.

Prima dell'appuntamento: analisi del caso prospettato. Si tratta della fase più delicata, perché dalla esatta comprensione del caso sottoposto dipendono il corretto inquadramento giuridico dello stesso, la ricerca del materiale e la soluzione finale.

Durante l’appuntamento: disponibilità all’ascolto e capacità a tenere distinti i dati essenziali del caso dalle componenti psicologiche ed emozionali.

Al termine dell’appuntamento: ti verranno forniti gli elementi di valutazione necessari e i suggerimenti opportuni al fine di porre in essere azioni consapevoli a seguito di un apprezzamento riflessivo di rischi e vantaggi. Il contenuto della prestazione di consulenza stragiudiziale comprende, difatti, il preciso dovere di informare compiutamente il cliente di ogni rischio di causa. A detto obbligo di informazione, si accompagnano specifici doveri di dissuasione e di sollecitazione.

Il costo della consulenza legale è di € 150,00.

02.37901052
8:00 – 20:00
(Lun - Sab)

Articoli correlati