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Continuazione tra reati: no con un lungo lasso di tempo

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva di applicare la continuazione tra reati a una vecchia condanna per tentato acquisto di stupefacenti e successive condanne per narcotraffico. La Corte ha stabilito che il notevole lasso di tempo trascorso tra i fatti (dal 1983 al 1991) è un elemento decisivo per escludere l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, requisito fondamentale per la continuazione.

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Pubblicato il 18 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La continuazione tra reati e il fattore tempo: la Cassazione fa chiarezza

L’istituto della continuazione tra reati, disciplinato dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta una colonna portante del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di mitigare la pena per chi commette più reati sotto l’impulso di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, quali sono i limiti per riconoscere tale unicità di intenzione? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha ribadito un principio fondamentale: una distanza temporale eccessiva tra i crimini può essere un ostacolo insormontabile. Analizziamo insieme questa importante decisione.

I Fatti del Caso

Il caso sottoposto all’esame della Suprema Corte riguardava la richiesta di un condannato di vedere riconosciuta la continuazione tra due gruppi di reati. Il primo, un tentato acquisto di sostanze stupefacenti, era stato commesso nel 1983 e giudicato con una sentenza del 1986. Il secondo gruppo di reati, relativi a un’associazione finalizzata al narcotraffico, era stato commesso a partire dal 1991.

Il ricorrente sosteneva che tutti i reati fossero riconducibili a un unico progetto criminale. La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva però respinto la richiesta, sottolineando non solo la notevole distanza temporale tra i fatti, ma anche la diversità dei contesti territoriali e l’assenza di un collegamento oggettivo tra le condotte.

La Decisione della Corte e il ruolo del criterio temporale nella continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione del giudice dell’esecuzione. I giudici hanno qualificato i motivi del ricorso come ‘manifestamente infondati’, in quanto in netto contrasto con la giurisprudenza consolidata.

Il punto centrale della decisione è il valore attribuito al criterio temporale. La Corte ha ricordato, citando una nota sentenza delle Sezioni Unite (la n. 28659/2017, Gargiulo), che il tempo è uno degli indici principali per valutare l’esistenza o meno di una ‘volizione unitaria’. Sebbene la legge non fissi un termine massimo, una distanza temporale ‘cospicua’ – come quella di quasi un decennio presente nel caso di specie – rende la decisione di negare la continuazione non solo legittima, ma anche del tutto logica.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su un ragionamento lineare e pragmatico. Per aversi un ‘medesimo disegno criminoso’, è necessario che l’autore abbia programmato, almeno nelle sue linee generali, la serie di reati fin dall’inizio, prima di commettere il primo. Un lungo intervallo di tempo tra una condotta e l’altra rende poco credibile che la seconda sia stata parte di un piano originario. È più probabile che essa sia frutto di una nuova e autonoma deliberazione criminale, sorta in un momento successivo. Nel caso specifico, il passaggio da un singolo episodio di tentato acquisto nel 1983 a una stabile attività di narcotraffico associativo dal 1991, in contesti diversi, rafforzava ulteriormente la tesi della discontinuità del proposito criminale. La decisione del giudice di merito, pertanto, non era illogica e non poteva essere censurata in sede di legittimità.

Le Conclusioni

Questa ordinanza ribadisce un principio di fondamentale importanza pratica: chi intende chiedere il riconoscimento della continuazione tra reati deve essere in grado di fornire elementi concreti a sostegno dell’unicità del disegno criminoso, capaci di superare l’ostacolo rappresentato da un significativo divario temporale. La sola affinità della tipologia di reato non è sufficiente. La distanza nel tempo tra le condotte criminali rimane un indicatore forte, e spesso decisivo, per escludere l’applicazione di questo beneficio, con la conseguenza che le pene per i diversi reati verranno cumulate materialmente, portando a un trattamento sanzionatorio più severo.

Quando è possibile chiedere il riconoscimento della continuazione tra reati?
È possibile chiederlo nella fase di esecuzione della pena, ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale, quando si ritiene che più reati, per i quali sono state emesse diverse sentenze di condanna, siano stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.

Quanto è importante il tempo trascorso tra un reato e l’altro per ottenere la continuazione?
È un fattore cruciale. La Corte di Cassazione afferma che il criterio temporale è uno degli indici più importanti per valutare l’esistenza di un’unica volontà criminale. Una ‘cospicua distanza temporale’ tra i fatti, come diversi anni, rende molto difficile, se non impossibile, dimostrare la continuazione e giustifica il rigetto della richiesta.

Cosa comporta la dichiarazione di inammissibilità del ricorso da parte della Cassazione?
Comporta che il ricorso non viene esaminato nel merito e la decisione impugnata diventa definitiva. Inoltre, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, come sanzione per aver presentato un ricorso palesemente infondato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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