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Continuazione tra reati: no con lungo iato temporale

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati per spaccio. La decisione si fonda sul significativo iato temporale (oltre un anno e cinque mesi) tra i fatti, ritenuto incompatibile con l’esistenza di un unico e preordinato programma criminoso, elemento essenziale per l’applicazione dell’istituto.

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Pubblicato il 23 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando il tempo spezza il disegno criminoso

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta una figura centrale del nostro ordinamento penale, consentendo di mitigare il trattamento sanzionatorio quando più crimini sono frutto di un’unica ideazione. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica di specifici indicatori. Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione è tornata a pronunciarsi sui confini di questo istituto, sottolineando come un significativo iato temporale tra le condotte possa essere decisivo per escluderne il riconoscimento.

Il caso: la richiesta di applicazione della continuazione

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un soggetto condannato per un reato legato agli stupefacenti, commesso nell’estate del 2017. Il ricorrente chiedeva che questo reato fosse considerato in continuazione con altre condotte illecite, sempre in materia di stupefacenti, da lui commesse in un periodo compreso tra il dicembre 2015 e il marzo 2016.

Il giudice dell’esecuzione, in prima istanza, aveva respinto la richiesta. La ragione principale del diniego risiedeva nell’ampio iato temporale, pari ad almeno un anno e cinque mesi, che separava le due serie di eventi criminosi. Secondo il giudice, tale distanza cronologica, unita alla diversa natura delle condotte (plurime cessioni di piccole partite prima, un nuovo e consistente approvvigionamento dopo), indicava l’assenza di un unico programma criminoso preordinato.

L’analisi della Corte sulla continuazione tra reati

La Corte di Cassazione, nel dichiarare inammissibile il ricorso, ha colto l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia. Per poter applicare la continuazione tra reati, è indispensabile dimostrare che le diverse violazioni siano parte integrante di un unico programma criminoso, deliberato in anticipo per conseguire un determinato fine.

I requisiti del programma criminoso

La giurisprudenza ha individuato una serie di indicatori concreti per accertare l’esistenza di questo disegno unitario, tra cui:

* L’omogeneità delle violazioni e del bene giuridico protetto.
* La contiguità spazio-temporale.
* Le modalità della condotta.
* La sistematicità e le abitudini di vita.

È fondamentale, come precisato dalle Sezioni Unite, che al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati almeno nelle loro linee essenziali. Non è sufficiente una generica propensione a delinquere.

Le motivazioni della decisione: perché il tempo conta

Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto la motivazione del giudice di merito logica e immune da vizi. Il decorso di un consistente lasso di tempo tra le manifestazioni criminali è stato considerato un elemento che, sia sul piano logico che giuridico, supporta la tesi dell’assenza di un piano unitario.

I giudici hanno specificato che un programma criminoso non deve essere confuso con una generica “concezione di vita improntata all’illecito”. Quest’ultima, infatti, è espressione di una tendenza a delinquere che viene sanzionata attraverso istituti come la recidiva o l’abitualità, che operano in senso opposto al favor rei sotteso alla continuazione.

L’ampia distanza cronologica, unita alle diverse circostanze fattuali, ha reso “francamente incompatibile” la tesi di una programmazione anticipata. La condotta del 2017 è stata quindi interpretata come una nuova e autonoma iniziativa criminosa, slegata da quella precedente e non come l’attuazione di un piano concepito oltre un anno e mezzo prima.

Conclusioni: implicazioni pratiche della sentenza

Questa ordinanza conferma un orientamento consolidato: l’elemento temporale è un fattore cruciale nella valutazione della continuazione tra reati. Sebbene non sia l’unico indicatore, un lungo intervallo tra i crimini costituisce un forte indizio contrario all’esistenza di un unico disegno criminoso. Per ottenere il beneficio, non basta che i reati siano della stessa specie; è necessario fornire prove concrete che dimostrino come essi fossero stati concepiti e pianificati come parte di un progetto unitario fin dall’inizio, un onere probatorio che una notevole distanza temporale rende estremamente difficile da soddisfare.

Quando si può parlare di continuazione tra reati?
Si può parlare di continuazione quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo programma criminoso, ovvero un piano unitario ideato dall’agente prima di commettere la prima violazione.

Un lungo periodo di tempo tra due reati esclude sempre la continuazione?
Sebbene non sia un automastismo, un consistente iato temporale (nel caso di specie, un anno e cinque mesi) è un elemento fattuale molto forte che supporta, sia logicamente che giuridicamente, l’esclusione della continuazione, in quanto rende poco credibile l’esistenza di un piano unitario originario.

Che differenza c’è tra un ‘programma criminoso’ e uno ‘stile di vita criminale’?
Il ‘programma criminoso’ è un piano specifico e preordinato per commettere una serie definita di illeciti. Lo ‘stile di vita criminale’, invece, è una generica inclinazione a commettere reati per trarne sostentamento, una condizione che non giustifica la continuazione ma può essere sanzionata da istituti come la recidiva o l’abitualità nel reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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