Continuazione tra Reati: Quando il Piano Criminale non è Unitario
L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un cardine del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di mitigare la pena per chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica dei presupposti. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione su questo tema, negando il beneficio in un caso di spaccio di stupefacenti e possesso illegale di armi.
I Fatti del Caso: Spaccio e Armi
Il caso trae origine da una sentenza della Corte d’Appello di Firenze, che aveva parzialmente riformato una decisione del Tribunale di Pistoia, condannando un imputato alla pena di un anno di reclusione. Le accuse erano gravi: spaccio di sostanze stupefacenti (previsto dall’art. 73 del Testo Unico Stupefacenti) e detenzione illegale di un’arma (art. 23 della Legge 110/1975).
L’Appello e il Ricorso: la richiesta di continuazione tra reati
La difesa dell’imputato ha presentato ricorso per cassazione, lamentando la violazione dell’articolo 81 del codice penale. Il punto centrale della doglianza era il mancato riconoscimento del vincolo della continuazione tra i due reati contestati. Secondo la tesi difensiva, il possesso dell’arma era strumentale e collegato all’attività di spaccio, configurando quindi un unico disegno criminoso che avrebbe dovuto portare a un calcolo della pena più favorevole.
Le motivazioni della Cassazione sul diniego della continuazione tra reati
La Suprema Corte ha respinto il ricorso, dichiarandolo inammissibile con motivazioni nette e precise, che ribadiscono i principi consolidati in materia.
L’Assenza di un “Medesimo Disegno Criminoso”
Il cuore della decisione risiede nella valutazione del concetto di “medesimo disegno criminoso”. I giudici hanno stabilito che, per applicare la continuazione, non è sufficiente che i reati siano stati commessi dallo stesso soggetto o in un contesto simile. È indispensabile provare l’esistenza di un piano unitario, di una programmazione che leghi teleologicamente le diverse condotte.
Nel caso specifico, la Corte ha ritenuto che la motivazione dei giudici di merito fosse adeguata e logica. I reati di spaccio e di detenzione dell’arma non apparivano come l’attuazione di un piano preordinato, ma piuttosto come il risultato di circostanze ed esigenze “occasionali e contingenti”. In particolare, non è emerso alcun elemento concreto per poter affermare che il possesso dell’arma fosse effettivamente collegato e funzionale all’attività di spaccio.
La Specificità del Ricorso
La Cassazione ha inoltre qualificato il ricorso come “manifestamente aspecifico”. Questo significa che le argomentazioni della difesa non evidenziavano reali vizi di legge o di motivazione della sentenza impugnata, ma si limitavano a sollecitare una rilettura dei fatti. Tale operazione è preclusa in sede di legittimità, dove la Corte non può sostituire la propria valutazione a quella dei giudici di merito, ma solo verificare la correttezza giuridica e la coerenza logica del loro ragionamento.
Le conclusioni: Implicazioni Pratiche
Questa ordinanza ribadisce un principio fondamentale: la continuazione tra reati non è una conseguenza automatica della commissione di più illeciti. Per ottenerne il riconoscimento, è necessario dimostrare, con elementi concreti, che tutte le condotte sono parte di un’unica strategia criminale deliberata in anticipo. La semplice coesistenza di due reati, anche se potenzialmente collegabili in astratto, non è sufficiente. La decisione sottolinea l’importanza di una motivazione solida da parte dei giudici di merito nel valutare questo presupposto e il limite invalicabile del giudizio di Cassazione, che non può trasformarsi in un terzo grado di giudizio sul fatto.
Quando si può applicare la continuazione tra reati?
L’istituto si applica solo quando si dimostra l’esistenza di un “medesimo disegno criminoso”, ovvero un piano unitario e programmato che lega i diversi reati. Non è sufficiente che i reati siano determinati da circostanze occasionali e contingenti.
Il possesso di un’arma è sempre collegato allo spaccio ai fini della continuazione?
No. Secondo la Corte, in questo caso specifico non è stato possibile ritenere che il possesso dell’arma fosse collegato all’attività di spaccio. Il collegamento funzionale tra i due reati deve essere provato e non può essere presunto.
Cosa succede se un ricorso in Cassazione è ritenuto aspecifico?
Se il ricorso è considerato “manifestamente aspecifico”, cioè se non denuncia reali vizi di legge ma si limita a chiedere una diversa valutazione dei fatti, la Corte lo dichiara inammissibile. Questo comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 9211 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 9211 Anno 2025
Presidente: NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/02/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato in MAROCCO il 18/12/1996
avverso la sentenza del 28/06/2024 della Corte d’appello di Firenze
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di appello di Firenze ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale di Pistoia del 12/10/2023 e, previa riqualificazione del reato contestato sub 1) della rubrica ai sensi dell 743 d.P.R. 09 ottobre 1990, n. 309, ha rideterminato la pena inflitta a NOME COGNOME in anni uno di reclusione.
Ricorre per cassazione COGNOME, a mezzo dell’avv. NOME COGNOME deducendo vizio ex art. 606, comma 1, lett. e) cod. proc. pen., per violazione d legge, con specifico riferimento all’art. 81 cod. pen., stante il manc riconoscimento del vincolo della continuazione, tra i capi 1) e 2) dell’imputazione
Il ricorso è inammissibile. Il giudice dell’esecuzione ha adeguatamente motivato, in ordine all’insussistenza del medesimo disegno criminoso, ritenendo non esservi – tra i due reati ex art. 73 T.U. stup. e 23 legge 18 aprile 1975 110, alcun elemento da cui desumere una programmazione unitaria dei reati, i quali appaiono piuttosto determinati da circostanze ed esigenze occasionali e contingenti. Non si è ritenuto possibile, in particolare, reputare che il posse dell’arma fosse collegato all’attività di spaccio.
Il ricorso, pertanto, risulta manifestamente aspecifico, in quanto le doglianze, oltre a sollecitare una diversa e alternativa lettura delle argomentazio poste alla base dell’ordinanza impugnata, non consentita in questa sede (cfr. Sez 6, n. 5465 del 04/11/2020, dep. 2021, F., Rv 280601), denunciano difetti di motivazione non emergenti nel provvedimento impugnato.
Alla luce delle considerazioni che precedono, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ravvisandosi ipotesi di esonero – al versamento d una somma in favore della Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso in Roma, 20 febbraio 2025
Il Consigliere COGNOME
Il Presidente