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Continuazione tra reati: no con 7 anni di distanza

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile un ricorso che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. La Corte ha stabilito che un intervallo temporale di oltre sette anni tra i fatti delittuosi è un elemento decisivo per escludere l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, rendendo la decisione del secondo reato estemporanea e non parte di un piano originario.

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Pubblicato il 29 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando il Tempo Spezza il “Disegno Criminoso”

La disciplina della continuazione tra reati, prevista dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un istituto di favore per l’imputato, consentendo di unificare sotto un’unica pena più violazioni di legge commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa verifica di specifici indicatori. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 4691/2024) ha ribadito la centralità di un elemento spesso dibattuto: l’intervallo di tempo tra i fatti.

I Fatti del Caso: Un Ricorso contro la Condanna per Furto

Il caso trae origine dal ricorso di un’imputata, condannata dalla Corte di Appello di Messina per un reato di furto aggravato. La difesa aveva richiesto il riconoscimento della continuazione tra reati con un precedente giudicato, al fine di ottenere una pena complessiva più mite. La Corte di Appello, però, aveva respinto tale richiesta, evidenziando un notevole “iato temporale” di oltre sette anni che separava i fatti oggetto della nuova condanna da quelli del precedente.

Insoddisfatta della decisione, l’imputata ha proposto ricorso per cassazione, sostenendo che la Corte territoriale avesse errato nel negare il vincolo della continuazione, basandosi unicamente sul fattore tempo.

I Requisiti della Continuazione tra Reati e il Ruolo del Tempo

Perché si possa parlare di continuazione tra reati, non è sufficiente che le condotte illecite siano simili o che violino la stessa norma. La giurisprudenza, consolidatasi con la celebre sentenza a Sezioni Unite “Gargiulo” (n. 28659/2017), ha chiarito che il giudice deve condurre un’analisi approfondita su una serie di indicatori concreti. Tra questi figurano:

* L’omogeneità delle violazioni e del bene giuridico protetto.
* La contiguità spazio-temporale.
* Le modalità della condotta.
* La sistematicità e le abitudini di vita dell’autore.

Il requisito fondamentale, però, rimane la prova di un “medesimo disegno criminoso”, ovvero la dimostrazione che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Non è sufficiente una generica inclinazione a delinquere; serve un piano originario.

Le Motivazioni della Cassazione

La Suprema Corte, nel dichiarare il ricorso inammissibile, ha pienamente condiviso l’impostazione della Corte di Appello. I giudici hanno sottolineato che un intervallo di oltre sette anni è un elemento che, di per sé, rende poco plausibile l’esistenza di un’unica programmazione criminosa. Un lasso di tempo così esteso suggerisce, al contrario, che il secondo reato sia il frutto di una “determinazione estemporanea”, ovvero di una decisione nata sul momento e slegata da qualsiasi piano precedente.

La Cassazione ha chiarito che, sebbene la presenza di alcuni indicatori (come la somiglianza dei reati) possa essere un punto di partenza, essi perdono di significato di fronte a una distanza temporale così marcata. In assenza di prove concrete che dimostrino un collegamento programmatico iniziale, il lungo tempo trascorso spezza il nesso logico e finalistico che deve unire i diversi episodi delittuosi. La decisione si conforma quindi al consolidato principio secondo cui la continuazione tra reati richiede una programmazione unitaria e non può essere invocata per reati che, seppur simili, nascono da decisioni autonome e successive.

Le Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un’importante lezione pratica: l’istituto della continuazione tra reati non è una scorciatoia per ottenere sconti di pena. La sua applicazione è subordinata a una prova rigorosa dell’esistenza di un piano criminoso unitario e preordinato. Un significativo iato temporale tra i fatti costituisce un ostacolo quasi insormontabile, che può essere superato solo fornendo elementi concreti in grado di dimostrare che, nonostante il tempo trascorso, il secondo reato era già stato concepito all’epoca del primo. In mancanza di tale prova, il ricorso è destinato all’inammissibilità, con la conseguente condanna al pagamento delle spese processuali e di una sanzione pecuniaria.

È sufficiente che due reati siano dello stesso tipo per ottenere il riconoscimento della continuazione?
No. Secondo la Corte di Cassazione, l’omogeneità dei reati è solo uno degli indicatori. È necessaria una verifica approfondita che dimostri che i reati successivi erano stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, già al momento della commissione del primo.

Un lungo intervallo di tempo tra due reati impedisce sempre la continuazione tra reati?
Sebbene non sia un ostacolo assoluto, un notevole iato temporale (in questo caso, oltre sette anni) è un elemento fortemente contrario. Rende molto difficile dimostrare l’esistenza di un “medesimo disegno criminoso” e suggerisce piuttosto che il secondo reato sia frutto di una decisione estemporanea e non di un piano originario.

Cosa succede se il ricorso per cassazione viene dichiarato inammissibile?
La dichiarazione di inammissibilità comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma di denaro a favore della Cassa delle ammende, come stabilito nel provvedimento (in questo caso, 3.000 Euro). La decisione impugnata diventa definitiva.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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