Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 27544 Anno 2025
Penale Ord. Sez. 7 Num. 27544 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME
Data Udienza: 10/07/2025
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato a CAPUA il 06/10/1970
avverso l’ordinanza del 24/02/2025 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Visti gli atti.
Esaminati il ricorso e l’ordinanza impugnata.
Ritenuto che le censure articolate da NOME COGNOME nell’unico motivo di impugnazione non superano il vaglio preliminare di ammissibilità in quanto costituite o da mere doglianze in punto di fatto o da critiche generiche e comunque manifestamente infondate, laddove denunziano vizi motivazionali.
Il Giudice dell’esecuzione, in puntuale applicazione dei principi in materia di continuazione come declinati dalla giurisprudenza di legittimità, ha ineccepibilmente osservato – sulla scorta delle risultanze degli accertamenti delle sentenze in esecuzione – che osta al riconoscimento della continuazione, con rilievo decisivo, la distanza temporale trai reati pur omogenei (reati contro il patrimonio), commessi a distanza di ben dodici anni.
Per di più sono assenti circostanze da cui desumere che il condannato, sin dalla consumazione del primo reato, il 2 luglio 2009, avesse programmato sia pure nelle linee generali richieste dall’art. 81, secondo comma, cod. pen., anche quelli commessi a partire dal 5 febbraio 2021. Né in senso contrario depone il riconoscimento della continuazione interna in sede di cognizione posto che ad essere unificate sono state violazioni commesse a giorni o al massimo a pochi mesi di distanza le une dalle altre.
Le censure del ricorrente sollecitano una lettura alternativa del compendio probatorio tratto dalle sentenze in esecuzione da sovrapporre a quella, non manifestamente illogica, del giudice di merito.
Correttamente il dato della distanza cronologica tra i reati è stato apprezzato alla stregua di un indice probatorio che, pur non essendo decisivo, rappresenta un limite logico alla possibilità di ravvisare la continuazione, tanto maggiore quanto più lontani nel tempo sono i fatti di cui si discute. E a tale canone di comune esperienza, il ricorso nulla di concreto oppone, limitandosi a contestarne, del tutto astrattamente la conducenza.
Secondo la stessa prospettazione difensiva, COGNOME avrebbe, sin da quando aveva deliberato di partecipare alla prima estorsione, condiviso il programma associativo del clan dei Casalesi, rimasto immutato nel tempo, che prevedeva, tra l’altro, la consumazione di estorsioni ai danni degli operatori commerciali del territorio controllato dal clan, sfruttando la consolidata capacità di intimidazione.
Tale condivisione, per la sua genericità, è concetto diverso da quello della ideazione e programmazione nelle linee generali del singolo episodio criminoso,
rilevante ai fini della continuazione, che, con riferimento al rapporto tra il reat associativo ed i reati scopo, implica necessariamente la presenza nella mente
dell’agente, al momento dell’adesione al sodalizio, di una deliberazione di fondo, comprensiva non solo della tipologia astratta delle ulteriori violazioni necessarie al
perseguimento del fine comune del gruppo, nella specie le estorsioni, ma anche degli elementi più significativi che in concreto ne caratterizzeranno la concreta
esecuzione. Elementi di questo tipo, invero, non sono stati neanche prospettati, ritenendo il ricorrente sufficiente, ai fini dell’integrazione dell’unitarietà del dise
criminoso, l’essersi sempre avvalso nella consumazione dei reati oggetto della richiesta di unificazione del prestigio criminale derivategli dall’appartenenza o
comunque dalla vicinanza al sodalizio criminale.
Resta, dunque, solo da aggiungere che il ricorso è nella sostanza anche assolutamente generico, perché ai rilievi, come detto corretti e logici, del
provvedimento impugnato, non oppone alcun elemento concreto e specifico non considerato, limitandosi a contestarne, del tutto astrattamente, la conducenza.
3. Alla inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di euro tremila a favore della cassa delle ammende.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in Roma 10 luglio 2025
Il Consigliere estensore
Il Presidente