Continuazione tra reati: quando uno stile di vita criminale non è un disegno unitario
Nel diritto penale, il concetto di continuazione tra reati rappresenta un’ancora di salvezza per chi ha commesso più violazioni della legge, consentendo di unificarle sotto un’unica pena più favorevole. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Num. 11526/2024) ribadisce con forza i confini di questo istituto, distinguendo nettamente tra un ‘medesimo disegno criminoso’ e un semplice ‘stile di vita’ dedito al crimine. L’analisi di questa decisione offre spunti fondamentali per comprendere i criteri rigorosi richiesti dalla giurisprudenza.
I Fatti del Caso
Il caso ha origine dal ricorso di un individuo contro un’ordinanza del Giudice dell’Esecuzione. Il ricorrente chiedeva che diverse condanne, pronunciate in procedimenti separati, venissero unificate sotto il vincolo della continuazione. I reati erano stati commessi in un arco temporale molto ampio (un primo gruppo dal 2015 al 2021 e un secondo dal 2014 al 2018), in contesti territoriali diversi e con modalità eterogenee.
Il giudice di primo grado aveva respinto l’istanza, ritenendo che mancassero gli elementi per considerare i vari crimini come parte di un’unica programmazione. Secondo il giudice, la diversità e la distanza temporale tra i fatti facevano emergere non un piano prestabilito, ma piuttosto uno stile di vita complessivamente orientato all’illegalità.
La Decisione sulla Continuazione tra Reati e i Criteri della Cassazione
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la linea del giudice precedente. I giudici supremi hanno sottolineato che gli argomenti del ricorrente erano ‘manifestamente infondati’ e in contrasto con i principi consolidati. Hanno richiamato una fondamentale sentenza delle Sezioni Unite (n. 28659/2017) che elenca i criteri necessari per il riconoscimento della continuazione, applicabili sia in fase di cognizione che di esecuzione.
Questi indicatori includono:
* Omogeneità delle violazioni e del bene giuridico protetto.
* Contiguità spazio-temporale tra i fatti.
* Modalità della condotta, causali e sistematicità.
* Abitudini di vita programmate.
Il punto cruciale, evidenziato dalla Corte, è la necessità di una prova che, al momento del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Non è sufficiente la semplice presenza di alcuni di questi indici se i reati successivi appaiono frutto di una determinazione estemporanea.
Stile di Vita vs. Disegno Unitario
La distinzione chiave operata dalla Corte è quella tra un disegno criminoso unitario e uno stile di vita. Un disegno unitario implica una deliberazione iniziale che abbraccia una serie di condotte future. Uno stile di vita criminale, invece, indica una propensione a delinquere che si manifesta in occasioni diverse e non collegate da un piano originario. Nel caso di specie, la distanza di anni, la diversità dei luoghi e delle modalità operative hanno fatto propendere i giudici per la seconda ipotesi, escludendo la possibilità di una ‘preventiva ideazione unitaria’.
Le motivazioni
Le motivazioni della Corte si fondano su due pilastri. In primo luogo, la logicità e coerenza della decisione del Giudice dell’Esecuzione. Quest’ultimo ha correttamente applicato i principi giurisprudenziali, analizzando gli elementi concreti (tempo, luogo, modalità) e concludendo che non sussisteva l’unitarietà del programma criminoso. L’argomentazione del giudice di merito è stata definita ‘affatto illogica’.
In secondo luogo, la Corte ha ribadito la natura del proprio giudizio. Il ricorso, secondo i giudici, non mirava a denunciare una violazione di legge, ma a ottenere una ‘nuova valutazione in fatto’. Chiedeva, in sostanza, che la Cassazione riesaminasse le prove e giungesse a una conclusione diversa da quella del giudice precedente. Questo tipo di richiesta è inammissibile in sede di legittimità, dove il compito della Corte è verificare la corretta applicazione delle norme, non ricostruire i fatti. La decisione di rigetto è stata quindi una conseguenza diretta di questi principi.
Le conclusioni
L’ordinanza in esame conferma che per ottenere il beneficio della continuazione tra reati non basta aver commesso più crimini. È indispensabile dimostrare, attraverso indicatori concreti e specifici, che tutti i reati erano parte di un unico piano deliberato fin dall’inizio. In assenza di tale prova, la magistratura considererà i diversi episodi come manifestazioni separate di una generica tendenza a delinquere, ovvero uno ‘stile di vita’, con la conseguenza che le pene verranno cumulate materialmente e non unificate con il rito più favorevole della continuazione.
Quali sono i criteri per riconoscere la continuazione tra reati?
Per riconoscere la continuazione è necessaria una verifica approfondita di indicatori concreti come l’omogeneità delle violazioni, la contiguità di tempo e luogo, le modalità della condotta e, soprattutto, la prova che i reati successivi fossero stati programmati, almeno nelle linee essenziali, già al momento della commissione del primo.
Perché la Corte ha negato la continuazione in questo caso?
La Corte ha negato la continuazione perché i reati erano stati commessi in contesti territoriali differenti, con modalità diverse e a distanza di molti anni l’uno dall’altro. Questi elementi sono stati ritenuti tali da escludere un’unica ideazione preventiva, delineando piuttosto uno ‘stile di vita complessivo’ e non un singolo disegno criminoso.
La Corte di Cassazione può riesaminare i fatti di un processo?
No, la Corte di Cassazione è un giudice di legittimità e non di merito. Il suo compito è verificare la corretta applicazione della legge da parte dei giudici precedenti, non può effettuare una nuova valutazione dei fatti o delle prove. Un ricorso che chiede un riesame dei fatti viene dichiarato inammissibile.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 11526 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 11526 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 22/02/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 22/11/2023 del GIP TRIBUNALE di NAPOLI NORD
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che gli argomenti dedotti nel ricorso sono manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità in punto di individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (cfr. Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01: Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea), atteso che, con motivazione affatto illogica, il G.E. ha ritenuto insussistenti gli elementi per ritenere l’unitarietà della programmazione criminosa tra i fatti giudicati con i due gruppi di sentenze oggetto dell’istanza, ed ha osservato che i reati, lesivi di beni giuridici anche diversi, fossero stati commessi in contesti territo differenti, con modalità diverse e a distanza di diversi anni gli uni dagli altri (nel pr gruppo, dal 2015 al 2021; nel secondo gruppo dal 2014 alò 2018), elementi tali da precludere la possibilità di immaginare una preventiva ideazione unitaria, lasciando invece emergere uno stile di vita complessivo.
Osservato che le censure attengono tutte al merito e invocano, sostanzialmente, una nuova valutazione in fatto, non consentita in sede di legittimità.
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 22 febbraio 2024
Il Consigliere estensore