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Continuazione tra reati: no a istanze reiterate

Un soggetto condannato con venti sentenze diverse chiede il riconoscimento della continuazione tra reati. La Corte di Appello accoglie parzialmente la richiesta, ma dichiara inammissibile il resto perché l’istanza era una reiterazione di una precedente già respinta. La Cassazione conferma, chiarendo che l’esclusione della recidiva in una singola sentenza non costituisce un ‘nuovo elemento’ idoneo a superare la preclusione processuale e a consentire un nuovo esame della richiesta.

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Pubblicato il 22 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando un’istanza è inammissibile per reiterazione

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, è uno strumento fondamentale per garantire un trattamento sanzionatorio equo a chi commette più reati in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Ma cosa succede quando una richiesta per il suo riconoscimento viene respinta e poi ripresentata? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione fa luce sui limiti imposti dalla preclusione processuale, anche di fronte a circostanze apparentemente nuove.

I Fatti del Caso

Un individuo, condannato con venti diverse sentenze per reati commessi tra il 2015 e il 2019, presentava un’istanza al giudice dell’esecuzione chiedendo il riconoscimento del vincolo della continuazione tra tutti i fatti giudicati.

La Corte di Appello di Genova, in funzione di giudice dell’esecuzione, accoglieva solo parzialmente la richiesta, applicando la disciplina del reato continuato a tre specifiche sentenze. Per tutti gli altri reati, dichiarava l’istanza inammissibile. La ragione era netta: la richiesta era una mera reiterazione di una precedente domanda, già esaminata e rigettata dal Tribunale di La Spezia, basata sugli stessi elementi di fatto e di diritto.

Il Ricorso in Cassazione: la Recidiva come Elemento di Novità

Contro questa decisione, il condannato proponeva ricorso per Cassazione. La sua tesi si fondava su un elemento che, a suo dire, rappresentava una novità: in una delle sentenze definitive, era stata esclusa la recidiva contestata. Secondo la difesa, questa circostanza avrebbe modificato il quadro generale, permettendo una ‘riqualificazione del percorso criminoso’ e, di conseguenza, il superamento della preclusione processuale che aveva portato all’inammissibilità.

La Preclusione Processuale nella Fase Esecutiva e la Continuazione tra Reati

Il cuore della questione giuridica risiede nell’articolo 666, comma 2, del codice di procedura penale. Questa norma stabilisce una preclusione che impedisce di riproporre istanze già decise, a meno che non si fondino su elementi nuovi. L’obiettivo è garantire la stabilità e la certezza delle decisioni giudiziarie, evitando che i tribunali siano chiamati a pronunciarsi all’infinito sulle stesse questioni.

Nel caso specifico, la Corte di Appello aveva correttamente applicato questo principio, ritenendo che la nuova istanza non presentasse alcun elemento di novità rispetto a quella già rigettata in precedenza.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato, confermando la decisione della Corte di Appello. I giudici hanno chiarito in modo inequivocabile che l’esclusione della recidiva in una delle sentenze non costituisce un ‘nuovo elemento’ capace di superare la preclusione processuale.

La motivazione della Cassazione si basa su un consolidato orientamento giurisprudenziale, richiamando una pronuncia delle Sezioni Unite (n. 41151 del 2018). Il principio è che, per superare la preclusione, non è sufficiente una qualsiasi circostanza diversa, ma occorre un elemento nuovo che incida sulla sostanza della questione già decisa. L’esclusione della recidiva riguarda la valutazione della personalità del reo e la commisurazione della pena in una singola sentenza, ma non altera i presupposti di fatto e di diritto su cui si fonda la valutazione del ‘medesimo disegno criminoso’ necessario per la continuazione tra reati. In altre parole, non è un elemento che può magicamente collegare reati che un precedente giudice ha già ritenuto scollegati.

Le Conclusioni

L’ordinanza ribadisce un principio fondamentale della procedura penale in fase esecutiva: la stabilità delle decisioni non può essere messa in discussione da istanze meramente reiterative. Per ottenere un nuovo esame di una questione già decisa, è necessario presentare elementi concretamente nuovi e pertinenti, capaci di modificare il quadro probatorio o giuridico su cui si era basata la precedente decisione. Una circostanza marginale, come l’esclusione della recidiva in un singolo procedimento, non è sufficiente a riaprire i giochi, confermando la rigidità e la funzione di garanzia della preclusione processuale.

È possibile presentare una nuova istanza per la continuazione tra reati se una precedente è stata respinta?
No, a meno che non si presentino elementi di fatto o di diritto nuovi e diversi da quelli già esaminati. La semplice riproposizione della stessa domanda è inammissibile a causa della preclusione processuale.

L’esclusione della recidiva in una delle sentenze costituisce un ‘nuovo elemento’ per superare la preclusione?
Secondo l’ordinanza, no. La Corte di Cassazione ha stabilito che l’esclusione della recidiva in una singola sentenza non è un elemento sufficiente a modificare il quadro generale e a giustificare la riproposizione di un’istanza già rigettata.

Qual è il principio alla base della decisione di inammissibilità per un’istanza reiterativa?
Il principio è quello della preclusione processuale, sancito dall’art. 666, comma 2, del codice di procedura penale. Questo principio serve a garantire la stabilità delle decisioni giudiziarie e impedisce che le stesse questioni vengano riesaminate all’infinito in assenza di reali novità.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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