Continuazione tra Reati: Quando un Unico Disegno Criminoso Non Sussiste
L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta un concetto fondamentale nel diritto penale esecutivo. Esso consente di unificare, ai fini della pena, più reati commessi dalla stessa persona, a condizione che siano stati eseguiti in attuazione di un “medesimo disegno criminoso”. Ma quali sono i criteri per stabilire l’esistenza di questo disegno unitario? Un’ordinanza recente della Corte di Cassazione (n. 24668/2024) offre chiarimenti preziosi, negando il beneficio in un caso caratterizzato da reati eterogenei e motivazioni distinte.
I Fatti del Caso
Un soggetto condannato con tre sentenze definitive per reati distinti, tra cui un tentato omicidio, lesioni e un tentato furto in abitazione, commessi in un arco temporale di diversi anni e in luoghi differenti (Genova e provincia di Bergamo), aveva richiesto alla Corte d’Appello di Brescia, in qualità di giudice dell’esecuzione, di riconoscere il vincolo della continuazione. L’obiettivo era ottenere una rideterminazione della pena complessiva in senso più favorevole.
La Corte d’Appello aveva respinto l’istanza, sottolineando come la distanza geografica, la diversità dei soggetti concorrenti, la natura differente dei beni giuridici lesi (vita e incolumità da un lato, patrimonio dall’altro) e l’origine diversa dei reati contro la persona non permettessero di individuare una trama ideativa comune. Contro questa decisione, l’interessato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando una carenza di motivazione.
La Decisione della Corte e la nozione di continuazione tra reati
La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. Secondo gli Ermellini, la motivazione della Corte d’Appello, seppur sintetica, non era né carente né lacunosa. Al contrario, essa esponeva in modo chiaro e logico le ragioni del rigetto, identificando gli elementi ostativi al riconoscimento della continuazione tra reati.
Il punto centrale della pronuncia risiede nella valutazione del cosiddetto “medesimo disegno criminoso”. Questo non può essere presunto dalla semplice successione di reati commessi da una stessa persona, ma deve essere provato sulla base di indicatori concreti che dimostrino un’unica programmazione iniziale.
Le Motivazioni della Cassazione
La Corte ha avallato pienamente l’analisi del giudice dell’esecuzione, che aveva correttamente escluso un progetto unitario. Gli elementi decisivi sono stati:
1. Eterogeneità dei Reati: I crimini erano di natura molto diversa: uno contro il patrimonio (tentato furto) e due contro la persona (lesioni e tentato omicidio).
2. Distanza Spazio-Temporale: I fatti si erano verificati in anni e luoghi diversi, rendendo meno probabile una programmazione unitaria.
3. Divergenza delle Motivazioni: Questo è l’elemento chiave. La Cassazione ha sottolineato come i due reati contro la persona, sebbene commessi nella stessa città, avessero genesi completamente diverse. Uno era il frutto di un’azione ritorsiva premeditata in risposta a una precedente aggressione, mentre l’altro era nato come reazione estemporanea e occasionale a quello che era stato percepito come uno “sgarbo”.
Questa distinzione ha dimostrato l’assenza di una “medesima trama ideativa” che potesse legare tutti gli episodi delittuosi. La mancanza di un filo conduttore psicologico e programmatico ha reso impossibile applicare l’istituto della continuazione.
Conclusioni: Criteri per il Riconoscimento del Disegno Criminoso Unico
L’ordinanza in esame ribadisce un principio consolidato: per il riconoscimento della continuazione tra reati non è sufficiente che l’autore sia lo stesso. È necessario dimostrare che tutti i reati siano stati concepiti come parte di un unico piano deliberato a priori. La diversità dei contesti, dei beni giuridici offesi e, soprattutto, delle motivazioni occasionali e contingenti, sono fattori che pesano in senso contrario. Una motivazione giudiziale, anche se breve, è pienamente valida quando riesce a esplicitare con coerenza logica le ragioni per cui tali elementi impediscono di configurare un disegno criminoso unitario.
Quando si può applicare la continuazione tra reati?
Si applica quando più reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, ovvero quando sono stati programmati unitariamente prima dell’esecuzione del primo reato.
Quali elementi possono escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso?
Secondo la sentenza, elementi come la notevole distanza di tempo e di luogo tra i fatti, la diversità dei beni giuridici lesi (es. patrimonio e persona) e, in particolare, la differente e occasionale motivazione alla base dei singoli reati possono escludere la presenza di un’unica trama ideativa.
Una motivazione giudiziale breve è sempre considerata insufficiente?
No. La Corte di Cassazione ha chiarito che una motivazione, anche se sintetica (“stringata”), non è carente o lacunosa se espone in modo chiaro, logico e coerente il percorso giuridico che ha portato alla decisione.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 24668 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 24668 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: COGNOME NOME COGNOME
Data Udienza: 23/05/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da: NOME nato il 01/05/1985
avverso l’ordinanza del 10/01/2024 della CORTE APPELLO di BRESCIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
RITENUTO IN FATTO
La Corte di Appello di Brescia, quale giudice dell’esecuzione, con ordinanza in data 10 gennaio 2024 respingeva l’istanza ex art. 671 cod. proc. pen. nell’interesse di NOME volta al riconoscimento del vincolo della continuazione fra i fatti reato giudicati con le sentenze di condanna emesse dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova in data 15 ottobre 2015, dal Tribunale di Bergamo in data 20 settembre 2017 nonché dalla Corte di Appello di Genova il 28 maggio 2019.
La Corte territoriale rilevava come un reato fosse un tentato omicidio commesso in Genova il 22 marzo 2014, un altro reato fossero lesioni commesse il 23 gennaio 2012 ed infine il terzo reato un tentato furto in abitazione commesso in provincia di Bergamo il 22 marzo 2013; la distanza fra loro dei luoghi in cui furono commessi i fatti, la diversità dei soggetti concorrenti, la diversità dei beni giuridici lesi ed anche la diversa origine dei due reati contro la persona commessi a Genova non consentivano di rinvenire la medesima trama ideativa quale ossatura dei fatti indicati.
Avverso tale ordinanza proponeva ricorso COGNOME tramite il difensore, lamentando la carenza di motivazione circa detto rigetto.
La decisione della Corte di Appello non sarebbe, secondo il ricorrente, sorretta da idonea e convincente motivazione, limitandosi a richiamare del tutto stringatamente qualche elemento, e non dando conto del percorso logico seguito per addivenire alla decisione di rigetto.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è inammissibile, in quanto fondato su motivi manifestamente infondati.
Se, infatti, la motivazione del rigetto è certamente stringata non per ciò stesso è carente o lacunosa : la Corte territoriale dà perfettamente conto del processo logico-giuridico che ha condotto alla decisione di rigetto, anche e soprattutto in ordine ai reati contro l’incolumità individuale commessi in Genova, che non sono ritenuti riconducibili al medesimo disegno criminoso in quanto uno è frutto di un’azione ritorsiva rispetto ad una precedente aggressione, mentre l’altro è nato come reazione a fronte di un fatto assolutamente occasionale, ritenuto uno sgarbo.
La motivazione è congrua, esauriente e priva di aporie logiche.
All’inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e – alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186 della Corte costituzionale e in mancanza di
elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità» – della somma di euro 3000
a favore della cassa delle ammende, tenuto conto dell’evidente inammissibilità dei motivi di impugnazione.
PQM
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di euro tremila in favore della cassa delle
ammende.
Così deciso il 23/05/2024