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Continuazione tra reati: no a disegno criminoso generico

Un individuo, condannato per diversi furti, ha richiesto l’applicazione della continuazione tra reati per ottenere una pena più mite. La Corte di Cassazione ha respinto il ricorso, confermando che la diversità nelle modalità esecutive, nei complici e nei luoghi dei crimini non dimostra un unico disegno criminoso, ma una generica tendenza a delinquere. La sentenza sottolinea l’importanza di prove concrete per l’esistenza di un piano unitario fin dall’inizio.

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Pubblicato il 10 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: la Cassazione Nega il Disegno Criminoso Unico

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema sanzionatorio, consentendo di mitigare la pena quando più crimini sono frutto di un unico piano. Tuttavia, la sua applicazione richiede una prova rigorosa di tale piano. Con l’ordinanza n. 31208/2024, la Corte di Cassazione ha ribadito i confini di questo istituto, chiarendo che una generica propensione a delinquere non può essere confusa con un disegno criminoso unitario.

I Fatti del Processo: La Richiesta di Riconoscimento della Continuazione

Il caso trae origine dal ricorso di un individuo condannato con tre sentenze separate per una serie di furti commessi in un arco temporale di circa otto mesi. L’imputato, tramite il suo difensore, aveva richiesto alla Corte d’Appello di Catanzaro di applicare l’istituto della continuazione, sostenendo che tutti i reati fossero stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.

La Corte d’Appello aveva respinto la richiesta, rilevando elementi che contraddicevano l’ipotesi di un piano unitario. In particolare, i giudici di merito avevano evidenziato la diversità delle modalità esecutive dei furti, la partecipazione di complici differenti e una precedente condanna per un reato simile, concludendo che si trattasse piuttosto di una generica tendenza a commettere reati di quel tipo.

La Decisione della Cassazione sulla continuazione tra reati

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato e confermando pienamente la valutazione della Corte d’Appello. I giudici hanno sottolineato la corretta distinzione operata tra una programmazione unitaria e originaria dei reati e la mera concomitanza temporale degli stessi.

Distinzione tra Disegno Criminoso e Propensione a Delinquere

Il punto centrale della decisione è la netta separazione tra il concetto di “disegno criminoso” e quello di “generica spinta delinquenziale” o “scelta di vita”. Per aversi continuazione, è necessario che l’agente abbia programmato, almeno nelle sue linee essenziali, la sequenza dei delitti fin dal principio. Nel caso di specie, la Corte ha osservato che i reati erano eterogenei: si passava da un furto di monete da slot-machine in un bar, commesso con un complice, a furti organizzati con altri complici in diverse località, fino a un furto all’interno di una chiesa. Questa varietà è stata considerata un chiaro sintomo di una propensione alla devianza che si concretizza in base alle occasioni, e non di un piano prestabilito.

L’Irrilevanza di Precedenti Decisioni per la continuazione tra reati

Il ricorrente aveva anche fatto leva sul fatto che, in un altro procedimento, la continuazione era stata riconosciuta ad alcuni coimputati. La Cassazione ha ritenuto tale argomento irrilevante. In primo luogo, perché tale riconoscimento non era stato esteso al ricorrente stesso in quel procedimento. In secondo luogo, perché quella decisione era scaturita da una richiesta di concordato, con una motivazione succinta che non permetteva di valutare approfonditamente la sussistenza degli indici sintomatici della continuazione anche per l’odierno imputato.

Le motivazioni

Le motivazioni della Corte si fondano sulla mancanza di prove concrete a sostegno della tesi del disegno criminoso unitario. L’ordinanza impugnata è stata giudicata completa, logica e priva di contraddizioni. La diversità delle causali, delle modalità esecutive e dei complici sono stati ritenuti elementi solidi per escludere l’unicità del piano criminale. L’omogeneità limitata al solo titolo di reato (furto) non è sufficiente. Inoltre, il ricorrente non ha fornito alcun elemento dimostrativo ulteriore, limitandosi a formulare motivi generici e a indicare una contiguità territoriale definita dalla Corte “palesemente insussistente”. La decisione, quindi, riafferma un principio consolidato: per la continuazione tra reati non basta commettere crimini simili in un dato periodo, ma serve la prova di un progetto deliberato in anticipo.

Le conclusioni

In conclusione, la Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di una somma di 3.000,00 euro alla Cassa delle ammende. Questa ordinanza serve come un importante monito: l’istituto della continuazione non è un automatismo applicabile a chiunque commetta reati in serie. È una valutazione che richiede un’analisi fattuale rigorosa, volta a verificare se dietro la pluralità di illeciti si celi una singola e premeditata volontà criminale, distinguendola da una semplice e occasionale inclinazione al delitto.

Quando si può applicare l’istituto della continuazione tra reati?
Secondo l’ordinanza, la continuazione tra reati si applica solo quando vi è la prova di un unico e unitario disegno criminoso, programmato fin dall’inizio almeno nelle sue linee essenziali. La semplice vicinanza temporale o la somiglianza nel tipo di reato commesso non sono, da sole, sufficienti.

La diversità di complici e modalità esecutive esclude il disegno criminoso unico?
Sì, la decisione chiarisce che una significativa diversità nei complici coinvolti e nelle modalità di esecuzione dei vari reati costituisce un forte indizio contro l’esistenza di un unico disegno criminoso, suggerendo piuttosto che si tratti di episodi criminali separati, nati da circostanze diverse.

Una generica propensione a commettere furti è sufficiente per la continuazione tra reati?
No. La Corte ha stabilito nettamente che una generica propensione a delinquere o una “scelta di vita” criminale, che porta a commettere reati quando se ne presenta l’opportunità, è un concetto distinto da un disegno criminoso specifico e pre-programmato. Solo quest’ultimo giustifica l’applicazione della continuazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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