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Continuazione tra reati: l’interesse del condannato

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava il riconoscimento della continuazione tra reati a un condannato. La Corte ha stabilito che l’imputato ha sempre un interesse concreto a tale riconoscimento, indipendentemente dal fatto che la pena finale possa diminuire o meno. Il giudice dell’esecuzione, di fronte a reati già unificati con altre sentenze, ha l’obbligo di ‘scorporare’ i reati e ricalcolare una nuova pena complessiva, applicando correttamente il vincolo della continuazione.

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Pubblicato il 25 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: la Cassazione ribadisce l’interesse del condannato

Il principio della continuazione tra reati, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un cardine del nostro sistema sanzionatorio, volto a mitigare il rigore del cumulo materiale delle pene per chi commette più violazioni di legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto un importante chiarimento sull’interesse del condannato a ottenere tale riconoscimento in fase esecutiva, anche quando non vi sia la certezza di una diminuzione della pena complessiva.

I fatti del caso

Un condannato, attraverso il suo difensore, presentava un’istanza al Giudice per le indagini preliminari (in funzione di giudice dell’esecuzione) per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati oggetto di due distinte sentenze di condanna, entrambe divenute irrevocabili. Il giudice, tuttavia, respingeva la richiesta dichiarando “non luogo a provvedere”.

La decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il giudice di primo grado motivava la sua decisione sostenendo che i reati contenuti nelle due sentenze erano già stati unificati, in continuazione, con altre sentenze precedenti. A suo avviso, una nuova rideterminazione della pena non avrebbe portato alcun beneficio al condannato, poiché i fatti oggetto delle sentenze in esame erano stati considerati meno gravi rispetto a quelli con cui erano già stati unificati. In sostanza, il giudice riteneva inutile procedere, mancando un vantaggio concreto per il richiedente.

Le motivazioni della Cassazione sulla continuazione tra reati

La Suprema Corte, investita del ricorso, ha accolto le doglianze del condannato, annullando con rinvio l’ordinanza impugnata. Le motivazioni della decisione sono nette e si fondano su una corretta interpretazione delle norme e dei principi che governano la materia.

L’errore fattuale e l’interesse concreto del condannato

In primo luogo, la Cassazione ha rilevato un errore di fatto nell’analisi del giudice dell’esecuzione. Contrariamente a quanto affermato, i reati delle due sentenze non erano stati unificati tra loro, ma ciascuno con sentenze diverse e in contesti separati. Questo errore viziava l’intero ragionamento del provvedimento.

Ma il punto cruciale della sentenza risiede nell’affermazione di un principio fondamentale: il condannato ha sempre un interesse concreto al riconoscimento della continuazione tra reati, indipendentemente dall’esito finale del calcolo della pena. L’affermazione secondo cui non sarebbe possibile una diminuzione della pena è stata definita errata. La Corte ha chiarito che l’interesse del condannato non si esaurisce nella mera speranza di uno sconto di pena, ma risiede nel diritto a vedere correttamente applicato un istituto che attiene alla giusta e complessiva valutazione della sua condotta criminale.

L’obbligo di ‘scorporo’ e la corretta applicazione dell’art. 81 c.p.

La Corte ha inoltre specificato che, di fronte a reati già unificati, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto procedere allo ‘scorporo’ dei reati dalle precedenti continuazioni. Solo dopo questa operazione preliminare, avrebbe potuto valutare il nuovo e più ampio vincolo della continuazione e, infine, rideterminare una nuova pena unica e complessiva. Questo procedimento garantisce che la valutazione del medesimo disegno criminoso sia completa e coerente.

Infine, la Cassazione ha ricordato che l’articolo 81, terzo comma, del codice penale pone come unico limite il fatto che la pena applicata in continuazione non può essere superiore a quella che risulterebbe dal cumulo materiale delle singole pene. Questo non esclude, ma anzi presuppone, il diritto al riconoscimento del vincolo stesso.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio di garanzia fondamentale nel diritto penale esecutivo. Il diritto al riconoscimento della continuazione tra reati è un diritto sostanziale del condannato, il cui esercizio non può essere precluso da una valutazione prognostica e sommaria sull’eventuale beneficio in termini di riduzione della pena. Il giudice dell’esecuzione ha il dovere di esaminare nel merito l’istanza, compiendo tutte le operazioni necessarie, come lo scorporo, per giungere a una corretta e unitaria valutazione della vicenda criminale del condannato, nel pieno rispetto dei principi di diritto.

Un condannato ha sempre interesse a chiedere la continuazione tra reati?
Sì, secondo la Corte di Cassazione, il condannato ha sempre un interesse concreto al riconoscimento della continuazione, indipendentemente dal fatto che, a seguito della nuova determinazione, la pena possa effettivamente diminuire.

Cosa deve fare il giudice se i reati da unificare sono già stati oggetto di una precedente continuazione con altri fatti?
Il giudice deve procedere all’operazione di ‘scorporo’, ovvero deve separare i reati dalle sentenze con cui erano stati precedentemente unificati, per poi procedere a una nuova valutazione e alla determinazione di una nuova pena unica complessiva che tenga conto di tutti i fatti legati dal medesimo disegno criminoso.

Il riconoscimento della continuazione garantisce sempre una pena inferiore a quella che si sconterebbe sommando le singole condanne?
Sì, il principio della continuazione serve proprio a evitare il cumulo materiale delle pene. La legge (art. 81, terzo comma, c.p.) stabilisce che la pena complessiva applicata non può mai essere superiore a quella che si otterrebbe sommando le pene previste per i singoli reati.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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