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Continuazione tra reati: la pena secondo la Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che contestava l’entità dell’aumento di pena stabilito in sede di esecuzione per la continuazione tra reati. Secondo la Corte, la decisione del giudice di merito è incensurabile se adeguatamente motivata, come nel caso di specie, dove si è tenuto conto del ruolo di spicco dell’imputato in un’organizzazione criminale e della gravità dei fatti commessi.

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Pubblicato il 11 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando la decisione del giudice sulla pena è definitiva?

La continuazione tra reati è un istituto fondamentale del nostro diritto penale che consente di mitigare il trattamento sanzionatorio per chi commette più illeciti in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Ma quali sono i limiti del sindacato della Corte di Cassazione sulla quantificazione della pena decisa dal giudice? Un’ordinanza recente offre chiarimenti cruciali, confermando che una motivazione logica e ben ancorata ai fatti rende la decisione insindacabile.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un soggetto condannato per gravi reati. L’interessato, dopo aver subito due condanne definitive – una a 14 anni di reclusione e un’altra a 10 anni – aveva chiesto al Giudice dell’esecuzione di applicare l’istituto della continuazione tra reati, unificando le pene sotto un unico vincolo.

Il Giudice dell’esecuzione accoglieva l’istanza, individuando la pena più grave (14 anni) come pena base e determinando un aumento di soli 3 anni per il secondo reato (il ‘reato satellite’), nonostante la condanna originaria per quest’ultimo fosse di 10 anni. Insoddisfatto dell’entità dell’aumento, il condannato proponeva ricorso in Cassazione, lamentando un’errata quantificazione.

La Disciplina della continuazione tra reati in fase esecutiva

Il ricorso si basava sulla presunta inadeguatezza della motivazione con cui il giudice aveva stabilito l’aumento di pena. L’articolo 671 del codice di procedura penale permette, infatti, di riconsiderare le pene inflitte con sentenze diverse quando si accerta che i reati sono stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. In tal caso, il giudice determina la pena complessiva partendo da quella per la violazione più grave e applicando un aumento per i reati satellite.

La difesa del ricorrente sosteneva che l’aumento di 3 anni non fosse stato giustificato in modo adeguato, censurando di fatto l’entità della pena inflitta.

Le Motivazioni della Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo manifestamente infondato. I giudici hanno sottolineato due punti centrali:

1. Corretta Applicazione della Legge: Il Giudice dell’esecuzione ha correttamente seguito la procedura, utilizzando come pena base quella più grave, inflitta con la prima sentenza, pari a 14 anni di reclusione, in conformità con l’articolo 187 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale.

2. Motivazione Specifica e Adeguata: La Corte ha ritenuto che la motivazione fornita per l’aumento di 3 anni fosse tutt’altro che carente. Il giudice di merito aveva, infatti, giustificato la sua decisione sulla base di elementi concreti, quali:
* Il ruolo assunto dal condannato nelle vicende delittuose.
* La sua ‘caratura associativa’ e la gravità delle condotte illecite.
* L’ampia estensione dell’operatività dell’organizzazione criminale di appartenenza.
* Il ruolo specifico rivestito dal soggetto all’interno del sodalizio.

La Cassazione ha chiarito che le doglianze del ricorrente miravano a una ‘rivalutazione del merito’, ovvero a un nuovo giudizio sui fatti, che è un’attività preclusa in sede di legittimità. Il compito della Suprema Corte non è quello di stabilire se la pena sia ‘giusta’, ma di verificare se il giudice che l’ha determinata abbia seguito la legge e fornito una motivazione logica e non contraddittoria.

Conclusioni

Questa ordinanza riafferma un principio consolidato: la quantificazione della pena, inclusa quella relativa all’aumento per la continuazione tra reati, rientra nel potere discrezionale del giudice di merito. Tale potere non è sindacabile in Cassazione se la decisione è supportata da una motivazione che dia conto, in modo logico e coerente, dei criteri utilizzati per la sua determinazione. Il ricorso è ammissibile solo in caso di manifesta illogicità o violazione di legge, non per una semplice divergenza sulla valutazione dell’entità della sanzione.

Come si calcola la pena in caso di continuazione tra reati?
Si individua il reato più grave e si parte dalla pena prevista per esso (pena base). Successivamente, si applica un aumento per ciascuno degli altri reati (reati satellite), rispettando i limiti massimi previsti dalla legge.

Perché la Corte di Cassazione ha respinto il ricorso?
La Corte ha ritenuto il ricorso inammissibile perché le censure del ricorrente miravano a una nuova valutazione nel merito della congruità della pena, un’attività non consentita in sede di legittimità. Il giudice di merito aveva, infatti, fornito una motivazione logica e adeguata per la sua decisione.

Quali elementi sono stati considerati per determinare l’aumento di pena?
Il giudice ha considerato elementi specifici come il ruolo del condannato all’interno di un’organizzazione criminale, la sua caratura associativa, la gravità delle condotte e l’estensione dell’operatività del sodalizio criminale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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