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Continuazione tra reati: la motivazione del giudice

La Corte di Cassazione ha annullato un’ordinanza che negava il riconoscimento della continuazione tra reati. Il giudice di merito si era limitato a definire le condotte come espressione di ‘professionalità nel delitto’, senza un’analisi approfondita degli indici rivelatori del medesimo disegno criminoso. La Suprema Corte ha ribadito che la motivazione deve essere concreta e non meramente assertiva, rinviando per un nuovo esame.

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Pubblicato il 10 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: non basta una motivazione generica per negarla

La valutazione sulla continuazione tra reati richiede un’analisi rigorosa e non può essere liquidata con formule generiche. Con la sentenza n. 13124 del 2024, la Corte di Cassazione ha riaffermato un principio fondamentale: il giudice deve fornire una motivazione completa e concreta, non meramente assertiva, quando decide su un’istanza di riconoscimento del medesimo disegno criminoso, anche in fase di esecuzione della pena.

I Fatti del Caso

Il caso ha origine dal ricorso di un condannato avverso l’ordinanza del G.i.p. del Tribunale di Pistoia. Il ricorrente aveva chiesto il riconoscimento della continuazione tra reati per cui era stato giudicato separatamente. Il giudice dell’esecuzione rigettava l’istanza, sostenendo che, nonostante la parziale identità delle norme violate e la contiguità temporale delle condotte, i reati fossero espressione di mera “professionalità nel delitto” e non riconducibili a un’unitaria e anticipata deliberazione criminosa.

Il condannato, tramite il suo difensore, ha impugnato tale decisione dinanzi alla Corte di Cassazione, lamentando una violazione di legge e un vizio di motivazione. Secondo la difesa, la valutazione del giudice era meramente apparente, poiché non aveva tenuto adeguatamente conto di indicatori significativi come la vicinanza temporale, l’omogeneità delle violazioni e del contesto territoriale, elementi che avrebbero dovuto condurre al riconoscimento del disegno criminoso unico.

La Decisione della Cassazione e la valutazione della continuazione tra reati

La Suprema Corte ha accolto il ricorso, annullando l’ordinanza e rinviando il caso per un nuovo giudizio. Il punto centrale della decisione risiede nella critica alla qualità della motivazione fornita dal giudice di merito. La Cassazione ha ricordato che il riconoscimento della continuazione tra reati necessita di una verifica approfondita e rigorosa, volta ad accertare se, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.

Le Motivazioni della Corte

La Corte ha sottolineato che indicatori come l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale e la natura del bene protetto sono elementi rivelatori importanti, ma non sufficienti di per sé a provare l’unicità del disegno criminoso. Essi possono indicare una scelta delinquenziale, ma non necessariamente un’unica deliberazione iniziale. Il compito del giudice di merito è proprio quello di apprezzare la serie complessiva di elementi rilevanti per stabilire se esista un tale disegno unitario.

Nel caso specifico, secondo la Cassazione, il G.i.p. non ha svolto questa analisi in modo adeguato. La sua motivazione è stata definita “assertiva” e carente, in quanto non ha preso in specifica considerazione i fatti oggetto delle condanne né ha esaminato la pluralità degli indicatori. Affermare che i reati erano “avulsi da qualunque programmazione criminosa unitaria ed espressivi di stile di vita deviante” costituisce una valutazione generica che non soddisfa l’obbligo giudiziale di motivazione. Una tale affermazione non spiega perché gli elementi portati dalla difesa non fossero idonei a dimostrare l’esistenza di un’unica programmazione.

Le Conclusioni e le Implicazioni Pratiche

La sentenza ribadisce che la decisione del giudice di merito sulla continuazione tra reati è insindacabile in sede di legittimità solo se sorretta da una motivazione completa, congrua, priva di vizi logici e di travisamenti dei fatti. Una motivazione apparente o assertiva, che si limita a usare formule di stile senza calarsi nella concretezza del caso, viola l’obbligo di motivazione e giustifica l’annullamento della decisione. Di conseguenza, il caso è stato rinviato al Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Pistoia, in persona di un diverso magistrato, per un rinnovato e più approfondito esame.

Cosa deve verificare il giudice per riconoscere la continuazione tra reati?
Il giudice deve compiere una verifica approfondita e rigorosa per accertare se, al momento della commissione del primo reato, i reati successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, all’interno di un’unica deliberazione criminosa.

La vicinanza nel tempo e la somiglianza dei reati sono sufficienti per ottenere la continuazione?
No, da sole non sono sufficienti. L’omogeneità delle violazioni e la contiguità spazio-temporale sono solo alcuni degli indici che il giudice deve valutare. Sebbene indicativi di una scelta criminale, non provano automaticamente che i reati siano frutto di un’unica deliberazione iniziale.

Perché la Corte di Cassazione ha annullato la decisione del giudice di Pistoia?
La Corte ha annullato l’ordinanza perché la motivazione era meramente assertiva e apparente. Il giudice si era limitato ad affermare che i reati erano espressione di uno ‘stile di vita deviante’, senza analizzare in modo specifico e concreto i fatti e la pluralità degli indicatori (come la vicinanza temporale e la tipologia di reati), non adempiendo così al suo obbligo di fornire una motivazione completa e logica.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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