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Continuazione tra reati: la distanza temporale basta?

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che chiedeva l’applicazione della continuazione tra reati commessi a notevole distanza di tempo. La Suprema Corte ha stabilito che un ampio iato temporale tra i delitti è un forte indizio contro l’esistenza di un unico disegno criminoso, elemento essenziale per il riconoscimento della continuazione. Inoltre, ha chiarito che eventuali contraddizioni con altre decisioni giudiziarie non costituiscono un valido motivo di ricorso.

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Pubblicato il 15 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: la distanza temporale basta?

La disciplina della continuazione tra reati rappresenta uno strumento fondamentale del diritto penale per garantire un trattamento sanzionatorio equo a chi commette più violazioni della legge in esecuzione di un medesimo piano. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Con la sentenza n. 19734/2024, la Corte di Cassazione ribadisce che la notevole distanza temporale tra i reati è un elemento che, pur non essendo l’unico, depone fortemente contro l’esistenza di un unico disegno criminoso. Analizziamo insieme questa importante pronuncia.

I Fatti del Caso

Un soggetto, condannato con diverse sentenze per reati legati agli stupefacenti e lesioni personali, commessi in un arco temporale che va dal 2010 al 2015, presentava un’istanza al giudice dell’esecuzione. La richiesta era di applicare la disciplina della continuazione tra reati, unificando le pene sotto un unico provvedimento, sulla base dell’assunto che tutti i crimini fossero parte di un unico progetto delinquenziale.

La Corte d’appello di Brescia, in funzione di giudice dell’esecuzione, rigettava l’istanza. La motivazione principale si fondava sulla considerevole distanza di tempo intercorsa tra i vari episodi criminosi, ritenuta incompatibile con una programmazione unitaria. L’interessato proponeva quindi ricorso per Cassazione, lamentando sia un’errata valutazione della distanza temporale, sia una presunta contraddizione con un precedente provvedimento che, in una situazione simile, aveva invece riconosciuto la continuazione.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla continuazione tra reati

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso infondato, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire i criteri consolidati dalla giurisprudenza per il riconoscimento della continuazione, sottolineando la necessità di una verifica approfondita che vada oltre la mera natura dei reati commessi.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha articolato il proprio ragionamento su tre punti cardine, essenziali per comprendere i limiti e le condizioni di applicabilità dell’istituto.

### L’Importanza della Programmazione Unitaria

Il fulcro per il riconoscimento della continuazione tra reati è la prova di un “unico disegno criminoso”. Questo non significa semplicemente commettere più volte lo stesso tipo di reato. È necessario dimostrare, attraverso indicatori concreti, che al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Tali indicatori includono:

* L’omogeneità delle violazioni e del bene protetto.
* La contiguità spazio-temporale.
* Le modalità della condotta.
* La sistematicità e le abitudini di vita del reo.

La sola presenza di alcuni di questi indici non è sufficiente se i reati appaiono come frutto di decisioni estemporanee e non di un piano prestabilito.

### Il Ruolo Decisivo della Distanza Temporale

La Cassazione ha evidenziato come la distanza temporale sia un parametro fondamentale. Nel caso di specie, il lasso di tempo tra il primo reato (2010) e gli ultimi (2014-2015) è stato considerato talmente ampio da rendere illogica l’ipotesi di una programmazione unitaria. Un piano criminoso che si estende per così tanti anni perde la sua caratteristica di unicità e appare più come una successione di decisioni autonome maturate nel tempo.

### I Limiti del Vizio di Contraddittorietà e Travisamento

Il ricorrente aveva tentato di far valere una contraddizione tra la decisione impugnata e un’altra precedente, che gli era stata più favorevole. La Corte ha respinto questo argomento, specificando che il vizio di contraddittorietà, per essere rilevante in Cassazione, deve essere interno alla motivazione del provvedimento impugnato, e non può emergere dal confronto con decisioni diverse. Allo stesso modo, l’errore sulla precisa quantificazione della distanza temporale (un anno e quattro mesi invece di due) è stato ritenuto un travisamento insufficiente a smontare l’impianto logico della decisione, che restava valido anche con il dato corretto.

Conclusioni

La sentenza in esame rafforza un principio cruciale: per ottenere il beneficio della continuazione tra reati, specialmente in sede esecutiva, è necessario fornire prove concrete di un’unica programmazione originaria. La notevole distanza temporale tra i fatti costituisce un ostacolo quasi insormontabile, in quanto fa presumere che i reati siano il risultato di determinazioni criminose distinte e successive. La decisione della Cassazione serve da monito: la ripetizione di condotte illecite nel tempo non implica automaticamente l’esistenza di un unico disegno criminoso, la cui prova resta un onere stringente per chi invoca l’applicazione di questo istituto di favore.

La semplice distanza di tempo tra due reati esclude la continuazione?
No, non la esclude automaticamente, ma è uno degli indici più importanti per valutare l’esistenza di un unico disegno criminoso. Una notevole distanza temporale, come nel caso esaminato, rende molto difficile dimostrare una programmazione unitaria e depone nel senso della non illogicità della decisione che nega la continuazione.

È possibile contestare una decisione perché è in contraddizione con un’altra sentenza relativa allo stesso soggetto?
No. La Corte di Cassazione chiarisce che il vizio di contraddittorietà, per essere un valido motivo di ricorso, deve essere interno alla decisione impugnata. Non può derivare dal confronto con una diversa valutazione effettuata in un altro provvedimento, anche se riguardante lo stesso individuo.

Cosa serve per dimostrare l’esistenza di un “unico disegno criminoso” in sede esecutiva?
È necessaria una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni, la contiguità spazio-temporale, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini di vita. Fondamentalmente, bisogna provare che al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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