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Continuazione tra reati: la distanza temporale

La Cassazione ha rigettato un ricorso per l’applicazione della continuazione tra reati a due rapine commesse a un anno di distanza. La Corte ha ritenuto che l’ampio lasso temporale, unito a contesti diversi, indebolisce la presunzione di un’unica programmazione criminosa, rendendo la decisione del giudice dell’esecuzione non illogica.

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Pubblicato il 17 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: L’Importanza della Distanza Temporale

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un elemento cruciale del diritto penale, offrendo un trattamento sanzionatorio più mite a chi commette più violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta di diversi indicatori. Una recente sentenza della Corte di Cassazione (Sentenza n. 20254/2024) ha ribadito l’importanza del fattore temporale nel decidere se concedere o meno questo beneficio, specialmente in fase esecutiva.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un condannato che aveva chiesto al Tribunale di Parma, in funzione di giudice dell’esecuzione, di applicare la disciplina della continuazione a due sentenze di condanna per rapina.
Il primo reato era stato commesso il 27 luglio 2019, mentre il secondo il 12 agosto 2020, quindi a distanza di circa un anno.
Il giudice dell’esecuzione aveva respinto l’istanza, sostenendo che non vi fossero elementi sufficienti a dimostrare una programmazione unitaria dei due delitti. In particolare, il giudice aveva evidenziato la notevole distanza temporale, le diverse modalità esecutive e i differenti contesti in cui le rapine erano state perpetrate.

La Decisione della Corte di Cassazione

Il condannato ha proposto ricorso in Cassazione, sostenendo che il giudice di merito non avesse considerato adeguatamente alcuni elementi a favore della tesi del medesimo disegno criminoso. Tra questi, la contiguità territoriale (entrambi i fatti a Parma, uno su un treno e l’altro in zona stazione), la somiglianza delle modalità (reati commessi con più persone e con un simile approccio alla vittima) e un breve periodo di detenzione sofferto tra i due episodi.
La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso, ritenendolo infondato. Secondo gli Ermellini, la decisione del giudice dell’esecuzione era immune da vizi logici e giuridici, poiché basata su una corretta valutazione degli elementi a disposizione.

Le motivazioni e il ruolo della continuazione tra reati

La Corte ha chiarito che, per riconoscere la continuazione tra reati, è necessaria una verifica approfondita di una serie di indicatori concreti. Non basta la semplice somiglianza dei reati. Gli elementi da valutare includono:

* Omogeneità delle violazioni e del bene giuridico protetto.
* Contiguità spazio-temporale.
* Modalità della condotta e causali dei singoli reati.
* Abitudini di vita del reo.

Il punto cruciale, tuttavia, è dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Il fattore temporale assume qui un ruolo preponderante: più ampio è l’intervallo tra le violazioni, più improbabile diventa l’esistenza di una programmazione unitaria e predeterminata.

Nel caso specifico, la distanza di oltre un anno tra le due rapine è stata considerata un indice significativo contro l’esistenza di un unico disegno criminoso. La Corte ha inoltre precisato che il breve periodo di detenzione intercorso tra i due fatti non solo non annulla la distanza temporale, ma può anzi rappresentare una “controspinta psicologica a delinquere”, interrompendo l’eventuale unicità del proposito criminale.
Infine, le somiglianze nelle modalità esecutive (presenza di correi, approccio alla vittima) sono state giudicate generiche e comuni a molti reati predatori, e quindi non sufficienti a provare un’unica volizione.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio consolidato: la continuazione tra reati non può essere presunta sulla base di pochi elementi generici. La valutazione del giudice deve essere rigorosa e basata su indicatori concreti che, nel loro complesso, dimostrino in modo univoco l’esistenza di un disegno criminoso originario. La distanza temporale tra i fatti resta uno degli indici più importanti e, se consistente, rende l’onere della prova a carico del condannato particolarmente gravoso. La decisione sottolinea come l’autonomia delle singole scelte criminali, specialmente se separate da un lungo periodo, prevalga sulla richiesta di un trattamento sanzionatorio unitario.

Una grande distanza di tempo tra due reati esclude automaticamente la continuazione?
No, non la esclude automaticamente, ma rende molto più improbabile il riconoscimento di un’unica programmazione criminosa. Un ampio lasso di tempo è un forte indicatore contrario alla sussistenza della continuazione tra reati, e richiede la presenza di altri elementi significativi per essere superato.

Un periodo di detenzione tra due reati impedisce di riconoscere la continuazione?
Non necessariamente. La detenzione di per sé non è un elemento che esclude l’identità del disegno criminoso. Tuttavia, la giurisprudenza ritiene che l’arresto o la condanna possano comportare una “controspinta psicologica a delinquere”, interrompendo l’unicità del proposito criminale iniziale.

La somiglianza nelle modalità di esecuzione è sufficiente per provare la continuazione tra reati?
No, da sola non è sufficiente. Se le somiglianze sono generiche e comuni a una vasta categoria di reati (come la presenza di complici in una rapina), non sono considerate un indicatore decisivo. È necessario che emergano elementi specifici che colleghino in modo univoco i diversi episodi a un’unica programmazione iniziale.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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