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Continuazione tra reati: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione si è pronunciata sulla richiesta di applicazione della continuazione tra reati per due gruppi di illeciti: rapine e violazioni di un ordine di espulsione. La Corte ha negato la continuazione per le rapine, poiché mancava la prova di un unico disegno criminoso programmato fin dall’origine. Ha invece annullato con rinvio la decisione sulle violazioni dell’ordine di espulsione, ritenendo la motivazione del giudice precedente insufficiente.

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Pubblicato il 6 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando un Piano Unico Fa la Differenza

L’istituto della continuazione tra reati, disciplinato dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un concetto fondamentale nel diritto penale, capace di incidere significativamente sulla determinazione della pena. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui presupposti necessari per la sua applicazione, distinguendo tra una mera somiglianza di condotte e l’esistenza di un autentico e unitario disegno criminoso. Il caso analizzato riguarda un individuo condannato per due distinti gruppi di reati, per i quali aveva richiesto il riconoscimento del vincolo della continuazione.

I Fatti di Causa

Il ricorrente si era rivolto al giudice dell’esecuzione per ottenere l’applicazione della disciplina della continuazione tra reati su due sentenze definitive. Il primo gruppo di reati includeva due episodi di lesioni personali, sequestro di persona e rapina, commessi a distanza di circa un mese l’uno dall’altro in località diverse. Il secondo gruppo, invece, riguardava due violazioni del provvedimento di espulsione dal territorio nazionale.

Il Tribunale, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato la richiesta, negando la sussistenza di un unico disegno criminoso per entrambi i gruppi di illeciti. Contro questa decisione, l’interessato ha proposto ricorso in Cassazione, lamentando un’erronea applicazione della legge e un vizio di motivazione.

I Requisiti per la Continuazione tra Reati

Perché si possa applicare la continuazione tra reati, non basta che più illeciti siano stati commessi dalla stessa persona, anche a breve distanza di tempo e con modalità simili. La giurisprudenza richiede la prova di un elemento fondamentale: l’unicità del disegno criminoso. Questo significa che l’autore deve aver programmato fin dall’origine, nelle sue linee essenziali, la commissione di una serie di reati come parte di un unico piano per raggiungere un determinato fine.

Gli elementi sintomatici, come la vicinanza temporale, l’omogeneità delle condotte e del bene giuridico leso, sono indizi importanti ma non sufficienti. È necessario dimostrare che i singoli reati non sono frutto di determinazioni estemporanee e indipendenti, ma tappe di un programma delinquenziale unitario e preordinato.

Le Motivazioni della Corte di Cassazione

La Suprema Corte ha analizzato separatamente i due gruppi di reati, giungendo a conclusioni diverse.

Per quanto riguarda il primo gruppo (rapine, sequestri e lesioni), i giudici hanno ritenuto infondato il ricorso. Dalle sentenze di merito era emerso un dettaglio cruciale: la vittima del secondo episodio era stata individuata solo in un momento successivo alla commissione del primo. Questo fatto, secondo la Corte, interrompe l’unicità del programma criminoso. Dimostra che il secondo reato non era stato pianificato fin dall’inizio, ma era nato da una determinazione autonoma e successiva. Pertanto, la decisione del giudice dell’esecuzione di negare la continuazione tra reati è stata considerata corretta, poiché mancava la prova della deliberazione iniziale e unitaria del piano.

Per il secondo gruppo di reati (violazioni dell’ordine di espulsione), la Cassazione ha invece accolto il ricorso. Il rigetto da parte del giudice dell’esecuzione era stato motivato in modo ‘apodittico’, ovvero senza un’adeguata argomentazione a fronte degli elementi forniti dalla difesa. La Corte ha quindi annullato l’ordinanza su questo punto specifico, rinviando il caso al Tribunale per una nuova e più approfondita valutazione.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cardine in materia di continuazione tra reati: l’onere della prova dell’unicità del disegno criminoso grava su chi la richiede. La semplice somiglianza tra i crimini e la loro prossimità nel tempo sono solo indizi, che possono essere superati da prove di segno contrario, come la scelta di una nuova vittima non prevista nel piano originario. Al contempo, la decisione sottolinea l’obbligo per il giudice di motivare in modo esauriente e non apparente le proprie decisioni, soprattutto quando rigetta un’istanza basata su elementi specifici. La parziale anullamento con rinvio garantisce che il diritto di difesa sia pienamente tutelato attraverso un esame scrupoloso di tutte le argomentazioni proposte.

Quando si può parlare di ‘continuazione tra reati’?
Si parla di continuazione tra reati quando i singoli illeciti costituiscono parte integrante di un unico programma criminoso, deliberato fin dall’origine nelle sue linee essenziali per conseguire un determinato fine. È necessaria la prova di questa pianificazione unitaria e iniziale.

La somiglianza nel modo di commettere i reati e la vicinanza di tempo sono sufficienti per riconoscere la continuazione?
No. Secondo la sentenza, elementi come la vicinanza cronologica, la causale, le condizioni di tempo e luogo, le modalità della condotta e la tipologia dei reati sono solo indizi. Non sono sufficienti se emerge che i reati sono frutto di distinte e successive determinazioni causali, come nel caso in cui la vittima di un secondo reato viene individuata solo dopo aver commesso il primo.

Perché la Cassazione ha annullato la decisione solo per una parte dei reati?
La Corte ha ritenuto corretta e ben motivata la decisione di negare la continuazione per il primo gruppo di reati (rapine), poiché mancava la prova di un piano unitario. Ha invece annullato la decisione relativa al secondo gruppo (violazioni dell’ordine di espulsione) perché la motivazione del giudice precedente è stata giudicata ‘apodittica’, cioè insufficiente e non argomentata, rendendo necessaria una nuova valutazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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