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Continuazione tra reati: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati di falso e bancarotta, risalenti al 2008, e un’associazione a delinquere finalizzata allo spaccio, attiva dal 2014. La Corte ha escluso il vincolo della continuazione tra reati data l’eterogeneità dei delitti e l’assenza di un’originaria programmazione unitaria.

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Pubblicato il 6 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando la distanza temporale e la diversità dei delitti escludono un unico disegno criminoso

Il concetto di continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema penale, consentendo di mitigare la pena per chi commette più crimini in esecuzione di un medesimo disegno. Tuttavia, quali sono i limiti di questo istituto? Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 10504/2024) offre chiarimenti cruciali, stabilendo che la notevole distanza temporale e la profonda diversità (eterogeneità) tra i reati possono essere indici sufficienti per escludere la sussistenza di un’unica programmazione criminosa.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un ricorso presentato da un soggetto condannato per più reati. Inizialmente, il ricorrente aveva subito diverse condanne per reati quali falso e bancarotta, commessi nell’ormai lontano 2008. Successivamente, veniva condannato per un reato ben più grave: associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, attiva tra il 2014 e il 2015, con singoli episodi di spaccio fino al 2017.

In sede di esecuzione, l’interessato chiedeva al Giudice di riconoscere il vincolo della continuazione tra i primi reati (falso e bancarotta) e quelli successivi legati alla droga, sostenendo che facessero tutti parte di un unico progetto di vita delinquenziale. La sua richiesta veniva però respinta, portando la questione fino in Cassazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando la decisione del giudice dell’esecuzione. I giudici hanno ritenuto che gli argomenti del ricorrente fossero generici e non dimostrassero in alcun modo la presenza di un’originaria e unitaria programmazione che collegasse reati così diversi e distanti nel tempo. In sostanza, non è sufficiente affermare che i crimini successivi siano una ‘conseguenza’ dei primi; è necessario provare che fossero stati programmati sin dall’inizio.

Le Motivazioni: Perché è stata negata la continuazione tra reati

Le motivazioni della Corte si fondano su due elementi chiave che meritano un’analisi approfondita.

Eterogeneità dei Reati e Distanza Temporale

Il primo punto sottolineato dalla Corte è l’estrema diversità tra le fattispecie criminose. Da un lato, reati come il falso e la bancarotta; dall’altro, un’associazione per delinquere finalizzata allo spaccio. Questa marcata eterogeneità, unita a un lasso temporale significativo (circa sei anni tra il primo reato e l’inizio dell’attività associativa), rende difficile ipotizzare un’unica matrice delittuosa. Sebbene la distanza temporale non sia di per sé un ostacolo insormontabile, essa assume un peso decisivo quando si accompagna a reati di natura completamente differente.

L’Assenza di una Programmazione Unitaria Originaria

Il secondo e più importante argomento riguarda l’assenza di una ‘volizione unitaria’. Per applicare la continuazione tra reati, è indispensabile che l’agente abbia concepito, sin dal primo reato, un piano che includesse anche i successivi. Nel caso di specie, la Corte ha osservato che non vi era alcuna prova che il reato di falso del 2008 fosse stato commesso in funzione della futura attività di spaccio avviata nel 2014. Piuttosto, i reati successivi apparivano come il frutto di nuove e autonome ‘contingenti scelte di vita’, non di un programma preordinato. Mancava, quindi, quel filo conduttore psicologico che deve legare tutte le condotte criminose.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame ribadisce un principio fondamentale: la continuazione non può essere invocata per collegare episodi criminali eterogenei e temporalmente distanti, a meno che non si fornisca una prova rigorosa di un’originaria programmazione unitaria. Questa decisione serve da monito: non basta una generica ‘carriera criminale’ per ottenere i benefici del reato continuato. È necessario dimostrare che ogni singolo delitto fosse una tessera di un mosaico pianificato fin dall’inizio. In assenza di tale prova, i reati restano distinti e le pene vengono cumulate materialmente, con conseguenze ben più severe per il condannato.

Quando può essere riconosciuta la continuazione tra reati diversi e distanti nel tempo?
Può essere riconosciuta solo se si dimostra rigorosamente che tutti i reati, anche se diversi e commessi a distanza di tempo, erano parte di un unico piano criminoso concepito sin dall’inizio. La semplice successione cronologica o una generica inclinazione a delinquere non sono sufficienti.

Cosa intende la Corte per ‘eterogeneità dei reati’?
Per eterogeneità si intende la profonda diversità nella natura e nel tipo dei reati commessi. Nell’ordinanza in esame, ad esempio, si contrappongono reati come il falso e la bancarotta a un’associazione per il traffico di droga, considerati espressione di logiche criminali differenti.

È sufficiente che i reati successivi siano una ‘conseguenza’ di quelli precedenti per avere la continuazione?
No, non è sufficiente. La Corte chiarisce che i reati successivi devono essere stati programmati fin dall’origine come parte dello stesso disegno. Se invece sono il risultato di nuove scelte di vita o di opportunità contingenti, anche se influenzate da eventi passati, il vincolo della continuazione non può essere applicato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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