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Continuazione tra reati: la decisione della Cassazione

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 5234/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imputato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. La Corte ha ribadito che, per applicare tale istituto, non sono sufficienti la somiglianza dei reati e la loro vicinanza nel tempo e nello spazio. È indispensabile dimostrare l’esistenza di un unico e originario disegno criminoso, ovvero un piano deliberato prima della commissione del primo reato. In assenza di tale prova, i crimini vengono considerati espressione di una generica tendenza a delinquere e non di un progetto unitario.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando Più Crimini non Fanno un Piano Unico

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del diritto penale, offrendo una valutazione unitaria di più azioni criminali che, pur essendo distinte, nascono da un medesimo progetto. Questo comporta un trattamento sanzionatorio più favorevole rispetto alla somma aritmetica delle pene per ciascun reato. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (n. 5234/2024) torna a fare luce sui criteri necessari per il suo riconoscimento, sottolineando che non basta la semplice somiglianza tra i crimini per dimostrare un piano unitario.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte ha origine dal ricorso di un soggetto contro un’ordinanza del Tribunale di Latina. Quest’ultimo, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva respinto la richiesta di applicare la disciplina della continuazione a una serie di reati giudicati separatamente. Il ricorrente sosteneva che il giudice di merito avesse errato, non considerando elementi a suo dire evidenti come la vicinanza geografica dei luoghi in cui i reati erano stati commessi e l’omogeneità delle violazioni di legge. Tali fattori, secondo la difesa, avrebbero dovuto condurre al riconoscimento di un unico disegno criminoso.

La Decisione della Corte di Cassazione e il concetto di continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile. La decisione si fonda non solo su un vizio procedurale – il ricorso è stato ritenuto generico e non adeguatamente confrontato con le specifiche motivazioni del provvedimento impugnato – ma anche su una solida riaffermazione dei principi cardine che regolano la continuazione tra reati.

I giudici hanno chiarito che il riconoscimento di questo istituto, anche in fase esecutiva, richiede una verifica approfondita e rigorosa. Non è sufficiente che i reati siano simili o commessi a breve distanza di tempo e di luogo. È necessario accertare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.

Le Motivazioni della Corte

Il cuore della motivazione risiede nel concetto di “unica deliberazione di fondo”. La Corte ha ribadito, citando consolidata giurisprudenza, che l’omogeneità delle violazioni e la contiguità spazio-temporale sono solo “indici rivelatori”. Questi elementi possono suggerire una certa scelta delinquenziale, ma da soli non sono sufficienti a provare che tutti gli illeciti discendano da un unico piano iniziale.

La ratio della norma, infatti, è legata a due aspetti:

1. Profilo intellettivo: la previsione iniziale della commissione di più azioni criminose per raggiungere determinate finalità.
2. Profilo volitivo: l’elaborazione di un programma di massima che, pur richiedendo specifiche decisioni attuative successive, è unitario nella sua concezione.

Nel caso specifico, il Tribunale di Latina aveva correttamente applicato tali principi. Aveva infatti evidenziato che i reati, sebbene della stessa indole, erano stati commessi a notevole distanza di tempo (oltre un anno), con modalità e in luoghi differenti. Queste circostanze, unite all’assenza di allegazioni specifiche da parte della difesa, portavano a concludere che i fatti fossero il risultato di causali occasionali e di una generica tendenza a delinquere, piuttosto che l’attuazione di un piano prestabilito.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche

L’ordinanza in esame rafforza un principio fondamentale: per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati, non basta appellarsi a somiglianze superficiali. È onere della difesa fornire elementi concreti che dimostrino l’esistenza di un progetto criminoso unitario, concepito prima dell’esecuzione del primo reato. Una generica inclinazione a commettere illeciti non equivale a un “disegno criminoso”. Questa pronuncia serve da monito, chiarendo che le corti richiedono una prova rigorosa dell’unicità del piano, al di là di semplici coincidenze o similitudini tra i vari episodi criminali.

Quando si può chiedere il riconoscimento della continuazione tra reati?
Si può chiedere sia nel processo di cognizione (cioè durante il processo principale) sia, come in questo caso, in sede di esecuzione, ovvero dopo che le sentenze sono diventate definitive, ai sensi dell’art. 671 del codice di procedura penale.

La vicinanza di tempo e luogo tra più reati è sufficiente per ottenere la continuazione?
No. Secondo la Corte, la vicinanza temporale e spaziale, così come l’omogeneità dei reati, sono solo indici rivelatori. Da soli, non sono sufficienti a dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso, che è il requisito fondamentale.

Cosa si intende per ‘unico disegno criminoso’ secondo la Cassazione?
Per ‘unico disegno criminoso’ si intende un programma unitario, deliberato prima della commissione del primo reato, che preveda la realizzazione di più illeciti. Deve trattarsi di una decisione iniziale che lega tutte le azioni successive, non di una semplice tendenza a delinquere che si manifesta in occasioni separate e occasionali.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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