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Continuazione tra reati: la decisione della Cassazione

La Cassazione dichiara inammissibile il ricorso di un imprenditore. Negata la continuazione tra reati di bancarotta fraudolenta commessi a distanza di cinque anni, data l’assenza di un unico disegno criminoso. Confermata anche la revoca di un precedente indulto a seguito della nuova condanna.

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Pubblicato il 12 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando il Tempo e le Modalità Contano

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta un pilastro del nostro sistema penale, offrendo un trattamento sanzionatorio più mite a chi commette diverse violazioni della legge penale in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre un’importante lezione su quali elementi concreti possano escludere questo beneficio, anche quando i reati sono della stessa natura.

I Fatti del Caso

Il caso esaminato dalla Suprema Corte riguarda un individuo condannato per due distinti episodi di bancarotta fraudolenta documentale. Il primo reato era stato commesso nel 2005, mentre il secondo risaliva al 2010. In passato, l’uomo aveva beneficiato di un indulto, un provvedimento di clemenza che aveva estinto parte della pena.

La Corte d’Appello, tuttavia, aveva revocato l’indulto a causa della seconda condanna, che prevedeva una pena di due anni di reclusione. Inoltre, i giudici di merito avevano respinto la richiesta di applicare la continuazione tra reati, ritenendo insussistente un’unica programmazione criminale. La difesa dell’imputato ha quindi presentato ricorso in Cassazione, contestando sia la revoca dell’indulto sia il diniego della continuazione.

La Decisione della Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, confermando in toto la decisione della Corte d’Appello. I giudici hanno ritenuto le argomentazioni della difesa manifestamente infondate sotto entrambi i profili.

In primo luogo, la revoca dell’indulto è stata giudicata corretta. La legge prevede infatti che il beneficio sia revocato di diritto se, entro un determinato periodo, il beneficiario commette un delitto non colposo per il quale riporti una condanna a una pena detentiva non inferiore a due anni. Poiché la seconda condanna era esattamente di due anni, la revoca era un atto dovuto.

In secondo luogo, e questo è il punto centrale della pronuncia, la Corte ha validato l’analisi della Corte d’Appello che escludeva la sussistenza di un unico disegno criminoso, presupposto essenziale per la continuazione tra reati.

Le Motivazioni: Oltre l’Omogeneità dei Reati

Le motivazioni della Cassazione sono chiare e si basano su un’analisi approfondita degli elementi fattuali. I giudici hanno spiegato che per riconoscere la continuazione tra reati non è sufficiente che i delitti siano omogenei, cioè dello stesso tipo. È necessaria una verifica approfondita di indicatori concreti che dimostrino una programmazione unitaria fin dall’inizio.

Nel caso specifico, diversi elementi ostacolavano tale riconoscimento:

* La distanza temporale: Cinque anni separavano i due episodi di bancarotta, un lasso di tempo considerato troppo lungo per sostenere una programmazione unitaria.
* La diversità dei luoghi: I reati erano stati commessi in luoghi distanti tra loro.
* Le modalità esecutive: Le modalità di commissione dei reati erano diverse. Nel primo caso, l’imputato agiva come amministratore di fatto della società fallita; nel secondo, era un soggetto esterno alla compagine societaria, coinvolto su scelta di altri complici.
* L’assenza di programmazione: La Corte ha ritenuto incredibile che l’imputato, nel commettere il primo reato nel 2005, avesse già pianificato, almeno nelle linee essenziali, il secondo reato del 2010, che dipendeva da circostanze e scelte altrui non prevedibili.

La Suprema Corte ha ribadito il principio, già sancito dalle Sezioni Unite, secondo cui il riconoscimento della continuazione richiede una rigorosa verifica della contiguità spazio-temporale, delle modalità della condotta e della prova che, al momento del primo reato, i successivi fossero già stati programmati e non fossero frutto di una determinazione estemporanea.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza un importante principio: l’applicazione dell’istituto della continuazione tra reati non può basarsi su mere presunzioni o sulla semplice somiglianza dei crimini commessi. È indispensabile un’analisi concreta e dettagliata che provi l’esistenza di un’unica volontà criminosa che abbracci tutti gli episodi delittuosi. La distanza temporale, la differenza di contesto, di ruolo e di complici sono indicatori potenti che possono portare a escludere il beneficio, anche di fronte a reati formalmente identici. Per gli operatori del diritto, ciò significa che la richiesta di applicazione della continuazione deve essere supportata da prove solide e circostanziate che vadano oltre la natura dei reati contestati.

Quando viene revocato l’indulto?
L’indulto viene revocato di diritto se, nel termine stabilito dalla legge, il beneficiario commette un altro delitto non colposo per cui riporta una condanna a una pena detentiva non inferiore a due anni.

Quali elementi escludono la continuazione tra reati?
Elementi come una rilevante distanza temporale tra le condotte (nel caso di specie, cinque anni), la diversità dei luoghi di consumazione, la diversità dei complici e delle modalità esecutive possono escludere l’esistenza di un unico disegno criminoso e, di conseguenza, la continuazione tra reati.

La semplice somiglianza tra due reati è sufficiente per riconoscere la continuazione?
No, la semplice omogeneità dei reati (cioè il fatto che siano dello stesso tipo) non è sufficiente. È necessaria una verifica approfondita di concreti indicatori che dimostrino che i reati successivi erano stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, già al momento della commissione del primo.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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