Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 9286 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 9286 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 31/01/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME, nato a Gela il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 11/07/2023 del GIP TRIBUNALE CATANIA
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME, che ha chiesto l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Con ordinanza del 17 aprile 2023 il Tribunale di Catania, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha parzialmente respinto l’istanza di NOME COGNOME di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati oggetto di sentenze di condanna emesse nei suoi confronti.
In particolare, l’istanza è stata accolta con riferimento alla esistenza della continuazione tra il gruppo di reati di cui agli articoli 575 cod. pen., commessi nel 1990 e nel 1991, giudicati dalle seguenti sentenze:
Sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta del 25 febbraio 2009, irrevocabile il 19 gennaio 2010;
Sentenza della Corte di assise d’appello di Catania del 18 maggio 2015, irrevocabile il 17 settembre 2015,
Sentenza della Corte di assise di appello di Catania del 14 aprile 2015, irrevocabile il 29 settembre 2015.
L’istanza, invece, è stata respinta con riferimento all’esistenza della continuazione tra i reati oggetto delle sentenze sopraindicate ed i reati oggetto delle seguenti sentenze (già uniti in continuazione tra loro a seguito di separato provvedimento):
Sentenza del 17 dicembre 1997 della Corte d’appello di Caltanissetta, irrevocabile il 2 febbraio 1998, per i reati di cui agii artt. 416-bis e 629 cod. pen. commessi negli anni 1991 e 1992;
Sentenza del 9 ottobre 2003 della Corte d’appello di Caltanissetta, irrevocabile il 8 giugno 2004, per il reato di cui all’art. 416-bis commesso negli anni 1999 e 2000;
Sentenza del 5 maggio 2005 della Corte d’appello di Caltanissetta, irrevocabile il 4 ottobre 2005, per i reati di cui agli artt. 416-bis cod. pen., 73 e 7 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, e per la violazione di misura di prevenzione, commessi negli anni 2000 e 2001.
In particolare, nella parte in cui ha respinto l’istanza, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto non vi fossero elementi che potessero deporre per la programmazione unitaria dei reati del primo gruppo con quelli del secondo gruppo, evidenziando in particolare che gli stessi erano stati commessi anche a distan2:a di circa dieci anni di tempo; inoltre, mentre gli omicidi del primo gruppo si inserivano in un contesto criminale che all’epoca vedeva contrapposti due sodalizi di stampo mafioso, RAGIONE_SOCIALE e COGNOME, i fatti di cui alle sentenze del secondo gruppo erano strumentali al rafforzamento del gruppo criminale mediante la gestione delle estorsioni sul territorio nisseno in modo monopolistico.
Per quanto riguarda, in particolare, il reato di cui all’articolo 416-bis cod. pen., oggetto della sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta del 17 dicembre 1997, la circostanza che la contestazione associativa copra arche il periodo di commissione degli omicidi nel primo gruppo non è dirimente, estendendosi il periodo di commissione del reato fino al 1997 e non essendo emerso alcun indice che manifesti l’anticipata programmazione degli omicidi al momento dell’affiliazione.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con unico motivo, in cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione in quanto nel ragionamento del giudice dell’esecuzione vi è un passaggio contraddittorio nella parte in cui riconosce che la contestazione associativa di cui alla sentenza della Corte d’appello di Caltanissetta del 17 dicembre 1997 copre anche il periodo degli omicidi, ma ritiene, per negare il
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beneficio, di valorizzare il dies ad quem della condotta associativa; inoltre, il condannato non poteva non prevedere fin dal suo ingresso nell’associazione la chiamata alla commissione di omicidi di mafia.
Con requisitoria scritta il AVV_NOTAIO Generale, AVV_NOTAIO, ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
4. Il ricorso è infondato.
Il ricorso sostiene che, per decidere sull’istanza di riconoscimento del beneficio, il giudice dell’esecuzione avrebbe dovuto valutare il giorno in cui inizia la condotta associativa di cui il ricorrente è stato giudicato responsabile, e non quello in cui cessa la stessa.
L’argomento in sé è corretto, però, pur eliminato questo passaggio dalla motivazione della ordinanza impugnata, il percorso logico della decisione resta comunque corretto, atteso che, per sostenere l’esistenza della continuazione, non è sufficiente limitarsi a dedurre che i reati oggetto dell’istanza sono stati commessi nello stesso periodo, ma occorre anche allegare elementi indicativi dell’esistenza di una volizione unitaria alla base di essi.
Sotto tale profilo, il ricorso assume che al momento di ingresso nell’associazione il ricorrente non poteva non rappresentarsi la circostanza che sarebbe stato chiamato a commettere omicidi, ma si tratta di argomento non idoneo a disarticolare la motivazione dell’ordinanza impugnata, in quanto non coerente con la giurisprudenza di legittimità sul rapporto, agli effetti di cui all’art 81 cod. pen., tra reato associativo ed eventuali reati-fine (Sez. 1, Sentenza n. 23818 del 22/06/2020, COGNOME, Rv. 279430: È ipotizzabile la continuazione tra il reato di partecipazione ad associazione mafiosa e i reati fine, a condizione che il giudice verifichi puntualmente che questi ultimi siano stati programmati al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio. In motivazione, la Corte ha aggiunto che, ove si ritenesse sufficiente la programmazione dei reati fine al momento della costituzione del sodalizio, si finirebbe per configurare una sorta di automatismo nel riconoscimento della continuazione e del conseguente beneficio sanzionatorio, in quanto tutti i reati commessi in ambito associativo dovrebbero ritenersi in continuazione con la fattispecie di cui all’art. 416-bis cod. pen.; nello stesso senso Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013, Corigliano, Rv. 257253).
Va anche aggiunto che l’ordinanza impugnata ha motivato in modo specifico sulla estemporaneità dei reati oggetto delle tre condanne per omicidio di cui è stato ritenuto responsabile il ricorrente, che si inserivano in una guerra di mafia
insorta in quel particolare periodo storico tra due diverse organizzazioni criminali, e questo punto dell’ordinanza non è adeguatamente attaccato in ricorso.
In definitiva, nel caso in esame, il ricorso non ha, pertanto, soddisfatto l’onere di allegazione in capo all’istante (Sez. 1, Sentenza n. 35806 del 20/04/2016, COGNOME: Rv. 267580) degli elementi idonei a far ritenere che già al momento di commissione del primo reato vi fosse stata nell’imputato la rappresentazione non genericamente di reati ulteriori della tipologia di quelli solitamente commessi dalle organizzazioni criminali, ma “nelle linee essenziali” (cfr. Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, Gargiulo, Rv. 270074) proprio dei reati che poi il ricorrente ha realizzato.
Il ricorso è, pertanto, infondato.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso il 31 gennaio 2024
Il consigliere estensore
Il presidente