Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 31738 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 31738 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 20/06/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a NAPOLI il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 08/03/2024 della CORTE ASSISE APPELLO di NAPOLI
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME;
RITENUTO IN FATTO E CONSIDERATO IN DIRITTO
Con l’ordinanza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Napoli – nella veste di Giudice dell’esecuzione – ha rigettato la richiesta presentata nell’interesse di NOME COGNOME, volta alla unificazione sotto il vincolo della continuazione delle condanne a questi inflitte, mediante le sentenze emesse: dalla Corte di assise di appello di Napoli il 05/06/2020, passata in giudicato il 16/10/2020 (per i reati di cui agli artt. 416-bis, 319, 321, 479 cod. pen., commessi in Napoli, rispettivamente, da giugno 2000 a marzo 2015 e nei mesi di aprile e maggio 2010), a mezzo della quale è stata inflitta una condanna alla pena di anni dodici e mesi quattro di reclusione; – dalla Corte di appello di Napoli il 27/03/2015, passata in giudicato il 25/10/2016 (per due episodi di estorsione con aggravante mafiosa, rispettivamente collocati, sotto il profilo temporale, dal 2008 al 2012 e nei mesi di luglio e agosto 2012), a mezzo della quale è stata inflitta una condanna alla pena di anni otto, mesi dieci e giorni venti di reclusione.
Ricorre per cassazione NOME COGNOME, con due distinti atti di impugnazione, redatti dagli AVV_NOTAIO NOME AVV_NOTAIO e NOME COGNOME, deducendo vizio rilevante ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. b) e lett. e) cod. proc. pen., per violazione di legge, illogicità e contraddittorietà della motivazione, quanto al mancato riconoscimento della continuazione, tra i reati giudicati nelle due diverse sentenze. La difesa ha anche presentato memoria, a mezzo della quale ha ribadito le ragioni poste a fondamento dell’impugnazione, sottolineando la ammissibilità del ricorso.
Il ricorso va dichiarato inammissibile, a causa della manifesta infondatezza dei motivi addotti. Secondo le linee interpretative emerse nella presente sede di legittimità, in ordine al tema della compatibilità o meno della continuazione fra reato associativo e singoli reati fine non è, di regola, ravvisabile un vincolo rilevante ai fini della continuazione, posto che, normalmente, al momento della costituzione della associazione, i reati fine sono previsti solo in via del tutto generica, il che contraddice il presupposto della ideazione comune, posto che tale dato richiede una identificazione, sia pure di massima, dei singoli fatti da commettere. Tale vincolo, si è anche precisato, potrà ritenersi sussistente soltanto nella eccezionale ipotesi in cui risulti che, fin dalla costituzione del sodalizio criminoso o dalla adesione ad esso, un determinato soggetto – nell’ambito del generico programma criminoso – abbia già individuato uno o più specifici fatti di reato, da lui poi effettivamente commessi (tra le molte, si veda Sez. 1 n. 6530 del 18.12.1998, COGNOME, rv 212348). Analogamente, si è affermato che è ipotizzabile la sussistenza della continuazione tra reato associativo e reati fine, a condizione
che questi ultimi siano già stati programmati, al momento della costituzione della associazione (orientamento espresso anche da Sez. 1 n. 12639 del 28.3.2006, COGNOME, rv 234100e da Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013, Corigliano, rv. 257253). In ogni caso, è stato opportunamente sottolineato, anche nella giurisprudenza successiva, che il problema della configurabilità della continuazione tra reato associativo e reati-fine non va impostato in termini di compatibilità strutturale, in quanto nulla si oppone a che – sin dall’inizio, nel programma criminoso dell’associazione – si concepiscano uno o più reati-fine individuati nelle loro linee essenziali, di guisa che tra questi reati e quello associativo si possa ravvisare una identità di disegno criminoso. Ne consegue che tale problema si risolve in una quaestio facti, la cui soluzione è rimessa, di volta in volta, all’apprezzamento del giudice di merito (tra le altre, Sez. 5 n. 44606 del 18.10.2005, Traina, rv 232797).
Nel caso in esame, la quaestio facti di cui sopra è stata risolta – dal giudice del merito – con approfondita analisi dei singoli episodi delittuosi, della loro genesi prossima, delle loro modalità esecutive, con argomenti di fatto del tutto logici, la cui nuova discussione è pertanto preclusa in sede di legittimità.
A fronte di tali argomentazioni, la critica difensiva riproduce profili di doglianza già adeguatamente vagliati e disattesi nel provvedimento avversato, con motivazione congruente, logica e priva di contraddittorietà; il ricorso finisce, in tal modo, per introdurre una sostanziale richiesta di rivalutazione di tali elementi, operazione del tutto incompatibile con la conformazione normativa del giudizio di legittimità. Da ciò deriva la inammissibilità del proposto ricorso.
Alla luce delle considerazioni che precedono, l’impugnazione deve essere dichiarata inammissibile, con conseguente condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e – non ravvisandosi ipotesi di esonero – al versamento di una somma in favore della Cassa delle ammende, determinabile in tremila euro, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso, in data 20 giugno 2024
Il Consigliere estensore
OEPOSIT
Il Presidente