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Continuazione tra reati: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione ha rigettato il ricorso di un condannato che contestava la proporzionalità degli aumenti di pena applicati in sede di esecuzione per la continuazione tra reati. Il caso riguardava la rideterminazione di una pena complessiva per estorsione aggravata, bancarotta fraudolenta e associazione a delinquere. La Suprema Corte ha ritenuto logico e congruo il calcolo effettuato dalla Corte d’Appello, che aveva correttamente bilanciato la gravità dei singoli reati e le pene originariamente inflitte, anche in presenza di riti speciali.

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Pubblicato il 27 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: la Cassazione conferma la proporzionalità degli aumenti di pena

L’istituto della continuazione tra reati, disciplinato dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta un meccanismo fondamentale per garantire l’equità della sanzione penale quando un soggetto commette più violazioni della legge in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha offerto importanti chiarimenti sui criteri che il giudice dell’esecuzione deve seguire nel determinare la pena complessiva, sottolineando l’importanza della congruità e della logicità delle valutazioni.

I fatti del caso

Il caso in esame ha origine dal ricorso presentato da un individuo contro un’ordinanza della Corte d’Appello di Bologna. Quest’ultima, in qualità di giudice dell’esecuzione, aveva unificato tre diverse sentenze di condanna a suo carico, rideterminando la pena totale in nove anni e sei mesi di reclusione e 885 euro di multa. Le condanne riguardavano reati di notevole gravità, tra cui estorsione aggravata, plurime fattispecie di bancarotta fraudolenta e associazione a delinquere.

Il ricorrente, pur non contestando l’individuazione del reato più grave (l’estorsione, punita con cinque anni e sei mesi di reclusione e 575 euro di multa), lamentava la sproporzione degli aumenti di pena applicati per i cosiddetti reati satellite. A suo dire, gli incrementi non tenevano adeguatamente conto delle cornici edittali e della concreta gravità delle altre condotte.

Il calcolo della pena per la continuazione tra reati

La Corte d’Appello aveva operato in due fasi. Sulla pena base per l’estorsione aggravata, aveva applicato un primo aumento di due anni e sei mesi di reclusione e 150 euro di multa per due episodi di bancarotta fraudolenta. Successivamente, aveva aggiunto un ulteriore aumento di un anno e sei mesi e 160 euro di multa per un’ipotesi associativa e altre due bancarotte, per le quali l’imputato aveva beneficiato di una riduzione di pena grazie alla scelta del patteggiamento.

Il ricorrente sosteneva che questo calcolo fosse illogico e contraddittorio. La Suprema Corte, tuttavia, ha respinto tale tesi, validando pienamente l’operato del giudice dell’esecuzione.

Le motivazioni della Cassazione

La Cassazione ha chiarito che il giudice dell’esecuzione, nel determinare gli aumenti per la continuazione tra reati, gode di un potere discrezionale che deve essere esercitato entro i limiti della logicità e della congruità. In questo caso, la decisione impugnata è stata giudicata pienamente rispettosa di tali principi.

I giudici di legittimità hanno osservato come gli aumenti fissati fossero prossimi alla metà delle pene inflitte nei rispettivi giudizi di cognizione, dimostrando un’assoluta proporzionalità. La Corte ha inoltre sottolineato che la valutazione deve tenere conto di tutti gli elementi, inclusi gli effetti derivanti dalla scelta di riti speciali come il patteggiamento. Il fatto che per alcuni reati fosse stata ottenuta una riduzione di pena non impedisce al giudice dell’esecuzione di operare un aumento congruo in sede di unificazione.

Inoltre, è stato evidenziato come il ricorrente non avesse specificato in che modo le valutazioni della Corte d’Appello si ponessero in contraddizione con gli esiti dei giudizi di cognizione. La decisione impugnata, pertanto, è stata ritenuta una legittima espressione del potere discrezionale del giudice, esercitato senza superare i limiti normativamente stabiliti.

Conclusioni

La sentenza ribadisce un principio cardine in materia di esecuzione penale: la determinazione della pena in caso di continuazione tra reati non è un mero calcolo matematico, ma una valutazione complessa che deve bilanciare la gravità dei singoli fatti, le pene originariamente irrogate e le specificità dei singoli procedimenti. Il giudice dell’esecuzione ha il compito di pervenire a un risultato complessivo che sia esente da profili di manifesta illogicità e contraddittorietà, e la sua discrezionalità, se correttamente esercitata, è insindacabile in sede di legittimità. La decisione della Cassazione, rigettando il ricorso, ha confermato la correttezza di un approccio che valorizza la proporzionalità e la coerenza logica nel definire la sanzione finale.

Come si calcola la pena in caso di continuazione tra reati?
Si parte dalla pena stabilita per la violazione più grave e si applicano degli aumenti per ciascuno degli altri reati. Questi aumenti devono essere proporzionati e logici, tenendo conto della gravità dei reati e delle pene originariamente previste.

Qual è il ruolo del giudice dell’esecuzione nell’applicare la continuazione?
Il giudice dell’esecuzione ha il compito di unificare le pene inflitte con sentenze diverse quando riconosce l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. Esercita un potere discrezionale per determinare gli aumenti di pena, assicurando che il risultato finale sia equo e non manifestamente illogico.

La scelta di un rito speciale, come il patteggiamento, influenza il calcolo della continuazione?
Sì, il giudice dell’esecuzione tiene conto di tutti gli elementi dei precedenti giudizi, comprese le eventuali riduzioni di pena ottenute tramite riti speciali. Questo contribuisce a una valutazione complessiva che mira alla proporzionalità della pena finale unificata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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