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Continuazione tra reati: la Cassazione decide

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza 11530/2024, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un imprenditore che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati fallimentari commessi a quasi dieci anni di distanza. La Corte ha confermato la decisione del giudice di merito, sottolineando che la notevole distanza temporale e i diversi contesti escludono l’esistenza di un unico disegno criminoso, elemento essenziale per applicare l’istituto della continuazione tra reati.

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Pubblicato il 7 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

La Continuazione tra Reati Fallimentari: Quando il Tempo Divide i Piani

L’istituto della continuazione tra reati rappresenta una colonna portante del nostro sistema penale, permettendo di unificare sotto un’unica pena più violazioni commesse in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una valutazione attenta di specifici indicatori. Con la recente ordinanza n. 11530/2024, la Corte di Cassazione è tornata a fare chiarezza sui limiti di questo istituto, in particolare quando i reati, seppur omogenei, sono separati da un lungo intervallo temporale.

I Fatti del Caso

Un imprenditore, già condannato con due distinte sentenze, si è rivolto al Giudice dell’esecuzione per chiedere il riconoscimento della continuazione. Le condanne riguardavano:

1. Bancarotta fraudolenta in relazione al fallimento di due società, avvenuto nel 2008.
2. Bancarotta semplice documentale relativa al fallimento di un’altra società, avvenuto nel giugno 2017.

L’imprenditore sosteneva che, nonostante la diversità delle società e il tempo trascorso, i fatti fossero legati da un unico programma criminoso.

La Decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il Giudice dell’esecuzione aveva respinto la richiesta. La sua motivazione si basava su due elementi chiave: la notevole distanza temporale tra i fatti (quasi un decennio) e il differente contesto in cui erano maturati. Questi fattori, secondo il giudice, rendevano impossibile ipotizzare un’ideazione unitaria e preventiva di tutti gli illeciti.

Il Ricorso in Cassazione e l’Applicazione della Continuazione tra Reati

L’imprenditore ha impugnato l’ordinanza in Cassazione, ritenendo illogica la motivazione del giudice. La Suprema Corte, tuttavia, ha dichiarato il ricorso inammissibile, cogliendo l’occasione per ribadire i principi consolidati in materia.

La Corte ha ricordato che il riconoscimento della continuazione, anche in fase esecutiva, necessita di una verifica approfondita di una serie di indicatori concreti. Non basta la semplice omogeneità dei reati commessi (in questo caso, tutti reati fallimentari).

Le Motivazioni della Cassazione

Il cuore della decisione della Cassazione risiede nella riaffermazione dei criteri per la continuazione tra reati e nei limiti del proprio sindacato. I giudici hanno spiegato che l’accertamento di un disegno criminoso unitario è un’indagine di fatto, rimessa all’apprezzamento del giudice di merito. La Corte di Cassazione può intervenire solo se tale apprezzamento è viziato da illogicità manifesta o da travisamento dei fatti, cosa che in questo caso non è avvenuta.

La Corte ha citato un importante precedente delle Sezioni Unite (sent. Gargiulo, n. 28659/2017), secondo cui per aversi continuazione è necessario che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Una semplice omogeneità delle condotte o la sistematicità di un certo stile di vita non sono sufficienti se i reati successivi appaiono frutto di una determinazione estemporanea.

Nel caso specifico, la distanza temporale di quasi dieci anni e i diversi contesti societari sono stati ritenuti dal giudice di merito elementi sufficienti per escludere una programmazione unitaria. La motivazione è stata considerata adeguata, congrua e priva di vizi logici, rendendo così il ricorso inammissibile.

Conclusioni

L’ordinanza in esame offre un importante spunto di riflessione: la continuazione tra reati non è un meccanismo automatico applicabile a tutti i casi di reati della stessa indole. La sussistenza di un “medesimo disegno criminoso” deve essere provata attraverso indicatori concreti, tra cui la contiguità temporale gioca un ruolo fondamentale. Un lungo lasso di tempo tra un reato e l’altro può essere un forte indizio dell’assenza di un piano unitario iniziale, legittimando il diniego del beneficio. Questa decisione conferma la linea rigorosa della giurisprudenza, che affida al giudice di merito il compito di sondare la reale volontà dell’agente, senza che la Cassazione possa sostituire la propria valutazione a quella, se logicamente argomentata.

Perché è stata negata la continuazione tra i reati in questo caso?
La richiesta è stata negata a causa della notevole distanza temporale (quasi un decennio) e dei differenti contesti in cui i reati fallimentari sono stati commessi. Questi elementi sono stati ritenuti incompatibili con l’esistenza di un unico e preventivo disegno criminoso.

È sufficiente che i reati siano dello stesso tipo per ottenere il riconoscimento della continuazione?
No. La Corte di Cassazione ha ribadito che la sola omogeneità dei reati (in questo caso, tutti fallimentari) non è sufficiente. È necessaria una verifica approfondita di altri indicatori, tra cui la contiguità spazio-temporale e, soprattutto, la prova che i reati successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali al momento della commissione del primo.

Qual è il ruolo della Corte di Cassazione nella valutazione della continuazione?
La Corte di Cassazione non può riesaminare i fatti del caso, ma deve limitarsi a un controllo di legittimità sulla decisione del giudice di merito. Il suo compito è verificare che la motivazione sia adeguata, logica e non presenti vizi giuridici o travisamenti dei fatti. Se la motivazione è solida, la decisione non può essere modificata.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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