Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 3801 Anno 2025
Penale Sent. Sez. 1 Num. 3801 Anno 2025
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 12/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
NOME COGNOME nato a GELA il 27/06/1979
avverso l’ordinanza del 13/02/2024 della CORTE APPELLO di CALTANISSETTA
udita la relazione svolta dal Consigliere NOME COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto il rigetto del ricorso.
OQ
RITENUTO IN FATTO
Con ordinanza del 13 febbraio 2024, la Corte d’appello di Caltanissetta, quale giudice dell’esecuzione, rigettava la richiesta avanzata da NOME COGNOME finalizzata ad ottenere il riconoscimento della continuazione, ai sensi dell’art. 671 cod. proc. pen. in relazione ai reati giudicati dalle seguenti pronunce irrevocabili:
sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta il 24 novembre 2009, di condanna per il reato di cui agli artt. 629 cod. pen., 7 L. 203 del 1991, commesso dal 1998 al 2002;
sentenza emessa dal Tribunale di Gela il 13 aprile 2010, irrevocabile il 31 ottobre 2011, di condanna per i reati di cui agli artt. 56, 629 e 416 bis comma 2 cod. pen., commessi il 18 settembre 2007 e il 4 ottobre 2007, quest’ultimo in permanenza;
sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta il 26 aprile 2012, irrevocabile il 18 gennaio 2013, di condanna per il reato di cui agli artt. 629, 56 cod. pen. e 7 L. 203 del 1991, commesso il 4 settembre 2007 e il 14 aprile 2008;
sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta il 19 luglio 2012, irrevocabile il 31 ottobre 2012, di condanna per il reato di cui agli artt. 629, 56 cod. pen. e 7 L. 203 del 1991, commesso nel dicembre 2007;
sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta il 7 giugno 2017, di condanna per il reato di cui agli artt. 629 cod. pen. e 7 L. 203 del 1991, commeso in periodo anteriore al 15 aprile 2008;
sentenza emessa dal G.u.p. del Tribunale di Caltanissetta 1’11 gennaio 2021, irrevocabile il 28 marzo 2023, di condanna per i reati di cui alla Legge 159 del 2011, 414 bis 1 cod. pen., commessi dal 2012 al 2019, art, 73 Dpr 309 del 1990 e 416 bis cod. pen., commessi dal 2014 al 2019, in permanenza.
A ragione il decidente ha osservato, quanto al riconoscimento del vincolo della continuazione tra i delitti di associazione ex art. 416 bis cod. pen., di cui alle sentenze sub 2) e sub 6), che le diverse composizioni delle compagini associative, unitamente al periodo di restrizione carceraria avvenuto tra il primo e il secondo fatto, non consentono di ritenere che NOME abbia assunto la determinazione, sin dall’adesione alla primo gruppo mafioso, di porre in essere la seconda condotta partecipativa, tenuto altresì conto della diversità delle condizioni, certamente non prospettabili ab origine, che hanno permesso alle due differenti organizzazioni di operare.
In ordine, poi, agli altri reati, il G.E. ha ritenuto le estorsioni non sussumibi all’interno di un medesimo disegno criminoso in quanto compiute in contesti e per finalità diverse nonché con differenti correi. D’altra parte, già il giudice della
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cognizione, nell’ambito della sentenza sub 2), aveva escluso il vincolo della continuazione tra le condotte poste in essere dal 1998 al 2002 con quelle realizzate tra il 2006 e il 2007 sulla scorta dell’ampio lasso di tempo intercorso tra le stesse.
GLYPH Avverso la descritta ordinanza, propone ricorso per cassazione NOMECOGNOME a mezzo del difensore, deducendo vizio di motivazione e violazione degli artt. 81 cod. pen., 125 e 671 cod. proc. pen., 4 vicies D.L. 272 del 2005.
Il decidente ha errato nel ritenere che NOME abbia fatto parte di due gruppi criminali diversi, quello facente capo a COGNOME, da una parte, e quello guidato dai fratelli COGNOME, dall’altra.
Invero, dai dati oggettivi allegati dalla difesa – costituiti, in particolare, dal requisitoria del Pubblico Ministero nel procedimento conclusosi con la sentenza emessa 1’11 gennaio 2021, e dal contenuto delle dichiarazioni rese dai numerosi collaboratori di giustizia – si evince come l’odierno ricorrente abbia fatto parte, per oltre venti anni, di un’unica organizzazione criminale denominata “Stidda”, del tutto priva, a differenza di quanto sostenuto dal decidente, di singole consorterie criminali, che ha agito in contrapposizione a “Cosa Nostra”, la quale, al contrario, essendo strutturata orizzontalmente, è costituita da varie famiglie mafiose.
Peraltro, deve escludersi che la lunga carcerazione possa avere avuto un impatto sull’adesione del ricorrente all’associazione mafiosa, non avendo lo stesso né manifestato alcuna rivisitazione del proprio passato né palesato alcun pentimento in relazione alle proprie condotte antigiuridiche.
Quanto, poi, agli ulteriori reati aggravati ex art. 416 bis.1 cod. pen., il giudice dell’esecuzione ha omesso di fornire una motivazione sull’eventuale applicabilità dell’istituto della continuazione, tenuto conto del ridotto arco di tempo all’interno del quale sono stati commessi i fatti nonché del loro legame con le condanne di cui all’art. 416 bis cod. pen.
Il sostituto Procuratore generale, NOME COGNOME ha chiesto GLYPH il rigetto del ricorso.
CONSIDERATO IN DIRITTO
Il ricorso è fondato limitatamente al mancato riconoscimento della continuazione tra le sentenze di condanna per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen. (sub 2 e 6), dovendosi respingere nel resto.
L’esistenza di un medesimo disegno criminoso va desunta da elementi indizianti quali l’unitarietà del contesto e della spinta a delinquere, la brevità del lasso temporale che separa i diversi episodi, l’identica natura dei reati, l’analogia del modus operandi e la costante compartecipazione dei medesimi soggetti (Sez. 5, n. 1766 del
06/07/2015, dep. 18/01/2016, Esposti e altro, Rv. 266413). Tali principi sono stati di recente ribaditi, con specifico riferimento ai contenuti della valutazione da compiersi in sede esecutiva, da Sez. U, n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074 – 01, che si è espressa nel senso che il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, la contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati se i successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea.
Nel caso in cui la richiesta di applicare la disciplina della continuazione abbia ad oggetto un reato associativo e i reati fine non è sufficiente che i secondi rientrino nell’ambito delle attività del sodalizio criminoso e che siano finalizzati al suo rafforzamento (Sez. 6, n. 4680 del 20/01/2021, COGNOME, Rv. 280595 – 01Sez. 5, n. 54509 del 08/10/2018, Lo Giudice, Rv. 275334 – 02). In tale ipotesi, infatti, la continuazione tra il reato di partecipazione a un’associazione e i reati fine può essere riconosciuta solo a condizione che il giudice verifichi puntualmente e in concreto che ogni specifico reato cui si riferisce la richiesta sia stato programmato “ah origine” al momento in cui il partecipe si è determinato a fare ingresso nel sodalizio e che, pertanto, questo non sia legato a circostanze ed eventi contingenti e occasionali o, comunque, sopravvenuti ovvero non immaginabili al momento iniziale dell’associazione (Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430 – 01).
La continuazione, d’altro canto, può essere riconosciuta anche tra reati associativi purché, a prescindere dall’omogeneità delle condotte, all’esito di una specifica indagine sulla natura dei vari sodalizi, sulla loro concreta operatività e sulla loro continuità nel tempo, sia accertata l’unicità del momento deliberativo e la sua successiva attuazione attraverso la progressiva appartenenza del soggetto a una pluralità di organizzazioni, comunque denominate, ovvero a una medesima organizzazione in ordine a diversi segmenti temporali (Sez. 5, n. 20900 del 26/04/2021, COGNOME, Rv. 281375 – 01; Sez. 6, n. 51906 del 15/09/2017, RAGIONE_SOCIALE, Rv. 271569-01).
Nel caso di specie il giudice della esecuzione si è conformato solo in parte ai principi esposti.
3.1. Corretta appare infatti la disamina effettuata dal G.E. in ordine al mancato riconoscimento della continuazione tra il reato associativo ed i reati fine, posto che il ricorrente elude il nucleo centrale dei principi enunciati: la necessità di una preventiva programmazione unitaria dei reati almeno nella loro linea essenziale.
In assenza di specifici elementi, neppure allegati dal ricorrente, che facciano ritenere che i reati di estorsione e tentata estorsione commessi nell’ambito del medesimo contesto associativo, fossero stati programmati, quanto meno nelle loro linee essenziali prima dell’inserimento nel medesimo contesto associativo da parte del prevenuto, appare del tutto corretta la decisione reiettiva del G.E., contrastata in modo assolutamente generico dal ricorrente, che sembra evocare l’applicazione di una sorta di automatismo, tale da poter fondare il beneficio sanzionatorio per tutti i reati commessi in ambito associativo, da ritenersi sempre in continuazione con la fattispecie associativa in cui si inseriscono, in contrasto con la consolidata giurisprudenza di legittimità (Sez. 1, n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430; Sez. 1, n. 1534 del 09/11/2017, dep. 2018, COGNOME, Rv. 271984; Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013, Corigliano, Rv. 257253).
3.2. Appare invece fondato il motivo di ricorso che lamenta il mancato riconoscimento tra le sentenze sub 2 e 6, di condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 416 bis cod. pen., entrambi contestati in permanenza (il primo con condotta dal 2007 al 13/04/2010, data della sentenza di primo grado, ed il secondo con condotta dal 2012 al 2019).
Sul punto, il giudice dell’esecuzione non si è attenuto ai richiamati principi di diritto, evidenziando unicamente la diversa composizione del clan di riferimento; va precisato come la giurisprudenza di legittimità abbia sottolineato, con riferimento al reato associativo, che la condotta criminosa, anche se contestata in tempi diversi, cessa solo con lo scioglimento del sodalizio criminale o per effetto di condotte che denotino l’avvenuto recesso volontario, e che l’esclusione dell’identità del disegno criminoso per fatti imprevedibili come la detenzione o la condanna non si può applicare automaticamente a contesti delinquenziali come quelli determinati dalle associazioni mafiose, nei quali detenzioni e condanne definitive sono accettate come prevedibili eventualità, sì che in tali casi il vincolo della continuazione non è incompatibile con un reato permanente, ontologicamente unico, come quello di appartenenza ad un’associazione di stampo mafioso, quando il segmento della condotta associativa successiva ad un evento interruttivo trovi la sua spinta psicologica nel pregresso accordo per il sodalizio.
Coglie allora nel segno la censura difensiva che, sulla base dell’analisi delle sentenze di condanna, evidenzia come dalle stesse emergesse che l’organizzazione di stampo mafioso in argomento, la Stidda, si caratterizza per essere un’entità unitaria, non suddivisa in famiglie, di talchè scolora l’argomento principale posto dal G.E a fondamento dell’ordinanza reiettiva, costituito dalla diversa composizione delle famiglie mafiose oggetto delle sentenze di condanna.
Del pari meramente assertiva risulta la valorizzazione da parte del G.E. della lunga carcerazione subita da NOME COGNOMEtra l’accertamento dei reati associativi oggetto
delle due sentenze», atteso che, ‘come già affermato da questa Corte, in tema associazione di tipo mafioso, il principio secondo cui l’identità del disegno crimin del reato continuato viene meno per fatti imprevedibili, quali la detenzione o condanna, non trova applicazione automatica, essendo tali eventi accettati come eventualità prevedibili in contesti criminosi del genere, sicché, in tal caso, il della continuazione può essere egualmente riconosciuto se vi è prova che il segmento della condotta associativa successiva ad un evento interruttivo, costituito da fa detenzione o da condanne, trovi la sua spinta psicologica nel pregresso accordo i favore del sodalizio criminoso (Sez. 2 n. 16560 del 23/02/2023 , PG c. Monti, Rv. 284525 – 01).
Per le rilevate lacune, l’ordinanza impugnata dev’essere annullat limitatamente alla continuazione relativa ai reati giudicati con le sentenze di c numeri 2) – Tribunale Gela 13/04/2010, irr. il 31/10/2011- e 6) – G.u.p. Tribunale di Caltanissetta 11/01/2021, irr. il 28/03/2023, con rinvio per nuovo giudizio su tale punto alla Corte di appello di Caltanissetta.
P.Q.M.
Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla continuazione tra i delit associativi giudicati con le sentenze del Tribunale di Gela del 13/4/2010 irrevocabi il 31/10/2011 e del GUP del Tribunale di Caltanissetta dell’11/1/2021 irrevocabile 28/3/2023 con rinvio per nuovo giudizio sul punto alla Corte di appello d Caltanissetta. Rigetta nel resto il ricorso.
Così deciso il 12/11/2024