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Continuazione tra reati: la Cassazione chiarisce i limiti

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati di manipolazione del mercato e bancarotta. La Corte ha confermato la decisione dei giudici di merito, sottolineando che il notevole lasso di tempo intercorso tra i due reati e la diversità del modus operandi sono elementi decisivi per escludere l’esistenza di un unico e preordinato disegno criminoso, requisito fondamentale per l’applicazione dell’istituto della continuazione tra reati. È stata rigettata anche un’eccezione procedurale sulla mancata partecipazione del detenuto all’udienza.

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Pubblicato il 28 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: Quando il Tempo Spezza il Legame

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, è uno strumento fondamentale del nostro sistema sanzionatorio, che permette di unificare sotto un’unica pena più reati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci offre l’occasione per approfondire i criteri, in particolare il fattore tempo, che possono escludere questo beneficio.

I fatti alla base della decisione

Il caso esaminato dalla Suprema Corte nasce dal ricorso di un soggetto condannato per due distinti reati, giudicati separatamente: manipolazione del mercato, commesso tra il 2007, e bancarotta, perpetrato tra il 2009 e il 2014. L’interessato si era rivolto al giudice dell’esecuzione chiedendo di riconoscere il vincolo della continuazione tra reati, sostenendo che entrambi i delitti fossero frutto di un unico e originario programma criminale. La Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, aveva rigettato l’istanza, spingendo il condannato a ricorrere per cassazione.

L’eccezione procedurale sulla mancata partecipazione all’udienza

Prima di entrare nel merito, il ricorrente aveva sollevato una questione procedurale: la nullità dell’ordinanza impugnata per non aver potuto partecipare all’udienza, nonostante una sua specifica richiesta inviata dall’istituto di detenzione. La Cassazione ha ritenuto il motivo infondato. Secondo gli Ermellini, la nullità derivante dalla mancata partecipazione del detenuto rientra nel cosiddetto “regime intermedio”: deve essere eccepita in udienza dalla difesa per essere valida. In assenza di prove che tale eccezione sia stata sollevata (come il verbale d’udienza, non prodotto dal ricorrente), la nullità si considera sanata.

L’analisi della Cassazione sulla continuazione tra reati

Il cuore della pronuncia riguarda i criteri per il riconoscimento della continuazione tra reati. Il ricorrente lamentava che il giudice di merito non avesse considerato l’uniformità del modus operandi e l’analogia delle condotte, elementi che, a suo dire, avrebbero dovuto dimostrare l’esistenza di un unico disegno criminoso. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha pienamente condiviso e avallato il ragionamento della Corte d’Appello, dichiarando il ricorso inammissibile.

Le motivazioni della Corte

La Corte ha ribadito alcuni principi consolidati in materia. Il riconoscimento della continuazione richiede una verifica approfondita e rigorosa, volta ad accertare se, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Elementi come l’omogeneità delle violazioni o la contiguità spaziale e temporale sono solo indici, ma non prove decisive.

Nel caso specifico, due fattori sono stati determinanti per escludere l’unicità del disegno criminoso:

1. La distanza temporale: Un lasso di tempo così ampio tra la commissione del primo reato (2007) e del secondo (dal 2009 al 2014) rende improbabile l’esistenza di un’unica e antecedente risoluzione criminosa. La giurisprudenza è costante nell’affermare che più tempo passa tra le violazioni, più si presume che la commissione di ulteriori fatti non fosse stata specificamente progettata all’inizio.
2. L’eterogeneità dei fatti: Il giudice dell’esecuzione aveva correttamente evidenziato la diversità dei reati, dei luoghi di commissione e dei concorrenti, elementi che contrastano con l’idea di un piano unitario e anticipato.

Conclusioni: le implicazioni pratiche

Questa pronuncia rafforza un importante principio: la continuazione tra reati non può essere presunta sulla base di mere somiglianze tra le condotte criminali. Il fattore temporale assume un ruolo cruciale: una significativa distanza tra i fatti crea una presunzione contraria all’esistenza di un unico disegno criminoso, che il condannato ha l’onere di superare con prove concrete. La decisione sottolinea inoltre come la diversità degli illeciti, delle modalità esecutive e dei soggetti coinvolti siano elementi concreti che il giudice deve valorizzare per accertare se ci si trovi di fronte a una pluralità di determinazioni criminali autonome o a un unico progetto delinquenziale. Infine, sul piano processuale, viene ribadita l’importanza di eccepire tempestivamente le nullità procedurali in udienza, pena la loro decadenza.

Quali sono i requisiti per ottenere la continuazione tra reati?
È necessario dimostrare l’esistenza di un ‘medesimo disegno criminoso’, ovvero che tutti i reati siano stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, prima della commissione del primo. La semplice somiglianza tra i reati non è sufficiente.

Un lungo periodo di tempo tra due reati esclude automaticamente la continuazione?
Non la esclude automaticamente, ma crea una forte presunzione contraria. Secondo la Corte, quanto più ampio è il lasso di tempo tra le violazioni, tanto più è improbabile che esistesse un’unica programmazione iniziale, e spetta al richiedente fornire la prova contraria.

Cosa succede se un detenuto chiede di partecipare a un’udienza ma la sua richiesta non viene accolta?
La mancata partecipazione può causare una nullità dell’atto (in questo caso, dell’ordinanza). Tuttavia, si tratta di una ‘nullità a regime intermedio’, che deve essere eccepita dal difensore durante l’udienza stessa. Se l’eccezione non viene sollevata in quella sede, la nullità si considera sanata e non può essere fatta valere successivamente.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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