Sentenza di Cassazione Penale Sez. 1 Num. 44014 Anno 2024
Penale Sent. Sez. 1 Num. 44014 Anno 2024
Presidente: COGNOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 07/11/2024
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a VIBO VALENTIA il 14/01/1979
avverso l’ordinanza del 05/03/2024 della CORTE APPELLO di REGGIO CALABRIA udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME
lette le conclusioni del PG, NOME COGNOME che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso.
Ritenuto in fatto
Con ordinanza del 5 marzo 2024 la Corte d’appello di Reggio Calabria, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha respinto l’istanza di NOME COGNOME di applicazione della disciplina della continuazione tra i reati oggetto delle seguenti sentenze di condanna emesse nei suoi confronti:
sentenza del 17 giugno 2003 n. 1208 della Corte d’appello di Catanzaro per reato di cui all’art. 648 cod. pen. commesso il 3 maggio 1998;
sentenza del 17 giugno 2003 n. 1206 della Corte d’appello di Catanzaro, per reati di cui all’art. 73 d.p.r. 9 ottobre 1990, n. 309, commessi il 3 maggio 1998 ed il 18 luglio 1998.
In particolare, nel respingere l’istanza, il giudice dell’esecuzione ha ritenuto non vi fossero elementi che potessero deporre per la programmazione unitaria dei
reati, evidenziando in particolare che gli stessi avevano ad oggetto titoli di reato diversi, non c’era alcun collegamento tra lo stupefacente e gli assegni oggetto di ricettazione, pur se gli stessi erano stati ritrovati nel corso della medesima perquisizione; nemmeno era stata precisata l’epoca di ricezione degli assegni.
Avverso il predetto provvedimento ha proposto ricorso il condannato, per il tramite del difensore, con unico motivo in cui deduce violazione di legge e vizio di motivazione per essere stata respinta l’istanza nonostante che la programmazione unitaria dei reati fosse desumibile da quanto accertato in fase di cognizione, atteso che gli assegni e lo stupefacente furono rinvenuti effettivamente nel corso della medesima perquisizione; inoltre, nella sentenza di primo grado si sostiene che è verosimile che la bustina con la sostanza stupefacente fosse destinata ad un terzo soggetto, ed era verosimile, quindi, che l’imputato intendesse alienare a terzi tale stupefacente insieme al materiale rinvenuto nel medesimo luogo, e tra tale materiale vi erano anche i due carnet di assegni che hanno generato la condanna per ricettazione.
Con requisitoria scritta il Procuratore Generale, COGNOME ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.
Considerato in diritto
1. Il ricorso è inammissibile.
Il ricorso deduce che la sostanza stupefacente che ha generato la condanna per il primo reato in materia di stupefacenti e gli assegni che hanno determinato la condanna per ricettazione furono rinvenuti nel corso della medesima perquisizione ed erano stati occultati dal ricorrente nel medesimo luogo, ma l’argomento è manifestamente infondato, perché la circostanza che questi beni si trovassero nello stesso luogo è indice dell’esistenza di un collegamento investigativo tra i due reati ex art. 371, comma 2, lett. b), ultimo periodo, cod. proc. pen., ma nulla dice sulla esistenza di una volizione criminale unitaria alla base dei due reati.
Il ricorso deduce che la stessa sentenza di primo grado aveva affermato che verosimilmente l’imputato intendeva alienare a terzi il materiale che era stato rinvenuto nel corso della perquisizione, ma anche questo argomento è manifestamente infondato, atteso che tale circostanza nulla dice sulla volizione criminale alla base del reato di ricettazione, che è commesso non nel giorno in cui sono stati trovati gli assegni, ma nel giorno in cui l’imputato li aveva ricevuti, e,
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come evidenzia l’ordinanza impugnata, neanche è indicata la distanza di tempo tra la data della ricezione degli assegni e la data del rinvenimento degli stessi.
Peraltro, come nota perspicuamente il Procuratore generale, la ipotetica volontà di alienazione a terzi del materiale rinvenuto attiene, al più, ad una fase successiva, quella del portare i reati ad ulteriori conseguenze o alla commissione di ulteriori, anziché dimostrare – come correttamente e persuasivamente rilevato già dall’ordinanza impugnata – unità e tempo di ideazione o altre circostanze delle quali possa in qualche modo dedursi che al momento della commissione del primo reato fosse stato prefigurato, in una comune ideazione, nelle sue linee essenziali anche il secondo.
In definitiva, il ricorso è inammissibile.
Ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., alla decisione consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende.
Così deciso il 7 novembre 2024.