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Continuazione tra reati: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva la ‘continuazione tra reati’ basandosi su una decisione favorevole ottenuta da un coimputato. La Corte ha stabilito che la valutazione del medesimo disegno criminoso è strettamente personale e non può essere estesa automaticamente. Pertanto, la decisione riguardante un altro soggetto non costituisce un ‘fatto nuovo’ idoneo a superare una precedente pronuncia di rigetto.

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Pubblicato il 17 dicembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati: La Decisione sul Coimputato Non è un Fatto Nuovo

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, permette di unificare più condanne sotto un unico ‘disegno criminoso’, con notevoli benefici sulla pena complessiva. Ma cosa succede se la richiesta viene respinta e, tempo dopo, un coimputato ottiene proprio quel beneficio? Questa circostanza può essere considerata un ‘fatto nuovo’ per ripresentare l’istanza? Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione ha fornito una risposta netta, ribadendo la natura strettamente personale di tale valutazione.

I Fatti del Caso

Un soggetto condannato presentava ricorso alla Corte di Cassazione avverso un’ordinanza del Giudice dell’esecuzione. L’ordinanza aveva respinto, per l’ennesima volta, la sua richiesta di applicazione della continuazione tra diversi reati. Le precedenti istanze erano già state rigettate in due diverse occasioni.

La novità su cui il ricorrente basava il suo appello era una decisione, successiva ai precedenti rigetti, con cui un altro giudice aveva riconosciuto la continuazione a un suo coimputato per reati commessi nel medesimo contesto criminale. Secondo il ricorrente, questo costituiva un nuovo elemento di valutazione che avrebbe dovuto superare la preclusione derivante dalle precedenti decisioni negative.

La Questione della Preclusione ‘Rebus Sic Stantibus’

Il punto centrale della questione giuridica ruota attorno al principio del ‘rebus sic stantibus’. Secondo la giurisprudenza consolidata, un provvedimento del giudice dell’esecuzione, una volta divenuto definitivo, preclude una nuova pronuncia sul medesimo oggetto. Tuttavia, questa preclusione non è assoluta. Essa vale ‘finché le cose stanno così’, ma può essere superata qualora emergano nuovi elementi di fatto o nuove questioni giuridiche, preesistenti o sopravvenute, che non erano state precedentemente considerate.

Il ricorrente sosteneva che la decisione favorevole al coimputato rappresentasse proprio uno di questi nuovi elementi.

La Decisione della Corte di Cassazione sulla continuazione tra reati

La Suprema Corte ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, di conseguenza, inammissibile. Gli Ermellini hanno chiarito che, per superare la preclusione di una precedente decisione, i nuovi fatti devono incidere direttamente sulla posizione individuale del soggetto istante. La decisione riguardante un concorrente nel reato non soddisfa questo requisito.

Le Motivazioni della Sentenza

La Corte ha motivato la sua decisione sulla base di un principio cardine del diritto penale: la personalità della valutazione del disegno criminoso.

I giudici hanno spiegato che l’identità del ‘disegno criminoso’, che è il presupposto per la continuazione tra reati, deve essere accertata sulla base di ragioni inerenti alla sfera psichica e cognitiva del singolo autore. Si tratta di un accertamento strettamente individuale, che riguarda la programmazione e la volontà del singolo individuo al momento della commissione dei diversi reati.

Di conseguenza, le conclusioni raggiunte per un coimputato non possono essere estese automaticamente ad altri. Ogni posizione richiede un autonomo e distinto accertamento. Il fatto che un altro soggetto abbia beneficiato del riconoscimento della continuazione non costituisce un nuovo elemento di prova sulla sfera psicologica del ricorrente, che è l’unica rilevante ai fini della sua specifica richiesta.

Le Conclusioni: Implicazioni Pratiche

Questa ordinanza rafforza un importante principio in materia di esecuzione penale. Le implicazioni pratiche sono chiare: un condannato non può sperare di riaprire una questione già decisa semplicemente perché un coimputato ha ottenuto un esito diverso. Per superare una decisione di rigetto sulla continuazione, è necessario presentare elementi nuovi e concreti che riguardino la propria, esclusiva posizione soggettiva, dimostrando che il disegno criminoso era unitario fin dall’inizio. La strategia di ‘rimbalzo’, basata sui successi processuali altrui, è destinata a fallire di fronte alla natura strettamente individuale della valutazione penale.

È possibile chiedere nuovamente l’applicazione della continuazione tra reati dopo che è stata rigettata?
Sì, è possibile, ma solo a condizione che si presentino nuovi elementi di fatto o nuove questioni giuridiche che non siano stati esaminati nelle decisioni precedenti. La richiesta non può essere una mera riproposizione di argomenti già valutati.

La concessione della continuazione a un coimputato è un ‘fatto nuovo’ sufficiente per ripresentare la mia richiesta?
No. Secondo la Corte di Cassazione, la decisione favorevole ottenuta da un concorrente nel reato non costituisce un ‘fatto nuovo’ rilevante, poiché non incide direttamente sulla posizione individuale e sulla sfera psicologica dell’istante, che sono gli unici elementi da valutare.

Cosa si intende quando si dice che l’accertamento del ‘medesimo disegno criminoso’ è personale?
Significa che la prova dell’esistenza di un piano unitario che lega più reati deve basarsi sull’analisi della sfera psicologica, ideativa e cognitiva di ogni singolo autore. Si tratta di una valutazione soggettiva che richiede un’indagine distinta e autonoma per ciascun partecipe al reato.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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