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Continuazione tra reati: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso di un soggetto che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati commessi a distanza di anni. L’ordinanza sottolinea che un notevole lasso temporale e la diversa natura dei crimini, come un reato di spaccio seguito dall’adesione a un’associazione criminale, escludono la sussistenza di un medesimo disegno criminoso iniziale, configurando invece autonome risoluzioni criminali.

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Pubblicato il 28 novembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando la distanza temporale esclude il disegno criminoso unico

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 81 del codice penale, rappresenta un beneficio per chi commette più illeciti nell’ambito di un unico progetto criminale. Tuttavia, la sua applicazione non è automatica e richiede una rigorosa valutazione da parte del giudice. Con l’ordinanza in esame, la Corte di Cassazione ribadisce i confini di questo istituto, chiarendo come la distanza temporale e la natura eterogenea dei crimini possano essere elementi decisivi per escluderlo.

I Fatti del Caso

Il caso trae origine dal ricorso presentato da un individuo contro la decisione della Corte d’Appello di Napoli. Quest’ultima aveva negato il riconoscimento della continuazione tra un reato in materia di stupefacenti, commesso nel gennaio 2008, e altri reati successivi, tra cui l’adesione a un’associazione criminale avvenuta circa quattro anni dopo. Il ricorrente sosteneva che tutti i reati fossero riconducibili a un unico disegno criminoso, chiedendo di conseguenza un trattamento sanzionatorio più mite.

La Decisione della Corte e il concetto di continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso manifestamente infondato e, pertanto, inammissibile. I giudici di legittimità hanno confermato la valutazione della Corte d’Appello, ritenendo corretta l’esclusione della continuazione tra reati. La decisione si fonda su un principio consolidato: per poter applicare l’istituto, è necessario che l’agente abbia programmato, sin dall’inizio e almeno nelle linee generali, la commissione di tutti i reati. In assenza di tale prova, i crimini vengono considerati come il frutto di decisioni separate e autonome.

Le Motivazioni: Assenza di un Programma Unitario

Il cuore della motivazione risiede nella constatazione dell’assenza di circostanze idonee a dimostrare un programma criminoso unitario. La Corte ha posto l’accento su due elementi chiave:

1. La distanza temporale: Un intervallo di diversi anni tra il primo reato e quelli successivi rende poco plausibile che fossero tutti parte di un unico piano iniziale. Sebbene la legge non fissi un limite temporale, un lasso di tempo così ampio indebolisce fortemente la presunzione di un medesimo disegno criminoso.
2. L’imprevedibilità del reato associativo: I giudici hanno ritenuto decisivo il fatto che, al momento della commissione del primo reato nel 2008, l’imputato non potesse ragionevolmente prevedere di entrare a far parte, quattro anni dopo, di un’associazione criminale (ex art. 74 d.P.R. 309/90). Questo tipo di reato, per sua natura complesso e strutturato, è stato considerato come l’espressione di una nuova e autonoma risoluzione criminosa, non come l’attuazione di un vecchio proposito.

Di conseguenza, i reati sono stati visti come l’espressione di una “pervicace volontà criminale” manifestatasi in momenti distinti, non meritevole dell’applicazione di istituti di favore come la continuazione.

Conclusioni: Implicazioni Pratiche della Pronuncia

Questa ordinanza offre importanti spunti pratici. In primo luogo, chi invoca la continuazione tra reati ha l’onere di fornire elementi concreti a sostegno dell’esistenza di un disegno criminoso unitario e preesistente. In secondo luogo, una significativa distanza temporale tra i fatti costituisce un serio ostacolo a tale riconoscimento. Infine, la diversità ontologica dei reati, specialmente quando quelli successivi sono più gravi e strutturati, può essere interpretata dal giudice come l’indicatore di una nuova e autonoma scelta criminale. La declaratoria di inammissibilità ha comportato, per il ricorrente, non solo la conferma della decisione impugnata, ma anche la condanna al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle ammende.

È possibile ottenere la continuazione tra un reato e un altro commesso a distanza di molti anni?
Secondo questa ordinanza, è molto difficile. La notevole distanza temporale tra i reati è un forte indicatore contro l’esistenza di un medesimo disegno criminoso, a meno che non si forniscano prove concrete di una programmazione unitaria sin dall’inizio.

Perché la Corte ha ritenuto che l’adesione a un’associazione criminale non rientrasse nello stesso disegno criminoso di un precedente reato di spaccio?
La Corte ha ritenuto che, al momento del primo reato nel 2008, l’imputato non potesse ragionevolmente prevedere di entrare a far parte di un’associazione criminale quattro anni dopo. Questa imprevedibilità esclude che l’adesione fosse parte di un piano originario, configurandola come una risoluzione criminosa autonoma e successiva.

Cosa succede quando un ricorso in Cassazione viene dichiarato inammissibile?
Quando il ricorso è dichiarato inammissibile, la Corte non esamina il merito della questione. Di conseguenza, il ricorrente viene condannato al pagamento delle spese processuali e, come in questo caso, al versamento di una somma di denaro (tremila euro) in favore della Cassa delle ammende, data la manifesta infondatezza del ricorso.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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