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Continuazione tra reati: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione annulla un’ordinanza del giudice dell’esecuzione che aveva negato l’applicazione della continuazione tra reati. La decisione è stata annullata per carenza di motivazione, poiché il giudice non aveva adeguatamente considerato gli elementi che collegavano un’estorsione a un’associazione di stampo mafioso. La Corte ha sottolineato la necessità di un’analisi approfondita per verificare l’esistenza di un unico disegno criminoso, rinviando il caso per un nuovo giudizio.

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Pubblicato il 19 settembre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra Reati Associativi e Reati Fine: La Cassazione Sottolinea l’Obbligo di Motivazione

La recente sentenza della Corte di Cassazione, Prima Sezione Penale, offre importanti chiarimenti sui criteri per l’applicazione della continuazione tra reati. In particolare, la Corte si è pronunciata sul legame tra un reato associativo di stampo mafioso e i cosiddetti ‘reati fine’, come l’estorsione, commessi nell’ambito delle attività del sodalizio. La decisione sottolinea come il giudice dell’esecuzione debba condurre un’analisi approfondita e motivata, non potendosi limitare a un rigetto formale dell’istanza del condannato.

I Fatti del Caso: Due Sentenze e una Richiesta

Il caso riguarda un condannato che aveva chiesto al Tribunale, in funzione di giudice dell’esecuzione, di applicare la disciplina della continuazione tra i fatti oggetto di due diverse sentenze irrevocabili.

1. Prima Sentenza: Condanna a 2 anni e 8 mesi per plurimi episodi di estorsione, commessi in un breve arco temporale (luglio-settembre 2013).
2. Seconda Sentenza: Condanna a 13 anni e 3 mesi per reati molto più gravi, tra cui associazione di stampo mafioso, associazione finalizzata al traffico di stupefacenti e altri reati commessi tra il 2006 e il 2013.

Il condannato sosteneva che le estorsioni della prima sentenza fossero parte integrante del medesimo disegno criminoso che legava i reati della seconda, evidenziando la contiguità temporale e territoriale, l’identità dei coautori (tutti membri dello stesso clan) e la funzionalità delle estorsioni al rafforzamento del sodalizio mafioso.

La Decisione del Giudice dell’Esecuzione

Il giudice dell’esecuzione aveva rigettato l’istanza, affermando che il condannato non aveva fornito prove concrete di una programmazione unitaria dei fatti estorsivi insieme agli altri reati associativi. Secondo il Tribunale, il semplice collegamento dei reati all’attività del clan non era sufficiente per dimostrare un unico disegno criminoso concepito ‘ab origine’.

La Cassazione e la valutazione della continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha accolto il ricorso del condannato, annullando l’ordinanza del Tribunale con rinvio per un nuovo giudizio. Il motivo centrale della decisione risiede nella manifesta carenza di motivazione del provvedimento impugnato. La Suprema Corte ha stabilito che il giudice dell’esecuzione non può liquidare l’istanza senza un’analisi concreta e approfondita degli elementi forniti dalla difesa.

Le Motivazioni

Le motivazioni della Cassazione si fondano su un principio cardine: per riconoscere la continuazione tra reati, è necessario accertare che i reati fine siano stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, già al momento dell’adesione al sodalizio criminoso. Non è sufficiente un generico collegamento, ma non si può nemmeno esigere una prova di programmazione dettagliata. Il giudice deve valutare tutti gli indizi a disposizione.

Nel caso specifico, il Tribunale aveva omesso di:

1. Analizzare gli elementi fattuali: Non ha considerato la sovrapponibilità temporale e territoriale, l’identità degli autori e il rapporto di strumentalità tra le estorsioni e il consolidamento del clan.
2. Confrontare le sentenze: Non ha verificato se dalla motivazione della seconda sentenza emergessero elementi utili a collocare le estorsioni all’interno del programma criminoso dell’associazione.
3. Motivare adeguatamente il rigetto: Si è limitato a una constatazione generica, senza confutare punto per punto gli argomenti specifici della difesa, tra cui il fatto che altri coimputati avessero già ottenuto il beneficio per gli stessi fatti.

La Corte ha ribadito che il giudice dell’esecuzione, specie quando esistono precedenti valutazioni positive (come quelle su altri reati fine o su altri coimputati), non può discostarsene senza fornire ‘specifiche e significative ragioni’.

Le Conclusioni

La sentenza rappresenta un importante monito per i giudici dell’esecuzione. L’accertamento dell’unico disegno criminoso richiede un esame completo e non superficiale. È necessario dare conto delle ragioni per cui gli elementi presentati dal condannato non sono ritenuti sufficienti a dimostrare l’originaria progettazione dei reati. Un provvedimento che si limita a negare l’esistenza del vincolo della continuazione senza un’adeguata argomentazione è viziato da carenza di motivazione e, come in questo caso, destinato all’annullamento. La decisione riafferma la centralità del diritto di difesa e dell’obbligo di motivazione come garanzie fondamentali del processo penale, anche nella sua fase esecutiva.

Quando si può riconoscere la continuazione tra un reato associativo e i cosiddetti ‘reati fine’?
La continuazione si riconosce quando si dimostra che i reati fine (come un’estorsione) erano stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, fin dal momento in cui l’individuo ha deciso di aderire all’associazione criminale. Non è sufficiente che il reato rientri genericamente nelle attività del gruppo, ma deve essere parte di un’originaria progettazione.

Cosa deve fare il giudice dell’esecuzione quando valuta una richiesta di continuazione tra reati?
Il giudice deve esaminare in modo approfondito tutti gli elementi forniti dal richiedente, come la vicinanza temporale e territoriale, l’identità degli autori e la strumentalità dei reati rispetto al programma del sodalizio. Deve inoltre confrontare le motivazioni delle sentenze coinvolte e non può ignorare valutazioni precedenti senza fornire ragioni specifiche e significative.

Qual è la conseguenza di una motivazione carente o illogica da parte del giudice dell’esecuzione?
Una motivazione carente, che non analizza adeguatamente gli argomenti della difesa e non spiega perché gli elementi forniti non sono sufficienti a provare l’unico disegno criminoso, porta all’annullamento del provvedimento. La Corte di Cassazione, in tal caso, rinvia il caso a un nuovo giudice per un riesame completo dei profili omessi.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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