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Continuazione tra reati: la Cassazione chiarisce

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza in esame, ha dichiarato inammissibile il ricorso di un condannato che chiedeva il riconoscimento della continuazione tra reati. La Corte ha ribadito che, per ottenere tale beneficio, non basta la somiglianza dei reati, ma è necessaria la prova rigorosa di un’unica e anticipata deliberazione criminosa, prova che non può essere desunta in presenza di un notevole intervallo temporale tra le condotte illecite.

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Pubblicato il 30 ottobre 2025 in Diritto Penale, Giurisprudenza Penale, Procedura Penale

Continuazione tra reati: quando la distanza temporale esclude il disegno criminoso

L’istituto della continuazione tra reati, previsto dall’articolo 671 del codice di procedura penale, rappresenta una possibilità fondamentale per chi ha subito più condanne. Esso consente di unificare le pene, considerandole come parte di un unico progetto illecito, con un conseguente trattamento sanzionatorio più favorevole. Tuttavia, una recente ordinanza della Corte di Cassazione ci ricorda che i requisiti per accedere a tale beneficio sono stringenti e richiedono una prova rigorosa.

Il caso analizzato riguarda un soggetto condannato per reati legati agli stupefacenti, commessi a distanza di anni, che ha richiesto l’applicazione della continuazione sostenendo che le azioni facessero parte di un medesimo programma delinquenziale. La Corte Suprema ha respinto il ricorso, fornendo importanti chiarimenti sui criteri da adottare.

I Fatti del Caso

Un individuo, condannato separatamente per due episodi distinti, ha presentato ricorso alla Corte d’Appello, in funzione di giudice dell’esecuzione, per ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati. Il primo reato, una cessione illecita di stupefacenti (art. 73 d.P.R. 309/90), era stato commesso circa due anni prima del secondo, relativo alla partecipazione a un’associazione finalizzata al traffico di droga (art. 74 d.P.R. 309/90). L’istante sosteneva che l’identità di indole dei reati e il suo ruolo di spicco nell’organizzazione criminale dimostrassero l’esistenza di un’unica deliberazione a delinquere.

La Corte d’Appello aveva già respinto la richiesta e il caso è quindi approdato in Cassazione.

La Decisione della Corte e la Prova della continuazione tra reati

La Corte di Cassazione ha dichiarato il ricorso inammissibile, ritenendolo generico e non in grado di confrontarsi adeguatamente con le motivazioni della corte territoriale. Gli Ermellini hanno colto l’occasione per ribadire un principio cardine: il riconoscimento della continuazione tra reati necessita di una verifica approfondita e rigorosa, volta ad accertare se, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali.

Secondo la Suprema Corte, elementi come l’omogeneità delle violazioni o la contiguità spazio-temporale sono solo indici rivelatori. Da soli, non sono sufficienti a dimostrare che i diversi illeciti discendano da un’unica deliberazione iniziale.

Le Motivazioni

La motivazione della Corte si fonda su diversi punti chiave. In primo luogo, viene sottolineato che la ratio della disciplina risiede nell’aspetto intellettivo e volitivo dell’agente: la previsione iniziale di commettere più azioni criminose e l’elaborazione di un programma di massima. Senza la prova di questa programmazione anticipata, non si può parlare di continuazione.

Nel caso specifico, il giudice dell’esecuzione aveva correttamente evidenziato come l’ampio intervallo temporale tra i due reati (ben due anni) costituisse un ostacolo insormontabile. La prima condotta (cessione di stupefacenti) era avvenuta molto prima che fosse accertata l’operatività del ricorrente all’interno del sodalizio criminale. Il ricorrente, dal canto suo, non ha fornito alcun elemento oggettivo – desumibile dalle sentenze di condanna o da altri atti – in grado di provare l’esistenza di un’unitaria e anticipata deliberazione. Di conseguenza, la Corte ha giudicato logica e plausibile la conclusione del giudice di merito, che ha negato il beneficio in assenza di prove concrete.

Le Conclusioni

Questa ordinanza conferma l’orientamento rigoroso della giurisprudenza in materia di continuazione tra reati. Le conclusioni pratiche sono chiare: chi intende ottenere questo beneficio in sede esecutiva ha l’onere di fornire elementi di prova concreti che dimostrino, al di là di ogni dubbio, l’esistenza di un unico disegno criminoso concepito prima della commissione del primo reato. La sola affinità tra i crimini o la generica appartenenza a un contesto delinquenziale non bastano. L’intervallo temporale tra le condotte assume un peso decisivo e, se significativo, può diventare un fattore determinante per escludere l’unicità del piano criminoso.

Quando si può ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati?
Il riconoscimento della continuazione si può ottenere quando si dimostra, con una verifica approfondita e rigorosa, che al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, come parte di un’unica deliberazione criminosa.

La somiglianza tra i reati commessi è sufficiente per dimostrare l’unico disegno criminoso?
No. Secondo la Corte, l’omogeneità delle violazioni, la natura del bene protetto e la contiguità spazio-temporale sono solo indici rivelatori, ma non sono sufficienti, da soli, a provare l’esistenza di un unico disegno criminoso.

Quale importanza ha l’intervallo di tempo tra un reato e l’altro?
Un notevole intervallo di tempo tra le condotte illecite è un elemento di ostacolo al riconoscimento della continuazione. Nel caso di specie, un lasso temporale di due anni tra un reato e l’altro è stato considerato un fattore decisivo per escludere la presenza di un’unitaria e anticipata deliberazione.

La selezione delle sentenze e la raccolta delle massime di giurisprudenza è a cura di Carmine Paul Alexander TEDESCO, Avvocato a Milano, Pesaro e Benevento.

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