Continuazione tra Reati: Quando il Tempo Spezza il Disegno Criminoso
L’istituto della continuazione tra reati rappresenta una colonna portante del diritto penale, offrendo una valutazione complessiva della condotta criminale che può portare a un trattamento sanzionatorio più favorevole. Tuttavia, il suo riconoscimento non è automatico. Una recente ordinanza della Corte di Cassazione (Ordinanza 4151/2024) ha ribadito con fermezza i paletti per la sua applicazione, sottolineando come la distanza temporale e la mancanza di un piano originario siano ostacoli insormontabili. Analizziamo questa importante decisione.
Il Caso in Esame
Un soggetto condannato proponeva ricorso in Cassazione avverso un’ordinanza del GIP del Tribunale di Catania. La richiesta era volta a ottenere il riconoscimento della continuazione tra reati per diverse fattispecie criminose, tra cui due episodi di estorsione separati da un intervallo temporale di circa tre anni, e il legame tra un reato associativo e i cosiddetti reati-fine.
Il ricorrente sosteneva che la natura omogenea dei reati dovesse essere sufficiente per dimostrare l’esistenza di un medesimo disegno criminoso. La Corte di Cassazione, tuttavia, ha rigettato completamente questa tesi, dichiarando il ricorso inammissibile.
La Valutazione della Corte sulla Continuazione tra Reati
La decisione della Suprema Corte si fonda su una giurisprudenza consolidata e rigorosa. I giudici hanno chiarito che per riconoscere la continuazione tra reati non basta una generica somiglianza tra le condotte illecite. È necessaria una verifica approfondita di una serie di indicatori concreti, tra cui:
* L’omogeneità delle violazioni e del bene giuridico protetto.
* La contiguità spazio-temporale.
* Le modalità della condotta e la loro sistematicità.
Il punto cruciale, evidenziato dalla Corte, è la necessità di provare che, al momento della commissione del primo reato, i reati successivi fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali. Se i crimini successivi emergono come frutto di una ‘determinazione estemporanea’, cioè di una decisione presa sul momento, il vincolo della continuazione non può sussistere.
L’Importanza del Fattore Temporale
Nel caso specifico, la distanza di circa tre anni tra i due episodi di estorsione è stata ritenuta un elemento decisivo. Secondo la Corte, un intervallo così ampio rende ‘non illogica’ la conclusione del giudice di merito secondo cui il secondo reato non poteva essere stato programmato fin dall’inizio. Il tempo, quindi, agisce come un forte indizio contro l’esistenza di una ‘volizione unitaria’.
Reato Associativo e Reati-Fine
Un altro aspetto interessante riguarda il rapporto tra il reato associativo e i reati-fine. La Corte ha specificato che l’adesione a un sodalizio criminale non comporta automaticamente il riconoscimento della continuazione per tutti i reati commessi successivamente. È necessario dimostrare che, al momento dell’ingresso nell’associazione, vi fosse non un generico proposito di delinquere, ma un piano specifico per commettere quei determinati reati-fine, già delineati nelle loro linee essenziali.
Le Motivazioni della Decisione
Le motivazioni dell’ordinanza si radicano nel principio che la continuazione tra reati è un’eccezione che richiede una prova rigorosa di un’unica programmazione iniziale. La Corte ha ritenuto le argomentazioni del ricorrente ‘manifestamente infondate’ perché in contrasto con la giurisprudenza consolidata delle Sezioni Unite (sent. n. 28659/2017). La semplice presenza di alcuni indicatori (come l’omogeneità dei reati) non è sufficiente a superare la mancanza di prova del requisito fondamentale: l’unicità del disegno criminoso fin dal principio. La decisione del giudice dell’esecuzione, che ha negato la continuazione basandosi sul lasso temporale, è stata considerata logica e coerente con i principi di diritto.
Le Conclusioni
L’ordinanza 4151/2024 della Cassazione è un monito importante: il beneficio della continuazione tra reati non è un automatismo. La difesa deve fornire prove concrete di un piano unitario e preesistente, che abbracci tutti gli episodi delittuosi. Un significativo intervallo di tempo tra i fatti può essere interpretato come la rottura di tale piano, suggerendo che i reati successivi siano nati da nuove e autonome decisioni criminali. Questa decisione consolida un approccio rigoroso che mira a distinguere una carriera criminale pianificata da una serie di atti delittuosi slegati, con conseguenze significative sul calcolo finale della pena.
Quando si può applicare la continuazione tra reati?
La continuazione si applica quando si può dimostrare che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero già stati programmati almeno nelle loro linee essenziali. Non è sufficiente la sola omogeneità delle violazioni, ma occorre provare l’esistenza di un’unica ‘volizione unitaria’ iniziale.
Un lungo intervallo di tempo tra due reati esclude la continuazione?
Sì, può escluderla. La Corte ha ritenuto che una distanza temporale significativa (nel caso di specie, circa tre anni) rende non illogica la conclusione che il secondo reato non fosse stato programmato insieme al primo, ma sia frutto di una determinazione estemporanea, interrompendo così il nesso della continuazione.
Far parte di un’associazione criminale implica automaticamente la continuazione per tutti i reati commessi?
No. Per applicare la continuazione tra il reato associativo e i reati-fine, non è sufficiente un generico proposito di commettere reati al momento dell’ingresso nel sodalizio. È necessario che i specifici reati-fine fossero già stati programmati, almeno nelle loro linee essenziali, in quel momento.
Testo del provvedimento
Ordinanza di Cassazione Penale Sez. 7 Num. 4151 Anno 2024
Penale Ord. Sez. 7 Num. 4151 Anno 2024
Presidente: COGNOME NOME
Relatore: NOME COGNOME
Data Udienza: 11/01/2024
ORDINANZA
sul ricorso proposto da:
COGNOME NOME nato a ACIREALE il DATA_NASCITA
avverso l’ordinanza del 17/07/2023 del GIP TRIBUNALE di CATANIA
dato avviso alle parti;
udita la relazione svolta dal Consigliere COGNOME;
Ritenuto in fatto e considerato in diritto
Rilevato che NOME COGNOME ricorre per cassazione contro il provvedimento indicato in intestazione;
Ritenuto che gli argomenti dedotti nell’unico motivo di ricorso siano manifestamente infondati, in quanto in contrasto con la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità in punto di individuazione dei criteri da cui si può desumere l’esistenza di una volizione unitaria (cfr., per tutte, Sez. U, Sentenza n. 28659 del 18/05/2017, COGNOME, Rv. 270074: Il riconoscimento della continuazione, necessita, anche in sede di esecuzione, non diversamente che nel processo di cognizione, di una approfondita verifica della sussistenza di concreti indicatori, quali l’omogeneità delle violazioni e del bene protetto, l contiguità spazio-temporale, le singole causali, le modalità della condotta, la sistematicità e le abitudini programmate di vita, e del fatto che, al momento della commissione del primo reato, i successivi fossero stati programmati almeno nelle loro linee essenziali, non essendo sufficiente, a tal fine, valorizzare la presenza di taluno degli indici suindicati s successivi reati risultino comunque frutto di determinazione estemporanea), atteso che il criterio temporale è uno degli indici di valutazione della esistenza o meno di una volizione unitaria ed, in presenza di una distanza temporale di circa tre anni tra la prima e la seconda estorsione, non è illogica la decisione del giudice dell’esecuzione che ha ritenuto che al momento di commissione della prima la seconda non potesse essere stata programmata “almeno nelle sue linee essenziali”, mentre, per ciò che attiene al rapporto tra il reat associativo e gli asseriti reati-fine, la risposta del giudice dell’esecuzione è coerente con giurisprudenza di legittimità che ritiene che, per individuare una volizione unitaria, occorre che al momento di ingresso nel sodalizio vi fosse non un generico proposito di commettere reati, ma che i reati-fine siano stati già programmati nelle loro linee essenziali (Sez. 1 Sentenza n. 23818 del 22/06/2020, Toscano, Rv. 279430; Sez. 1, n. 40318 del 04/07/2013, Corigliano, Rv. 257253); Corte di Cassazione – copia non ufficiale
Rilevato, pertanto, che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento, nonché al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma determinata, in via equitativa, nella misura indicata in dispositivo;
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di euro tremila in favore della Cassa delle ammende. Così deciso il 11 gennaio 2024.